L’Atalanta, la passione degli ultrà, un leader sotto processo. Questione di confini

Compiutasi la Salvezza Nerazzurra, rito primaverile puntuale quasi come il Miracolo di S.Gennaro, conviene soffermarsi sull’antefatto di Atalanta-Sassuolo, la partita della liberazione. Alla vigilia, squadra tenuta a rapporto da Claudio Galimberti, indiscusso leader ultrà, che – col supporto di un migliaio di tifosi per lo più solidali – non ha risparmiato toni aspri pur di chiedere ed ottenere impegno spasmodico. Sembrava, Galimberti, il presidente del Napoli, De Laurentiis, pochi giorni prima, infuriato com’era per la mancata qualificazione alla finale di Coppa Italia. Entrambi gli oratori hanno alluso a giocatori in discoteca, eccetera. Atleti a braccia conserte e a capo chino, intenti ad assorbire la filippica. Fin qui la cronaca, da completare con due piccoli particolari. A) Galimberti resta in attesa di sentenza – a giorni quella di primo grado – per episodi di violenza nell’ambito del tifo. B) Tutta la scena è andata in onda alla presenza di presidente e d.g. dell’Atalanta, Percassi e Marino. Anzi, l’allenatore Reja ha poi detto che era stata la società a organizzare la cosa affinché i tifosi dessero la carica alla squadra.

L’opinione pubblica s’é divisa. Sui social la questione ha tenuto banco. Per i tifosi, quelli che pur di vedere l’Atalanta vincere non si formalizzano, chi eccepisce è un traditore, nemico della patria. Ma i cosiddetti ben pensanti tengono alle apparenze e si chiedono se non sia possibile individuare almeno un altro leader, che non sia sotto processo. Fermo restando l’indiscutibile carisma di Galimberti, dimostrato in più occasioni.

Pure quotidiani e siti hanno preso posizione. Una volta i giornalisti erano, in maggioranza, tifosi punto e basta. Ora la categoria, anche se molto faticosamente, sta ringiovanendosi. E si comincia a comprendere che l’osservatore ha altre prerogative. Sicché si sono letti articoli (non necessariamente sportivi) dell’una e dell’altra sponda. Sul fronte legalitario, la redazione locale del Corriere, con un intervento di Armando Di Landro. Il corrispondente della Gazzetta, nonché collaboratore de L’Eco, Matteo Spini, s’è ritrovato con un megastriscione che l’equipara a un verme. Lo stesso Eco ha parlato di scena “surreale”. Invece un collega esperto come Xavier Jacobelli, sul sito di Percassi, da tempo difende a spada tratta gli ultrà. E Matteo Dotto (Mediaset) scrive che i tifosi hanno diritto d’esercitare la loro passione.

Al netto dei diversi giudizi sull’episodio, sono due gli aspetti da approfondire. Che cosa dev’essere l’Atalanta per Bergamo. E il ruolo della società nei rapporti con i tifosi.

Chi viene a Bergamo, capisce subito che l’Atalanta non è solo una squadra di calcio, ma contiene gran parte del senso d’appartenenza dei suoi abitanti. Il senso d’appartenenza, quando esagera (“Solo Atalanta”, “L’Atalanta è una fede”, che saranno pure slogan, ma le parole conservano sempre un significato), è limitante. L’obiettività va a farsi benedire, nella difesa a oltranza dei propri confini sia territoriali che di pensiero. Inoltre si corre il rischio di un’autoreferenzialita’ controproducente. L’Atalanta, insomma, è un’eccellenza della città e della provincia, ma non la sola. Altrimenti il forestiero conclude che qui si guarda qualsiasi cosa con gli occhi foderati di nerazzurro.

Percassi fa il suo mestiere di primo sostenitore e di proprietario, d’accordo. E l’uomo è appassionato davvero. La teoria del fine che giustifica i mezzi è sempre stata parte del suo bagaglio, sia imprenditoriale che sportivo. Si può aggiungere che se non ci fosse lui, con certi chiari di luna, anche a Bergamo, come a Brescia, Varese, Parma, Padova, tanto per restare in zona, il calcio potrebbe fare una brutta fine. Ma il fine che giustifica i mezzi non può essere una soluzione universale. Sicché proclamare l’opportunità di isolare i violenti, in occasione degli scontri fra tifosi, non va d’accordo con l’autorizzare od organizzare “strigliate” pubbliche dei giocatori ad opera di chi di violenza è per lo meno sospettato. Aprendosi un dibattito, ed era ora, si fa presto a passare per ipocriti.