Le piaghe e la Parola. La sofferenza e il suo significato

Immagine: Duccio da Buoninsegna: Gesù appare ai discepoli (vedi il breve commento a conclusione dell’articolo)

In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane (vedi Vangelo di Luca 24, 35-48. Per leggere le letture della domenica 19 aprile, terza di Pasqua “B”, clicca qui.

“TOCCARE” IL RISORTO E INTERPRETARE LE SCRITTURE

Luca si rivolge a cristiani che hanno una cultura greca. I greci non riescono a pensare a un risorto che risorgere interamente, con il corpo. Tendono invece a vederlo come un’anima, un puro spirito che ha abbandonato il suo corpo e se ne è definitivamente liberato. E invece Luca deve far passare la verità che Gesù è interamente risorto, che tutto il suo essere è tornato alla vita. Un modo per convincere i lettori di questa verità consiste nel dimostrare che il Gesù di adesso è lo stesso Gesù di prima: il Gesù che ha patito ed è morto è lo stesso Gesù che sta di fronte ai suoi amici vivo e vittorioso: se il Gesù che ha patito era in carne ed ossa, lo è anche il Gesù che è risorto. Per questo bisogna toccarlo: anzi il termine greco dovrebbe essere tradotto: palpatemi. I discepoli lo toccano, infatti, verificano, fanno l’esperienza. Ma tale è l’incredulità dei discepoli che neppure il toccare sembra convincerli definitivamente. Allora Gesù si fa portare da mangiare. Davvero il Risorto possiede un corpo e i suoi ne possono fare ancora una volta liberamente l’esperienza.

Ma che cosa significa tutto questo? Non basta infatti toccare; bisogna “vedere” tutta la vicenda di Gesù con gli occhi e il cuore di Dio. Che cosa ha voluto realizzare Dio attraverso la vita, la morte e la risurrezione di Gesù, la risurrezione di tutto il suo essere? Per questo dopo essersi fatto toccare, dopo aver mangiato, Gesù spiega le Scritture. Lì, nella bibbia, Dio racconta che cosa ha voluto fare per gli uomini: la sua misericordia, il suo amore, la sua paternità attraverso tutta la storia umana di Gesù.

I discepoli hanno toccato il Risorto, hanno mangiato con lui, hanno “capito” che cosa è avvenuto di lui attraverso la Parola di Dio. Adesso vengono mandati: possono annunciare a tutti ciò che hanno vissuto, raccontare la loro esperienza del Risorto. La “missione”, cioè l’invio, inizia qui, per Luca, ma continuerà poi attraverso tutti gli Atti degli Apostoli, che è il secondo volume dell’opera di Luca: è il compito dei cristiani di tutti i tempi, il compito della Chiesa.

GESÙ NON SPIEGA IL DOLORE, LO CONDIVIDE

In un certo senso, nel vangelo di oggi, Gesù mostra le piaghe e spiega le Scritture. Egli è il grande svelatore. Ma nello svelare egli invita a “entrare” nelle piaghe e a “entrare” nella Parola che le spiega. La Parola aiuta a capire le piaghe e viceversa. Se guardiamo solo le piaghe, le piaghe sono soltanto fonte di dolore. Bisogna guardarle “ricordandosi” della Parola. Ma neppure possiamo soltanto leggere la Parola perché è “per noi”, per le nostre piaghe che quella parola viene pronunciata. La nostra fede ha bisogno delle piaghe e della Parola. Questo lo troviamo particolarmente vero quando dobbiamo vivere le grandi sofferenze. Non possiamo soltanto soffrire (palpare le piaghe, nell’immagine del vangelo di oggi); ma dobbiamo entrare nella Parola, appunto: lì soltanto  troviamo il significato profondo delle nostre sofferenze. “Gesù non è venuto per toglierci il dolore  e neppure per spiegarcelo, ma per condividerlo” (Claudel).

VEDERE LA PAROLA: DUCCIO

Gesù, solo, a destra appare e cammina verso i suoi amici, ma mentre cammina, è anche capotavola, diventato il centro del gruppo degli apostoli.  Non solo i piedi lo portano verso i suoi, ma anche le mani con due vistosi puntini neri: le cicatrici dei chiodi.

Il gruppo degli apostoli è come calamitato dal Risorto: tutti gli sguardi sono intensamente ficcati nel Signore. Lo sguardo ha come assorbito tutte le energie del corpo e ne guida gli atteggiamenti fino alle torsioni più inverosimili, come quella del primo apostolo in basso a sinistra. Le mani di tutti si alzano in un gesto tra lo stupito e l’orante.

Sul tavolo, un pesce, quello che Gesù chiederà di poter mangiare a riprova della sua identità.

Tutta l’immagine è una messa in scena di un indescrivibile stupore: l’incredibile è reale, l’invisibile si può vedere, il cielo è qui con noi.