A proposito di riformismo e di crisi della politica. Cominelli dialoga con Pizzolato

Foto: il premier Matteo Renzi

La scorsa settimana il prof. Filippo Pizzolato ha scritto per noi un articolo dove parlava di alcuni aspetti della crisi politica attuale. Cominelli riprende quel problema e risponde alle tesi del prof. Pizzolato. Siamo lieti di offrire ai nostri lettori un dibattito non convenzionale su temi di così alto interesse per tutti

Poiché l’articolo del prof. Filippo Pizzolato mi coinvolge, forse non del tutto involontariamente, e poiché, in ogni caso, è stimolante, mi permetto di prenderlo sul serio. Sullo sfondo dei suoi interlinea polemici circa il riformismo leggero o l’intransigenza ideologica dei postcomunisti, dettata secondo lui da “rerum novarum cupiditas”, stanno questioni di sostanza.

LA CRISI DEL PAESE ITALIA. LA COSTITUZIONE, I PARTITI, LE CORPORAZIONI

L’Italia è un Paese che sta scivolando sull’asse inclinato del declino economico, culturale, etico.  E’ un Paese dove il senso della comunità nazionale, del Bene comune, del destino comune si sta perdendo. Se questa diagnosi non è considerata catastrofista, ne emerge una domanda urgente: quale le cause e, pertanto, quali i rimedi?

Io condivido la tesi di chi sostiene che la causa fondamentale risieda nella struttura del sistema politico. La nostra Costituzione prevede un sistema zoppicante a due gambe: una, molto lunga, è quella della rappresentanza; l’altra, molto corta, è quella del governo. Le ragioni di questo assetto affondano nella storia del Paese, uscito diviso ideologicamente dalla Seconda guerra mondiale, mentre incominciava già nel 1946 la guerra fredda tra Ovest e Est.  La Costituzione fu elaborata e approvata sotto velo di ignoranza e di paura circa l’esito delle elezioni politiche del 1948: ciascuno dei due poli – la Dc, legata all’Ovest, e le sinistre, legate all’Est – temeva che potesse vincere l’altro. Perciò venne stipulato una trattato di controassicurazione istituzionale alla Bismarck, in forza o, peggio, in debolezza del quale, chiunque vincesse, non avrebbe potuto usare il governo per conquistare irreversibilmente il potere. Insomma: la dittatura era resa impossibile. E così fu. La storia della Prima repubblica ci racconta che i governi durarono mediamente nove mesi e che, in realtà, non governarono per niente. Il governo reale, ma sarebbe più esatto chiamarlo “autogoverno”, venne delegato ai partiti e ai corpi intermedi a loro legati. Il nocciolo duro del potere furono i partiti, non l’istituzione-governo. Scoppola l’ha appunto definita “Repubblica dei partiti”. Baget Bozzo scrisse della Dc come “partito-stato”. Repubblica dei partiti significa che non esiste il Bene comune: è sempre “Bene di partito”. La storia narra anche che i corpi intermedi si sono trasformati in breve tempo, già a partire dagli anni del centro-sinistra, in corporazioni fameliche di denaro pubblico. E quanto più il sistema dei partiti perdeva in legittimità – il che incomincia ad accadere già dalla fine degli anni ’60 – tanto più le corporazioni acquistavano potere politico e sottomettevano i partiti. Insomma: la politica è diventata debole e si è smarrita nella giungla delle corporazioni. Così, senza un governo stabile, nessun problema ha mai avuto il tempo di incontrare la propria soluzione. Rinviare e non assumersi responsabilità è diventata cultura diffusa di “s/governo” in ogni settore della vita civile. Il Paese, ora, non è più diviso dalle potenti correnti ideologiche del ‘900, ma è attraversato dai mille rigagnoli degli interessi particolari contrapposti e di conflittualità onnipervasive.

LA CRISI VIENE DAL SISTEMA POLITICO. BISOGNA CAMBIARE IL SISTEMA POLITICO

Dunque, se la causa sta nella struttura del sistema politico, è questo che bisogna cambiare. Sapendo, tuttavia, che ci si muove in un circolo vizioso, che solo un intervento esterno può spezzare. Vizioso, perché sono i partiti che dovrebbero riformare il sistema politico, con ciò riducendo il proprio ruolo e danneggiando se stessi. In effetti, fin dalla morte di Moro, venne avanti, soprattutto da parte della Lega democratica di Pietro Scoppola e di Roberto Ruffilli, l’idea che la terza fase morotea poteva compiersi solo rafforzando il potere e la stabilità del governo. Nel 1983 venne istituita la Commissione Bozzi, nel 1992 la Commissione Nilde Jotti, nel 1997 la Commissione D’Alema. Ma le logiche di partito fecero fallire ogni ipotesi di riforma. Certo, non si può dire che le proposte di Renzi siano affrettate e precipitose. Sono in grave ritardo. Oggi i partiti sono al minimo storico della loro legittimazione, mentre il popolo elettore chiede decisioni, responsabilità, soluzioni. Gli elettori possono spezzare il circolo vizioso. Sempre che almeno una maggioranza risicata dei partiti glielo permetta. Perché il mondo “là fuori” ribolle di cambiamenti. Da dieci anni a questa parte e per i prossimi dieci la nuova gerarchia delle potenze mondiali ci ha gettato in mare aperto, nel quale il metodo del rinvio delle decisioni e del tran tran può solo farci andare a fondo.

L’ITALICUM E I SUOI LIMITI

L’Italicum è la proposta di far scegliere il premier agli elettori e di semplificare la rappresentanza a favore della governabilità. Esattamente ciò che è accaduto in tutti i Paesi d’Europa. L’Italia è ferma ad un sistema politico da guerra fredda. E non è un caso che noi siamo stati l’unico Paese europeo in cui la caduta del Muro di Berlino ha avuto conseguenze catastrofiche per il sistema politico. Tuttavia, anche l’Italicum ha un sacco di difetti, che però sono tipici di tutti i sistemi elettorali: è un compromesso tra i partiti, rappresentati qui e ora in Parlamento. I partiti guardano al proprio interesse, presentato come Bene  comune. Nessuno scandalo. Il Bene comune esiste solo nei manuali di filosofia politica. Su questa terra è sempre la risultante di molti “Beni comuni”, sempre partigiani. In quanto compromesso, non piace a nessuno, in primo luogo agli specialisti della materia. Non piace neppure a me: avrei preferito il sistema francese secco. Che venne già sostenuto dalla maggioranza del PD, ma che, da quando è minoranza, non lo vuole più. Ci avrei aggiunto le primarie di collegio, all’americana. Le obiezioni sono varie. Sistema dei nominati? Ricordo che tutti i candidati dei collegi uninominali del Mattarellum erano nominati. Obiezioni e contro-obiezioni occupano già intere pagine dei giornali. Qui non abbiamo lo spazio per discuterne. Una cosa è certa: sono i partiti che decidono, piaccia o no. Perchè questo è ciò che la Costituzione ha voluto.

COSTITUZIONE SCRITTA E “COSTITUZIONE MATERIALE”. IL FUTURO DEI PARTITI

Pizzolato scrive: “Continuo a diffidare di una revisione costituzionale che sposta sulla Costituzione e sul suo perfettibile bicameralismo colpe che sono specifiche della dialettica partitica”. Il fatto è che è proprio colpa della Costituzione, per come si è storicamente attuata – la cosiddetta “Costituzione materiale” –  l’aver posto la dialettica partitica al centro del sistema istituzionale: partiti-governo, partiti-stato, partiti-società civile. Dare una forza istituzionale alla voce degli elettori, così che nelle urne non debbano limitarsi a esprimere dei desiderata velleitari, ma delle volontà, questo è il solo modo, perfettibilissimo, di eliminare il primato totale dei partiti, senza abolirli e senza farci cadere in un regime populista alla latino-americana. I partiti non scompaiono, diventano ciò che furono all’origine nel CLN del 1943: arene di educazione alla politica, di formazione di classe dirigente, che poi tocca all’elettore scegliere. L’elettore sceglie direttamente il capo del governo e i propri rappresentanti in Parlamento. L’Italicum serve a questo. Bisognerà cambiare la seconda parte della Costituzione? Lo si faccia. E’ stata dettata dalla storia, non da una voce che scende dal Monte Sinai.