Paola Massi: Azione Cattolica raccoglie la grande sfida di oggi, portare il Vangelo là dove l’uomo vive

«L’invito e la sollecitazione pressante del Papa alla missionarietà e all’Evangelizzazione non può che orientarci all’individuazione di un nuovo annuncio del Vangelo: si tratta di riscoprire nella sua forma originaria il mistero della figura di Gesù e di saperlo comunicare con parole nuove che interpellino la vita e la storia di ciascuno. Anche chi crede, oggi ha bisogno di essere di continuo posto di fronte all’essenziale della fede che è il mistero della morte e della risurrezione del Signore. Nuova Evangelizzazione significa ridefinire sempre il senso dell’essere cristiani nel mondo di oggi». Paola Massi, Presidente Azione Cattolica Bergamo dal marzo 2014, analizza il suo ruolo e le sfide che attendono la più antica, ampia e diffusa tra le associazioni cattoliche laicali d’Italia in una provincia di tradizione cattolica come quella bergamasca. «Dobbiamo urgentemente portare il Vangelo là dove l’uomo di oggi vive, spera, ama, soffre, s’interroga, dobbiamo, noi laici, raggiungere tutti e parlare loro con un linguaggio che solo i laici possono utilizzare: una “grammatica umana” che svela l’uomo all’uomo e, mostrando l’uomo parla di Dio», precisa la Massi, insegnante di religione, sposata con tre figli, in AC da ventitré anni. «Il mio sogno per l’AC è che possa rispondere pienamente alla propria vocazione nella Chiesa e nella società».

Quanti sono i vostri associati e in quale percentuale sono giovani sotto i trent’anni?
«L’AC per tradizione è sempre stata caratterizzata da un impegno formativo qualificato e originale nel comunicare il Vangelo. La formazione è il cuore della vita e della proposta associativa. Il carisma dell’AC è quello di laici dedicati in modo stabile e organico alla missione della Chiesa alla quale ci sentiamo legati da un legame spirituale e insieme affettivo, impegno concreto e servizio che nascono dall’amore a chi ci ha generato alla fede e che intendiamo “servire” con una scelta di vita non episodica ma permanente. Pertanto le nostre attività sono soprattutto molto radicate sul territorio, la parrocchia è il luogo privilegiato, dove vivere la propria esperienza di fede e dove aderire a un itinerario associativo. I gruppi parrocchiali formati da laici di AC vivono un percorso formativo che si sviluppa lungo tutte le stagioni della vita dalla fanciullezza, con l’esperienza dell’Azione cattolica dei ragazzi fino all’età adulta, con una proposta organica e progressiva che ha come unico obiettivo quello di accompagnare in modo graduale, ciascun battezzato nel mistero della vita nuova in Cristo. Il percorso formativo si rinnova ogni anno dentro il cammino della comunità cristiana, a fare da traccia dell’itinerario è il Vangelo dell’anno riletto nell’attualità del contesto ecclesiale e socio culturale. Al percorso ordinario che avviene nelle parrocchie, si aggiungono appuntamenti diocesani che oltre a essere nuovi momenti di formazione, danno la possibilità a ogni associato di vivere e sperimentare il bello dell’essere associazione. Spesso ci viene chiesto qual è il senso di aderire a un’associazione se il suo fine altro non è che la risposta alla chiamata di laici a un’esistenza cristiana fondata sul Vangelo, proprio come lo è per ciascun battezzato. Ebbene questa risposta vogliamo darla insieme, il carisma dell’AC è comunitario nel senso che l’esperienza associativa costituisce una scuola di vita che richiama a valori come familiarità, comunione, corresponsabilità, scambio, dialogo. Allo stesso tempo anche fatica di camminare insieme, possibile conflitto, incomprensione, differenza… ma è proprio nell’esercizio di questo tirocinio di vita ecclesiale che testimoniamo come la comunione in Dio e la fraternità che ci caratterizzano come cristiani non siano solo dono da ricevere con gratitudine ma soprattutto tesori preziosi da custodire e alimentare con impegno e tenacia».

Quali saranno le attività principali che vi vedranno impegnati nei mesi a venire?

«Innanzi tutto la ricorrenza del 70esimo anniversario della morte di Don Antonio Seghezzi, sacerdote della diocesi di Bergamo, assistente dell’Azione cattolica negli anni bui della guerra, imprigionato e morto nel campo di concentramento a Dachau. Da diversi anni è in corso il processo di beatificazione ma in attesa che la Chiesa istituzionale riconosca la sua santità, noi soci che abbiamo avuto la fortuna di conoscerlo attraverso i suoi scritti, ci riuniremo intorno al Vescovo nella serata del 22 maggio a Premolo per la celebrazione della Santa Messa per ricordare chi ancora oggi sa trasmettere un grande messaggio di fede. Durante il periodo estivo ci saranno le proposte dei campi scuola (date e luoghi si trovano sul nostro sito). Anche questa è un’occasione molto significativa per vivere momenti di formazione, di fraternità, di spiritualità, di condivisione e di allegria».

“Una luce nella notte”, un laboratorio speciale. Ce ne vuole parlare?

«È un’esperienza di Evangelizzazione di strada iniziata nel 2009 che si articola in cinque sabati sera lungo l’anno nella Chiesa del Carmine in Città Alta. Sono più di un centinaio i giovani di diversa provenienza, parrocchie, associazioni e movimenti uniti da un unico desiderio che in questi anni hanno vissuto questa esperienza: annunciare Gesù e la bellezza di una relazione con Lui che dona pienezza alla vita di ciascuno. L’esperienza delle sentinelle nella notte impegna tutti i giovani che vi aderiscono già dal pomeriggio per vivere la formazione, condividere la preghiera, l’adorazione e insieme ricevere il mandato per giocarsi poi lungo la serata: in strada a portare ad altri giovani l’annuncio di Gesù; in Chiesa accogliendo tutti quelli che si lascano toccare il cuore e desiderano incontrare Gesù, sostenendo con la preghiera, animando con la musica, il canto e la proclamazione della Parola. Se contiamo che ogni sera si raggiungono in strada qualcosa come duecento giovani, possiamo immaginare quanti siano stati gli incontri intrecciati in questi anni… a quanti è stata data la possibilità di un incontro con Gesù Eucarestia o nell’accostamento al sacramento della Riconciliazione, magari dopo anni di lontananza. È un modo molto concreto per dire che non ci si può affermare cristiani se non si è testimoni e che la testimonianza non è un accessorio o qualcosa che spetta solo gli addetti ai lavori».

Durante l’incontro del 3 maggio 2014, Papa Francesco ha offerto tre consegne all’Azione Cattolica, espresse con verbi che ne attualizzano la missione: rimanere nel Signore, andare fuori, gioire.  In quale modo l’Azione Cattolica le interpreta dentro la Chiesa e nel mondo?

«I tre verbi che Papa Francesco ci ha consegnato sono diventati il paradigma delle nostre associazioni. L’uso dei verbi dice bene il nostro carisma di essere “Azione” e quindi in continuo movimento per una spiritualità forte, un’ecclesialità rinnovata e un’azione missionaria che metta al centro il Vangelo. Mi vorrei soffermare sul primo verbo, perché è quello che stiamo vivendo in quest’anno associativo: rimanere. Rimanere significa innanzitutto recuperare un rapporto profondo con il Signore, che coinvolga la nostra vita interiormente e le nostre scelte nel concreto. Rimanere e godere della sua compagnia dovrebbe diventare il modo in cui ognuno mette la propria vita nelle Sue mani lasciandogli la libertà di modellarci come Lui vuole e nello stesso tempo dovrebbe diventare la capacità di rimettere sotto lo sguardo di Gesù ogni cosa che facciamo, solo così i nostri impegni avranno il gusto della gioia vera e la forza della testimonianza».

Sergio Mattarella, un cattolico democratico, è stato da poco eletto 12^ Presidente della Repubblica Italiana. Quanto è cambiato il contesto culturale, politico ed ecclesiale italiano rispetto agli anni nei quali la maggior parte della classe dirigente della Democrazia Cristiana proveniva da AC?

«Mi rifaccio a quanto detto dal Papa il 30 aprile scorso durante l’incontro con i membri della Comunità di vita cristiana-Lega missionaria studenti. All’esplicita domanda se è bene che un cristiano faccia politica, ha risposto così:

“Il Beato Paolo VI, se non sbaglio, ha detto che la politica è una delle forme più alte della carità, perché cerca il bene comune. Ma è un martirio quotidiano cercare il bene comune senza lasciarsi corrompere”.

Cercare quindi il bene comune pensando le strade più utili per quello, i mezzi migliori. Credo che ancora una volta Bergoglio abbia espresso con chiarezza e senza possibilità di fraintendimenti quale deve essere il rapporto tra fede e politica e che tanti uomini nella storia della nostra nazione hanno cercato di incarnare. Il Presidente Mattarella è certamente uno di questi esempi, così come lo è stato Scalfaro che fino alla fine della sua vita ha portato sul bavero della giacca il distintivo dell’Azione Cattolica, per dire appunto da dove nasceva quest’amore per l’uomo da servire in quella forma particolare che è il bene comune. Consapevoli di quanto sia urgente risvegliare un po’ l’attenzione a tematiche di questo tipo e soprattutto a un interesse al bene comune che sia al di sopra di un partito, in particolare, come AC diocesana, stiamo progettando un percorso di formazione che inizieremo il prossimo anno. L’obiettivo è di riscoprire i grandi valori sociali, politici, economici ai quali si sono ispirati “giganti” del passato da De Gasperi, a La Pira, a Bachelet che hanno trovato nel Vangelo il motore e l’anima del loro agire politico e sociale. Speriamo che sia un piccolo passo nell’ottica di quanto diceva il Papa».

Il prossimo ottobre si aprirà il Sinodo ordinario sulla famiglia. Qual è l’impegno che AC Bergamo mette su questo importante tema?

«Da sempre la nostra associazione ha dato immenso valore alla realtà della famiglia, consapevoli che il processo educativo umano e cristiano per eccellenza è quello che si svolge proprio lì. Primi testimoni e annunciatori della fede, i genitori, soprattutto in un tempo così difficile e in una società così secolarizzata hanno bisogno di essere accompagnati e sostenuti in questo compito, che per quanto affascinante non è facile. In particolare come associazione diocesana abbiamo collaborato per la stesura delle risposte ai vari quesiti proposti dal documento conclusivo della prima parte del Sinodo che si è attuata a ottobre 2014, interpellando e coinvolgendo diverse associazioni parrocchiali. La consapevolezza che oggi sia più difficile vivere il rapporto con l’altro nella prospettiva del legame stabile, della relazione gratuita, della fedeltà vissuta e testimoniata come valore, la tendenza ad assumere ogni legame come reversibile, mai definitivo, rende sempre più deboli le relazioni che vengono percepite come temporanee e sempre soggetto di revoca. E questo avviene sempre più di frequente anche nelle coppie che hanno celebrato il loro sacramento in chiesa. Come associazione, in collaborazione con l’Ufficio Famiglia della Diocesi, stiamo progettando un percorso di accompagnamento per le coppie da 0 a 10 anni di matrimonio che si articolerà in 6/7 incontri di confronto e riflessione guidata sul significato e sul valore di questa esperienza alla luce della Parola e alle prese della quotidianità. Certo è poca cosa rispetto all’urgenza e alle problematiche che colpiscono sempre più le famiglie di oggi, ma vuole essere un segno della vicinanza e della passione che come AC e come Chiesa sentiamo nei confronti di questa realtà cosi spesso attaccata e così poco riconosciuta nelle scelte concrete anche di chi la usa come slogan propagandistico per poi dimenticarsene quasi subito».