Arcabas, opere sospese tra la realtà e l’ignoto: «La bellezza si nasconde nelle pieghe delle cose»

“Nolite timere”, le parole di speranza del grande polittico dedicato a Bernanos strette tra le mani di una bambina, simbolo di una promessa di amore e di giustizia cui fa eco la voce del Magnificat. Si è aperta così una serata intensa e affascinante, una serata che nonostante il gran numero di presenti aveva il sapore dell’affetto e della riconoscenza di una famiglia che accoglie a casa propria un amico, ritrovato dopo tanto tempo.

A dispetto dell’età e della fatica del viaggio, Arcabas si è seduto di fronte al suo pubblico, sostenuto dall’amata Jacqueline, per raccogliere, ansioso e curioso come lui stesso si è definito, le domande che Bergamo ha voluto presentargli, rivelando un po’ di sé e della sua arte.

Un dialogo che, condotto dalle domande di Ivo Lizzola prima e dagli interventi del fraterno amico don Emilio Brozzoni e del pubblico poi, ha preso avvio proprio dalla bellezza, tema centrale dell’incontro, e dal suo legame con bontà e giustizia. “Bontà e giustizia sono concetti sui quali i padri hanno riflettuto con astuzia e intelligenza e che hanno da sempre focalizzato di più l’attenzione dei cristiani. La bellezza invece è meno visibile, più nascosta, la bellezza si nasconde nelle pieghe delle cose”, ha spiegato l’artista. “Ho avuto modo di discutere di questo tema con alcuni amici, tra cui il cardinale Daneels, con cui ho parlato a lungo durante una cena dove era decisamente affamato. Ci siamo trovati d’accordo sul fatto che la rigidità amministrativa della verità non è altro che la messa in scena della verità della bellezza, la quale è invece più capace di toccare i cuori, di muovere alla pietà”.

Protagonista, nelle opere di Arcabas, la realtà umana e l’ignoto che si fa visibile. Opere accanto alle quali bisogna sedersi e stare in ascolto perché, come ha ben ricordato Rossella, collaboratrice della mostra, la loro grandezza sta proprio nell’ offrire messaggi diversificati,  senza imporre lo sguardo, unico e personale dell’artista ma lasciando spazio a tutti gli sguardi, lasciando la possibilità a questa realtà trasfigurata di lasciarsi guardare e interpretare. L’arte è un mezzo privilegiato di espressione perché “le parole [al contrario] non possono essere un mezzo per raccontare la verità, con esse gli si può soltanto passare accanto senza poter esprimere tutta la totalità e la complessità della realtà”.

La realtà complessa riconosciuta dall’artista pone al suo centro i bambini, sia come soggetti sia perché nelle sue opere si rispecchia l’esatto sguardo dei bambini, che ci invita a ritrovare il nostro enfant perdu. Spiega Arcabas che “i bambini, sino ad una certa età, hanno lo sguardo particolare della bontà e della purezza verso la vita. In alcuni casi questo sguardo è esposto anche alla sofferenza e soffro io stesso  nel rappresentarlo”, come nel caso del polittico dedicato a Bernanos e ai drammi della guerra civile spagnola.

Un talento quello di Arcabas ricevuto in dono e coltivato, onorando verità e bellezza nel rapporto costante con la Parola, in un lavoro profondamente ispirato da essa. “La Bibbia raccoglie in sé diversi aspetti, può essere letta in modi differenti e può essere anche solo un profondo esempio di filosofia per vivere con saggezza. Essa però è il libro per eccellenza. È facile per un’artista che ha la fede creare un legame, trovare la quintessenza che lega il reale alla Parola. Questo passaggio, quello tra la Parola e l’arte, è il mio lavoro, mi ci applico ogni mattina, a volte anche con fatica e sospiri perché non riesco ad esprimere quello che sento. Nonostante l’età, ci sono alcune cose che ancora non conosco, che ancora mi mancano: avrei bisogno di un’altra intera vita”, racconta l’artista.

Particolare e caratterizzante è inoltre la presenza dell’oro nelle sue opere, oro che richiama certamente la tradizione artistica ed in particolare quella delle icone ma che rimane in primo luogo un colore prezioso, una traccia celeste: “nella mia tavolozza, l’oro è un colore a parte. È un raggio di sole caduto sulla terra senza perdere la sua lucentezza. Io lo raccolgo e lo metto nei miei quadri, è inossidabile”. Gli angeli poi riempiono l’arte sacra di Arcabas, figure forti, determinate ed espressive ma anche tenere, delicate e gioiose, spesso utilizzate per dare potenza all’annuncio evangelico. Un rapporto il suo, intenso e umano con queste figure per vedere le quali “bisogna crederci, perché è necessario riconoscerne l’operato nel proprio vissuto. Ogni volta che arrivo a firmare un quadro, mi fermo un attimo, perché gli angeli dipinti nelle mie opere acquistano un peso di verità di presenza”.

All’interno di una mostra nata proprio per il profondo legame che lega l’artista a don Emilio e a Lorenzo Pedrini e alla città tutta, anche questo incontro è stato l’occasione per parlare di un’arte sacra che sceglie una direzione precisa. Come ha ricordato don Enrico d’Ambrosio, nelle espressioni artistiche all’interno delle chiese sono andati perduti i colori del divino e le forme dell’umano e ritrovarli in una chiesa è dirompente. Una scelta faticosa ma coerente, frutto di una profonda esigenza personale: “mi trovo da cinquant’anni in guerra con una parte del mondo artistico, non molto estesa ma ambiziosa ed in grado di polarizzare tutte le risorse economiche, che mi rigetta e che abolisce la mia contemporaneità. Un’incontro sulla bellezza come quello di questa sera in Francia sarebbe impossibile, ma cosa resta all’arte e agli uomini se non se ne parla?”