Papa Francesco: un lutto in famiglia annienta. Ma la fede lenisce il dolore

«La morte è un’esperienza che riguarda tutte le famiglie, senza eccezione alcuna. Fa parte della vita: eppure, quando tocca gli affetti familiari, la morte non riesce mai ad apparirci naturale». Lo ha detto il Papa, che nella catechesi dell’udienza generale – a partire dalla “scena molto commovente” del Vangelo di Luca che narra di Gesù con una vedova che ha perso l’unico figlio – ha fatto notare che «per i genitori sopravvivere ai propri figli è qualcosa di particolarmente straziante, che contraddice la natura elementare dei rapporti che danno senso alla famiglia stessa».
«La perdita di un figlio o di una figlia è come se fermasse il tempo», le parole del Papa: «Si apre una voragine che inghiotte il passato e anche il futuro».
«La morte, che si porta via il figlio piccolo o giovane – ha proseguito – è uno schiaffo alle promesse, ai doni e sacrifici d’amore gioiosamente consegnati alla vita che abbiamo fatto nascere».
«Tante volte – ha proseguito a braccio – vengono a Messa a Santa Marta genitori con la foto del figlio, della figlia del ragazzo, della ragazza e mi dicono che se ne è andato: lo sguardo è tanto addolorato, la morte di un figlio tocca profondamente».
Quando muore un figlio, «tutta la famiglia rimane come paralizzata, ammutolita», ha detto il Papa durante l’udienza di oggi: «E qualcosa di simile patisce anche il bambino che rimane solo, per la perdita di un genitore, o di entrambi», ha proseguito spiegando che «il vuoto dell’abbandono che si apre dentro di lui è tanto più angosciante per il fatto che non ha neppure l’esperienza sufficiente per dare un nome a quello che è accaduto».
«Ma dov’è papà? Dov’è mamma? Sta in cielo, ma perché non lo vedo?», chiedono i bambini: «Questa domanda provoca angoscia nel cuore di un bambino che rimane solo». «Quando torna papà, quando torna mamma?», le sue domande: «Cosa si risponde? E il bambino soffre. E così è la morte di un figlio». «In questi casi – ha commentato Francesco – la morte è come un buco nero che si apre nella vita delle famiglie e a cui non sappiamo dare alcuna spiegazione. E a volte si giunge persino a dare la colpa a Dio».
«Quanta gente – ha proseguito il Papa – si arrabbia con Dio, bestemmia: perché mi hai tolto il figlio, o la figlia? Ma Dio non c’è, non esiste, perché ha fatto questo? Tante volte abbiamo sentito questo. Questa rabbia viene dal cuore per un dolore grande: la morte di un figlio, di una figlia, di un papà, di una mamma, è un grande dolore e questo accade continuamente nelle famiglie».
«La morte fisica ha dei ‘complici’ che sono anche peggiori di lei, e che si chiamano odio, invidia, superbia, avarizia: insomma, il peccato del mondo che lavora per la morte e la rende ancora più dolorosa e ingiusta». A spiegarlo è stato il Papa, durante l’udienza generale di oggi: «Gli affetti familiari appaiono come le vittime predestinate e inermi di queste potenze ausiliarie della morte, che accompagnano la storia dell’uomo».
«Pensiamo all’assurda normalità con la quale, in certi momenti e in certi luoghi, gli eventi che aggiungono orrore alla morte sono provocati dall’odio e dall’indifferenza di altri esseri umani», le parole di Francesco: «Il Signore ci liberi dall’abituarci a questo!».
«Nel popolo di Dio, con la grazia della sua compassione donata in Gesù, tante famiglie dimostrano con i fatti che la morte non ha l’ultima parola». Ne è convinto il Papa, che nella catechesi odierna ha definito questo atteggiamento «un vero atto di fede». «Tutte le volte che la famiglia nel lutto, anche terribile – ha spiegato – trova la forza di custodire la fede e l’amore che ci uniscono a coloro che amiamo, essa impedisce già ora, alla morte, di prendersi tutto».
«Il buio della morte va affrontato con un più intenso lavoro di amore», l’invito di Francesco: «Nella luce della Risurrezione del Signore, che non abbandona nessuno di coloro che il Padre gli ha affidato, noi possiamo togliere alla morte il suo ‘pungiglione’, come diceva san Paolo: possiamo impedirle di avvelenarci la vita, di rendere vani i nostri affetti, di farci cadere nel vuoto più buio». «In questa fede, possiamo consolarci l’un l’altro, sapendo che il Signore ha vinto la morte una volta per tutte», ha assicurato il Papa: «I nostri cari non sono scomparsi nel buio del nulla: la speranza ci assicura che essi sono nelle mani buone e forti di Dio. L’amore è più forte della morte». Per questo, «la strada è far crescere l’amore, renderlo più solido, e l’amore ci custodirà fino al giorno in cui ogni lacrima sarà asciugata, quando non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno».
«Se ci lasciamo sostenere dalla fede, l’esperienza del lutto può generare una più forte solidarietà dei legami famigliari, una nuova apertura al dolore delle altre famiglie, una nuova fraternità con le famiglie che nascono e rinascono nella speranza», ha detto il Papa.
«Nascere e rinascere nella speranza, questo ci dà la fede», ha proseguito a braccio, esortando i fedeli a soffermarsi sull’ultimo versetto del Vangelo di Luca, letto oggi: «Gesù lo restituì a sua madre». «Questa è la nostra speranza», ha esclamato Francesco sempre fuori testo: «Tutti i nostri cari che se ne sono andati, il Signore ce li restituirà a noi e noi ci incontreremo insieme con loro. E questa speranza non delude. ‘Gesù lo restituì a sua madre’: così farà il Signore con tutti i nostri cari della nostra famiglia». «Questa fede – ha spiegato il Pontefice – ci protegge dalla visione nichilista della morte, come pure dalle false consolazioni del mondo, così che la verità cristiana non rischi di mischiarsi con mitologie di vario genere, cedendo ai riti della superstizione, antica o moderna».
«Se ci lasciamo sostenere dalla fede, l’esperienza del lutto può generare una più forte solidarietà dei legami famigliari, una nuova apertura al dolore delle altre famiglie, una nuova fraternità con le famiglie che nascono e rinascono nella speranza», ha detto il Papa. «Nascere e rinascere nella speranza, questo ci dà la fede», ha proseguito a braccio, esortando i fedeli a soffermarsi sull’ultimo versetto del Vangelo di Luca, letto oggi: «Gesù lo restituì a sua madre». «Questa è la nostra speranza», ha esclamato Francesco sempre fuori testo: «Tutti i nostri cari che se ne sono andati, il Signore ce li restituirà a noi e noi ci incontreremo insieme con loro. E questa speranza non delude. ‘Gesù lo restituì a sua madre’: così farà il Signore con tutti i nostri cari della nostra famiglia». «Questa fede – ha spiegato il Pontefice – ci protegge dalla visione nichilista della morte, come pure dalle false consolazioni del mondo, così che la verità cristiana non rischi di mischiarsi con mitologie di vario genere, cedendo ai riti della superstizione, antica o moderna».
«Domani, come sapete, sarà pubblicata l’Enciclica sulla cura della ‘casa comune’ che è il creato». A ricordarlo ai 15mila fedeli presenti in piazza san Pietro, prima dei saluti in lingua italiana che come di consueto concludono l’appuntamento del mercoledì, è stato Papa Francesco. «Questa nostra casa – ha proseguito – si sta rovinando e ciò danneggia tutti, specialmente i più poveri». Di qui l’appello del Pontefice «alla responsabilità, in base al compito che Dio ha dato all’essere umano nella creazione ‘coltivare e custodire’ il ‘giardino’ in cui lo ha posto». Papa Francesco, inoltre, ha invitato «ad accogliere con animo aperto questo documento che si pone nella linea della dottrina sociale della Chiesa».