No alla xenofobia. Gli italiani i più razzisti d’Europa? Sono i più capaci di accogliere

Gli italiani accusati di xenofobia e razzismo. Ma è proprio così? «Il sondaggio del centro studi americano Pew, che accusa l’Italia di essere il Paese più razzista d’Europa, è reale fino a un certo punto. Lo è, perché c’è nell’opinione pubblica italiana un’ondata xenofoba, di diffidenza nei confronti dello straniero, non lo è perché in realtà gli italiani hanno un vero senso di accoglienza del vicino, quando non conoscono l’immigrato non lo vogliono a casa ma quando poi lo conoscono, lo aiutano. L’integrazione alla fine nel vostro Paese funziona. Il vero problema in Italia è la classe dirigente politica, la quale dovrebbe governare il fenomeno migranti. Invece qui come in Francia del resto, invece di rispondere alle angosce dell’opinione pubblica, si getta olio sul fuoco, si polemizza, si sfrutta politicamente la questione. Sia Renzi sia Hollande stanno perdendo la battaglia, perché hanno rinunciato a dire che il fenomeno migratorio se ben gestito, canalizzato, ragionato è del tutto gestibile e può diventare un elemento positivo per i nostri Paesi. L’immigrazione è una sfida positiva da cogliere». Eric Jozsef corrispondente francese in Italia da 23 anni del quotidiano “Liberation”, commenta i dati del recente sondaggio dell’Istituto americano Pew, nel quale risulta che l’Italia è la Nazione europea di gran lunga più ostile alle minoranze islamiche (61%) e rom (86%) dei cittadini degli altri Paesi oggetto d’indagine, Polonia (rispettivamente col 56 e 48%), Spagna, Germania, Francia e Regno Unito. «L’Italia e la Polonia hanno una politica migratoria che è in ritardo rispetto agli altri Paesi. In Italia il fenomeno migratorio risale agli anni Ottanta, in Francia per esempio risale a un secolo fa, qui la presenza musulmana è di conseguenza molto più radicata nel territorio e la presenza dello straniero, del diverso, non desta la stessa reazione che si manifesta in Italia. Inoltre sia l’Italia sia la Polonia sono due nazioni che hanno costruito la loro identità attorno alla religione cattolica, quindi la presenza di minoranze religiose più o meno cospicue possono destare reazioni di diffidenza. Ciò avviene anche in Spagna (52%), anche la Francia è un Paese cattolico ma fortemente “laico”, la Germania è a maggioranza protestante, ha una storia di immigrazione più vecchia dell’Italia» puntualizza Jozsef, nato a Parigi nel 1966, laureato in Economia e in Scienze Politiche, arrivato in Italia nel 1992 per lavorare a Roma all’Accademia di Francia (Villa Medici), profondo conoscitore della politica italiana e ricercato opinionista in varie trasmissioni televisive.

La Germania che ospita la più ampia popolazione musulmana in Europa e la Francia, dopo i tragici fatti di Charlie Hebdo, presentano entrambe percentuali molto più contenute di ostilità nei confronti dei musulmani: 24%. Come mai?

«È la Francia il Paese europeo che ospita la più grande comunità musulmana, sto parlando di cinque, sei milioni di cittadini francesi di fede musulmana. La Francia, come ho già detto, oltre ad avere una tradizione di immigrazione alle spalle molto forte, reca con sé il ricordo del Novecento, la stessa cosa avviene in Germania. Queste due Nazioni hanno fatto un lavoro di elaborazione del proprio passato, della propria memoria, mi riferisco al nazismo, alla II Guerra Mondiale. C’è la percezione di cosa può accadere quando si viene a creare in uno Stato un sentimento di diffidenza verso l’altro. Tutto ciò può portare a delle conseguenze nefaste. Tuttavia in Francia l’ostilità di questo 24% verso le minoranze si esprime attraverso il voto per il Front National (Fronte Nazionale) di Marine Le Pen. Un 24% molto ben organizzato, forte che vota e che è capace di condizionare il dibattito politico nazionale mentre il Partito nazionalista di estrema destra tedesco è sì in crescita ma è sempre una crescita contenuta».

L’Ungheria dopo aver annunciato la costruzione di un muro, una barriera alta 4 metri lungo tutta la frontiera con la Serbia allo scopo di bloccare la principale via terrestre dei migranti verso l’intera Europa occidentale, ora ha deciso di sospendere le norme sul diritto di asilo. Per Agnès Heller, filosofa ungherese, l’umore antistranieri che pervade un po’ ovunque è dato anche dalla crisi economica. Cosa ne pensa?

«La prima cosa da dire è che sembra che l’Ungheria sotto la pressione europea abbia fatto marcia indietro: una buona notizia. La seconda è la seguente. Quello che dice la Heller è vero solo in parte, ovviamente la situazione economica e sociale di alcuni Paesi come l’Italia e la Francia, che ha un tasso di disoccupazione giovanile del 25% soffia sul vento xenofobo. Però questa crescita di movimenti di estrema destra xenofobo avviene anche in Paesi in cui non c’è la crisi economica, in cui non c’è l’euro e dove il tasso di disoccupazione giovanile è molto basso. Potremmo citare l’Austria, la Svizzera, la Danimarca, la Finlandia, aggiungiamoci l’Inghilterra che sta piuttosto bene dal punto di vista economico. In Spagna la grave crisi economica non ha portato a una crescita dei movimenti di estrema destra xenofobi. C’è un altro elemento che occorre analizzare. Credo che sia una questione di identità. Questi Paesi europei hanno difficoltà ad accettare il cambiamento, la globalizzazione in un mondo che cambia velocemente. Questa richiesta di identità si riduce a una volontà di ritornare a degli schemi del passato dove lo straniero viene visto come l’elemento che viene a disturbare questo “piccolo mondo antico” che non tornerà più. L’elemento più visibile di questo mondo in continua trasformazione è lo straniero immigrato. Quindi quello che dice Agnès Heller è vero ma non è completo».

“L’Europa faccia di più per chi chiede asilo” è stata la frase pronunciata dal Presidente Mattarella in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato (20 giugno), che ha scosso il Vecchio Continente. Intanto prosegue il blocco della frontiera francese a Ventimiglia per i profughi che cercano di passare il confine e in molti proseguire per altri Paesi. Che opinione ha di questa decisione del governo francese che rischia di far diventare Ventimiglia l’imbuto d’Italia e d’Europa?

«Non è la prima volta che accade, era già successo nel 2011, quando c’erano state la “primavera araba” e la rivoluzione in Tunisia quando erano sbarcate decine di migliaia di tunisini sulle coste italiane che cercavano di arrivare in Francia per raggiungere i loro familiari o i loro contatti. La Francia di Sarkozy aveva chiuso le frontiere. Sorprende la decisione del governo socialista di Hollande, il quale così facendo ha voluto inviare un messaggio all’Italia, perché si ha la sensazione che quest’ultima non rispetti tanto le regole facendo passare i migranti che vogliono andare verso l’Europa settentrionale. È un messaggio per l’Italia: “Noi chiudiamo a Ventimiglia, ciò significa prendere le impronte e controllare le richieste d’asilo in Italia”. Ma è anche un messaggio rivolto verso l’opinione pubblica francese, perché il Front National è il primo partito nei sondaggi, quindi Hollande vuole dire ai suoi cittadini “anche noi facciamo sul serio, blocchiamo gli immigrati e lottiamo contro i flussi migratori”. Penso che questo sia un doppio errore sia nei confronti del dialogo con l’Italia e sia nei confronti del fronte interno francese, perché tutte queste manovre, queste dichiarazioni, questi muscoli mostrati all’opinione pubblica in realtà non fanno effetto».

“L’emergenza immigrazione rivela tutte le nostre debolezze e paure”, commenta Marc Augé osservando quello che sta accadendo in questi giorni tra il Mediterraneo e l’Europa. “Le tensioni provocate dall’arrivo dei migranti rivelano il malessere acuto dei nostri paesi”. È d’accordo con la riflessione dell’antropologo francese?

«Sì, Augé ha ragione. Come dicevo prima, la paura del diverso, dello straniero rappresenta la paura di fronte a un mondo che cambia molto velocemente. Questo timore però non è nuovo, e non avviene solo in Europa, nel Vecchio Continente appare più forte perché l’Europa ha la sensazione che il mondo stia cambiando a suo sfavore. L’Europa fa fatica a credere in se stessa, nelle sue possibilità, non riesce ad approfittare della globalizzazione, piuttosto che subirla. La globalizzazione è una sfida e l’Europa è il Paese che a priori, sulla carta appare il più dotato per rispondere a ciò. Infatti, è il Continente dove vogliono andare i migranti, dove c’è la speranza di crescita economica, sociale e di democrazia. Per non parlare dell’attrazione culturale, l’Europa parla tante lingue diverse ed è capace di rispondere a tutte le attese del mondo. Questo fa sì che l’Europa a priori sia pronta per affrontare la globalizzazione, ma ogni singolo Paese europeo da solo non va lontano».

Bernard-Henri Levy ha dichiarato che “il palcoscenico Lampedusa è uno di quelli su cui si gioca l’avvenire dell’Europa”, perché per il filosofo francese “se l’Europa non riuscirà a gestire Lampedusa, morirà”. Una fosca profezia o semplice verità?

«Una verità incompleta, perché se è vero che Lampedusa rappresenta un problema, sia per gli sbarchi e sia per chi ci vive, e quindi è di difficile gestione, l’Europa rischia di morire non solo lì ma ad Atene, a Calais. Ci sono tanti luoghi in cui Europa è chiamata a rispondere, a dimostrare che non è soltanto un accordo al ribasso il compromesso tra i Paesi ma che c’è un progetto comune. Aggiungo che spesso si fa confusione tra la visione europea e i singoli Paesi europei, perché nel caso dei migranti l’Europa ha risposto tramite la Commissione Junker che ha fatto il bene comune dell’Europa. Sono i Paesi europei che non rispondono, quindi non bisogna soltanto stigmatizzare l’Europa».

Durante l’incontro Renzi-Hollande della scorsa settimana, il Presidente francese ha detto che “non c’è paese che possa portare il fardello dell’immigrazione per tutti gli altri, nemmeno l’Italia. Altri paesi possono essere coinvolti nei rimpatri”. Ma Hollande ha ribadito al Premier italiano il “no alle quote” di profughi da ridistribuire fra i vari Stati europei. “Bisogna trovare altre formule”. Perché?

«La Francia a differenza dell’Italia che ora si sta trovando in una vera e propria emergenza migranti, da anni accoglie i profughi, nel 2010 la Francia ne ha accolti quasi sessantamila mila. Quindi la Francia dice “noi accogliamo i migranti già da parecchi anni rispetto all’Italia”. Inoltre la Francia non vuole sentir parlare di quote perché non accetta il fatto che l’Europa le imponga la sua politica migratoria. Questo è un elemento determinante, perché Hollande non vuol fare passare il messaggio in patria che la politica francese sia decisa a Bruxelles. Ritengo che alla fine si troverà un compromesso, accettando di prendere un po’ di più di richiedenti asilo di quella quota prevista all’inizio».

Quale soluzione è stata adottata a Bruxelles nel recente vertice europeo del 25/26 giugno?
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Innanzi tutto c’è da dire che a Bruxelles si è discusso per ripartire tra i ventotto Paesi membri dell’Ue i 40mila migranti sbarcati in Italia e Grecia e altri 20mila rifugiati nei campi Unhcr in Africa. I governi dell’Europa orientale (Polonia, Lettonia, Repubblica Ceca e Slovacchia), hanno fatto blocco, cercando di affondare il pacchetto chiamato a far crescere politicamente l’Unione nel nome della solidarietà. Alla fine nella notte tra il 25 e il 26 giugno è arrivata una soluzione di compromesso: 40mila migranti saranno distribuiti in due anni. Nel contempo, è stato deciso che altri due paesi saranno trattati in modo particolare nella redistribuzione dei profughi. Oltre alla Grecia e all’Italia, anche la Bulgaria e l’Ungheria. “Si poteva fare di più, ma è un primo passo e sono contento che l’Europa riconosca che il problema della migrazione è di tutti”, ha commentato il Premier Renzi. Ma i forti contrasti emersi durante il negoziato sono stati confermati da un diplomatico di lunga esperienza per il quale “lo spirito di questo vertice è stato uno dei peggiori che si siano vissuti da decenni”».