Immagine: Il buon pastore. Mausoleo di Galla Placidia, Ravenna
USARE IL DIZIONARIO PER EVITARE FRAINTENDIMENTI
Avevo sempre pensato che l’espressione “il tuo bastone e il tuo vincastro” del salmo 23 fosse una delle frequenti endiadi bibliche, cioè il susseguirsi di due parole in cui la seconda rafforza la prima. Il vincastro quindi era per me era un bastone più robusto, più nodoso, e anche un tantino più temibile dei soliti bastoni dei pastori.
Poi è successo che, una volta mi è venuto di fare quello che fin dalla scuola elementare è consigliato a chi incontra delle parole insolite e vuole arricchire il suo vocabolario: mi son deciso a cercare nel dizionario italiano il significato preciso di quella strana parola del salmo. E, con mia non piccola sorpresa, ho fatto una scoperta che ha cambiato il mio modo di pregare il salmo del pastore. Ho trovato che il vincastro è tutt’altro che un bastone più grosso del solito. Il vincastro è un vimine, normalmente di salice, tenero e flessuoso, tanto che per la sua estrema malleabilità può essere usato per intrecciare ceste, borse e perfino sedie.
In mano ad un pastore che ci fa un rametto di salice? È immediatamente evidente che serve a stimolare dolcemente le pecore e gli stessi teneri agnellini sfiorandoli sui fianchi per farli camminare e per tenerli insieme.
CHIARITE LE PAROLE, IL SALMO 23 È TUTTO DIVERSO, PER LE PECORE…
Da allora leggo il salmo 23 con una comprensione molto diversa. Se mi metto fra le pecorelle di Dio, vedo il pastore cammina davanti al gregge, lo conduce fuori, lo guida verso i pascoli appoggiandosi, soprattutto nei passaggi più difficili al suo bastone che gli dà visibilmente sicurezza. E la sicurezza tranquilla del pastore dà sicurezza e tranquillità anche a me e a tutto il gregge. Quando vedo poi il pastore brandire con decisione il suo bastone contro animali o anche uomini cattivi che ci assalgono e vorrebbero disperderci per rapirci e divorarci, allora la mia, la nostra, sicurezza si carica di fiducia e di coraggio.
Poi quando vedo il pastore avvicinarsi e sento che mi sfiora con il morbido vincastro, sento la sua tenerezza incoraggiante e capisco che egli non è un mercenario, ma è il mio buon pastore e che io gli appartengo. Allora il camminare dietro a lui e accanto a lui diventa una gioia. E sento che è così anche per le altre pecore del gregge.
… E PER I COLLABORATORI DEL BUON PASTORE
Ma siccome per vocazione e per ordinazione, nella Chiesa sono diventato collaboratore del Buon Pastore, guardo a lui per imparare a stare tra le pecore e a fare per loro le cose bene, secondo il suo cuore. Imparo innanzi tutto ad appoggiarmi al bastone della fede per avere io per primo sicurezza da infondere poi nelle pecorelle che mi sono affidate, È infatti la fede che dà la sicurezza. Lo diceva già Isaia: “Senza la fede non avrete stabilità” (Is 7, 9). Poi imparo a brandire il bastone della fortezza per difendere il gregge dagli assalti a volte violenti, a volte subdoli, dei nemici del Buon Pastore. Imparo anche a usare con la maggior delicatezza possibile il tenero vincastro per stimolare affettuosamente le pecore affidatemi, soprattutto quelle malate, le pecore madri e in modo tutto particolare gli agnellini.
Oltre a Gesù, l’unico Pastore delle nostre anime, io guardo anche ad alcuni collaboratori che egli si è dato nella storia. E in questo campo dell’uso del bastone insieme col vincastro mi è particolarmente di stimolo e di incoraggiamento don Bosco che tra le varie parole d’ordine del suo merodo educativo (pastorale) aveva il binomio FERMEZZA e AMOREVOLEZZA.