Viaggio in Albania: così cambiamo orizzonte grazie al progetto “Giovani per il Mondo”

Conoscere l’Altro, la sua condizione, il suo Paese, la sua Storia. Cosa vuol dire viaggiare se non questo? Mettersi in gioco, anche solo per qualche giorno all’anno, ed essere “cittadini del mondo”. Questo è “Giovani per il Mondo”, il progetto Caritas che ogni anno offre l’opportunità a gruppetti di 5-6 giovani (tra i 18 e i 35 anni) di vivere un’esperienza diversa dalle solite vacanze-relax, trascorse sulla spiaggia di qualche esotica meta turistica. Aprire i propri orizzonti verso destinazioni non ordinarie ed essere “ponte” di scambio tra la comunità bergamasca e quella locale, sovente colpita da povertà e da emergenza.

Siamo Davide e Rossella, due giovani del quartiere di Longuelo, e ad agosto partiremo, grazie al progetto “Giovani per il Mondo”, per l’Albania. Vogliamo raccontarvi come mai abbiamo deciso di vivere un’esperienza di questo tipo e quali sono le aspettative che accompagneranno il nostro viaggio.

L’idea di partire è nata all’interno del gruppo giovani di Longuelo (Gru.gio.lo.) da una provocazione del parroco Massimo Maffioletti, come continuum del ciclo di incontri sulla mondialità svolti quest’anno. Un’esperienza di volontariato per toccare con mano gli argomenti affrontati, per rielaborare le conoscenze acquisite tramite un’esperienza al di là dei confini italiani. Valentina, una ragazza del gruppo, aveva già partecipato a due viaggi in Kosovo con la Caritas Diocesana tramite il progetto “Giovani per il mondo” (l secondo dei quali come capogruppo) Noi abbiamo colto al volo la proposta e ci siamo uniti di buon grado a Valentina per partire: destinazione Albania. Il viaggio è cominciato! Il percorso di formazione ci ha permesso di conoscere meglio gli altri due compagni di viaggio, Adele e Simone, e gli altri gruppi di giovani che partiranno per l’India e per il Brasile. Insieme abbiamo discusso e deciso alcune semplici regole comuni da adottare, all’interno del gruppo, una volta in Albania.

«In questo tempo il vostro partire diventa significativo: portare l’amore attraverso il piccolo segno della vostra presenza proprio quando il mondo è pesantemente segnato dal male» ha detto don Claudio Visconti (direttore della Caritas) il 22 giugno in occasione della Messa di mandato nella chiesa del Matris Domini. Partiremo l’8 agosto e avremo il compito di allestire un campo estivo di 2 settimane in un piccolo paesino a un’ora da Tirana. Nel corso della terza settimana incontreremo le persone del posto che ci racconteranno il loro vissuto e la storia del loro Paese.

Cosa ci aspettiamo da questa esperienza?

Rossella:
È dall’anno scorso che sogno e agogno di fare un viaggio all’estero. Quando ero piccola io e la mia famiglia, ossia i miei genitori e mia sorella, ad agosto, facevamo tre settimane in un posto diverso dall’Italia. Era tradizione: la Yolanda, che pensavo fosse una persona e invece era l’Olanda, la fantomatica terra dal più alto numero di ciclisti (bimbi e anziani inclusi), e poi Scozia, Inghilterra, Turchia… Diventando adolescente il camper era una condanna, considerati gli innumerevoli scontri coi genitori, e poi l’università, con le sessioni di Odontoiatria in cui gli esami singoli sono quasi un miraggio, tra i mille parziali in itinere e non, anche se non mancano i mattoni come Anatomia e Fisiologia, che per organizzare meglio il poco tempo libero restano a settembre e così… Eccomi al termine del terzo anno. Non sono mai riuscita a visitare qualche capitale straniera come avrei voluto, rinfrescando i pochi ricordi rimasti da quando ero bambina, scorrazzata in giro per l’Europa… E in questi ultimi due anni non ho più toccato terra straniera. Mi manca… Non capisco le persone che parlano degli stranieri come se li conoscessero, attribuendo loro caratteristiche come se parlassero di un proprio fratello o cugino. Per me non è così… Ogni paese, ogni città, ogni quartiere, ogni persona, ha caratteristiche proprie. Uno stato sopravvive, se in crisi, e vive se in crescita, a modo suo, con regole, livello di corruzione e specificità tutte proprie, e così un essere umano, così l’umanità intera. La mente elabora infinite categorie, infiniti gruppi a cui può appartenere un essere umano, ma nessuno può essere completamente svincolato dagli altri, che pure lo influenzano e lo definiscono. La nostra identità ha mille e più sfumature, voglio andare in Albania per scoprirle e immergermi in ognuna, a contatto con ogni singolo essere umano che mi capiterà di incontrare. Non mi aspetto niente da questo viaggio, la vita mi ha insegnato che quando fai così, torni che ti è rimasto ciò che doveva restare, senza il superfluo. Non mi aspetto che il mio volontariato cambierà le cose, al massimo spero di lasciare un’impronta positiva di entusiasmo e di voglia di fare ai bambini che incontrerò, cercando di trasmetter loro l’importanza di aver cura di se stessi e degli altri, incoraggiando le proprie speciali potenzialità, perché solo così si può vivere una vita veramente degna e piena di gioia.

Davide:
Ho sempre pensato al viaggio come ad una conquista dettata da un percorso lungo e faticoso, un po’ rifacendomi ad una frase di Tiziano Terzani che recita: «Il fine del viaggiare è il viaggiare stesso e non l’arrivare». È per questo motivo che ho sempre snobbato i viaggi “di relax”e “di piacere”, perché non c’è un percorso, un cammino, non c’è un vero viaggiare ma solo un arrivare. Non sono uno di quei turisti che va in un posto, scatta un paio di fotografie, compra un souvenir e se ne torna a casa. Voglio capirci di più di quel posto: viaggio per conoscere l’Altro, il suo mondo, le sue abitudini. È forse per questo che sono sempre stato attratto dalla figura del reporter che unisce il suo lavoro ad un vero stile di vita: quello del viaggiare. È forse per questo che la mia piccola biblioteca personale è composta, per larga parte, da libri scritti da viaggiatori che sono andati e hanno raccontato e descritto quello che hanno visto, sentito, annusato. Non sono descrizione obiettive, non sono guide turistiche. È impossibile essere obiettivi quando si viaggia.

Ecco che, quando mi è stata proposta la possibilità di vivere un’esperienza come quella di una “vacanza missionaria” in Albania, non ho avuto dubbi. Sapevo che prima o poi avrei affrontato un viaggio simile. E’ una di quelle esperienze che si potrebbero definire cinicamente di formazione o di crescita personale. Sono esperienze che chiamano in gioco anima e corpo e non possono lasciare indifferenti. Sono quei viaggi che piacciono a me. Quei viaggi che vanno a costituire il bagaglio personale di esperienze forti che aiutano a crescere e segnano profondamente la vita di una persona. Quelle esperienze per cui “il fine del viaggiare è il viaggiare stesso”.