Difesa della Costituzione, difesa di chi non ha difesa. Credenti e politica. E tanto altro. Intervista a Rocco Artifoni

“Ognuno di noi – affermava nel 2010 l’allora arcivescovo di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio – deve recuperare sempre più concretamente la propria identità personale come cittadino, ma orientato al bene comune”; dunque, “se il cittadino è qualcuno che è convocato e obbligato a contribuire al bene comune, per ciò stesso fa politica, che, secondo il magistero pontificio, è una forma alta della carità”. Così dovrebbe essere, viene da dire; ma come stanno effettivamente le cose, per quanto attiene all’impegno dei cattolici nella vita politica, al di là delle schede di voto di tanto in tanto depositate nelle urne elettorali? Pochi giorni fa, Santalessandro.org ha pubblicato un articolo del vicepresidente provinciale delle Acli Daniele Rocchetti (vedi qui), in cui egli sviluppava una riflessione sulla “poca significatività – se non addirittura irrilevanza – dei cattolici nell’agone politico del nostro Paese”, come conseguenza di una “scarsa, se non nulla, formazione alla polis all’interno delle comunità cristiane”.

Da parte sua Rocco Artifoni, membro della Fondazione Serughetti – Centro La Porta, del Comitato bergamasco per la difesa della Costituzione e del coordinamento provinciale di Libera, sottoscrive in gran parte queste considerazioni critiche, ma segnala pure una serie di iniziative avviate, qua e là, nella diocesi di Bergamo: “Dallo scorso anno – egli racconta -, la parrocchia di Torre Boldone promuove degli itinerari mariani, sotto il titolo Il Rosario con i piedi; in questa seconda edizione, si è dato spazio al tema della Costituzione, riletta anche attraverso le figure di due grandi rappresentanti del cattolicesimo democratico, Aldo Moro e Giuseppe Dossetti. In passato, sul bollettino parrocchiale, erano usciti ventitré articoli, firmati da me e da Filippo Pizzolato, docente di Diritto pubblico all’Università di Milano-Bicocca: questi scritti sono poi stati raccolti in un volume delle Edizioni Gruppo Aeper, L’ABC della Costituzione. Recentemente anche altri periodici parrocchiali, come la Voce di Seriate, hanno pubblicato dei miei contributi sullo stesso argomento”.

Ecco, come si può fare, per rendere “appetibile” la lettura della nostra carta costituzionale, soprattutto a un pubblico giovane?

“Quando mi trovo a parlare in pubblico su questo tema, parto dalla mia esperienza: io ho sentito davvero il bisogno di approfondire la conoscenza della Costituzione facendo parte del Comitato provinciale per l’abolizione delle barriere architettoniche. Pensiamo al comma 2 dell’articolo 3: È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana… Questo principio ha delle implicazioni assai concrete, ad esempio per quanto attiene al diritto delle persone con disabilità (ma non solo) di accedere liberamente agli spazi pubblici. Da un lato, chi intenda esercitare attivamente il suo ruolo di cittadino deve inevitabilmente confrontarsi con il testo della Costituzione; dall’altro, è pure vero che si sente la mancanza di una vera cultura costituzionale, a livello diffuso. Proprio per questo, insieme ad altri, ho iniziato a tenere conferenze nelle scuole, portando il contributo non di un giurista – perché non lo sono -, ma di una persona interessata alla qualità della convivenza civile. Ricorderei tra l’altro come, stando all’articolo 2, la pratica della solidarietà non sia un ‘di più’, affidato a una buona disposizione d’animo dei singoli: al contrario, la Repubblica richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

Vi è una precisa concezione dell’esistenza umana, alla base di queste parole.

“Evidentemente: l’idea di fondo è che la persona umana non debba e nemmeno possa vivere da sola, in modo autarchico. Proprio perché degli altri, in forme diverse, tutti noi abbiamo bisogno, lo Stato deve tutelare chi si trova in situazioni di particolare fragilità. Questo è un principio molto cristiano, ma sul quale si può concordare anche a partire da una posizione laica, se si è consapevoli dell’importanza di stabilire e rispettare un patto di coesione sociale tra i cittadini. Oggi abbiamo bisogno di una cultura politica che sia di alto profilo, che sia lievito della comunità civile e non semplice ‘amministrazione’. Talvolta, invece, sembra che dal punto di vista elettorale sia più importante sistemare le buche nelle strade, piuttosto che sostenere le persone in difficoltà”.

Oggigiorno, a livello globale, la politica tende ad assomigliare a una serie di “processi senza soggetto”, nel senso che sembrano sottratti alla possibilità di intervento degli individui e dei piccoli gruppi. Forse, è più facile agire in un ambito meno esteso, quello delle nostre città e paesi.

“Penso di sì, ritengo anch’io che la politica debba rinascere dal basso, dalle questioni riguardanti le nostre comunità. Del resto, le parrocchie, insieme alla scuola, rappresentano oggi uno dei pochi centri di aggregazione e di promozione della vita sociale. Nella scuola, purtroppo, spesso si trascura l’aspetto dell’educazione alla cittadinanza, tema invece carissimo ad Aldo Moro e a tanti altri dopo di lui. La cosa, oggi, è perlopiù affidata alla sensibilità e alla buona volontà dei docenti; rimane comunque vero che la scuola ha un ruolo insostituibile, dal punto di vista della formazione dei nuovi cittadini”.

Riguardo alle nostre comunità parrocchiali (dove “nostre” sta a dire della Lombardia e del Veneto, regioni in cui il cattolicesimo storicamente ha avuto una vocazione sociale): oggi si ha l’impressione che a uno straordinario impegno sul versante del volontariato spesso non si accompagni una riflessione di secondo livello, propriamente “politica”, sulle questioni di interesse comune. 

“Lo dimostrano anche certi comportamenti elettorali: si fa volontariato, ci si impegna in parrocchia come animatori o catechisti, ma poi, spesso, si vota per partiti o liste che perseguono obiettivi palesemente in contrasto con il modello solidaristico che ho appena menzionato. Per portare un caso concreto: a me pare impensabile che una comunità cristiana non prenda decisamente posizione, quando una giunta comunale si sottrae all’obbligo di accoglienza nei riguardi di un’immigrata minorenne, uscita dal mondo della prostituzione denunciando i suoi sfruttatori”.

Probabilmente, vi è anche la preoccupazione di non lacerare le comunità cristiane, di non trasformare i pulpiti delle chiese in tribune parlamentari…

“Vi sono molti temi sui quali una pluralità di visioni tra i credenti è perfettamente legittima: potremo discutere ampiamente se in un comune si debba costruire una nuova palestra oppure no, se sia meglio finanziare un servizio di trasporto o qualche altra attività. Su altre questioni, invece, credo che ci si debba pronunciare nettamente, anche a rischio di alimentare dei contrasti: nell’Apocalisse Cristo, rivolgendosi all’angelo della Chiesa di Laodicea, lo rimprovera di non essere ‘né freddo né caldo’; ecco, per quanto riguarda il punto decisivo, l’aspetto di una difesa degli ultimi anche a livello politico, mi pare che troppe nostre comunità siano tiepide. Rosario Livatino, un giovane giudice ucciso dalla mafia, sosteneva che ‘alla fine non ci sarà chiesto se siamo stati credenti, ma se siamo stati credibili’. Ci vuole più coraggio: di fronte alle ingiustizie non si può tacere, magari con la buona intenzione di non creare divisioni. Così si finisce per dimenticare che sono le discriminazioni la vera spada che divide. Aveva ragione don Lorenzo Milani, che in un mondo diviso tra oppressi e oppressori non è rimasto con le mani in mano. Pochi mesi fa don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele e di Libera, proprio a Bergamo ha spiegato che ‘la giustizia è il sentirsi offesi personalmente quando un altro subisce un torto’. Bisogna ripartire da qui”.