Cuore tenero e spirito forte. La lotta della “Rosa bianca” contro il nazismo

Immagine: Monumento all’ Università Ludwig Maximilian di Monaco, dedicato al gruppo della Rosa Bianca.

Monaco presso l’Università Ludwig Maximilian. Proprio lì, il 18 febbraio del 1943, due fratelli Hans e Sophie Scholl furono fermati dalla Gestapo perchè distribuivano volantini contro il nazismo. Facevano parte un gruppo di giovani studenti, denominato La Rosa Bianca. Una rosa stilizzata composta da tanti fogli… altro non sono che quei volantini, 6 per l’esattezza

“Quando i nazisti presero i comunisti non aprii bocca: io certo non ero un comunista. Quando rinchiusero i socialdemocratici rimasi in silenzio: non ero un socialdemocratico. Quando arrestarono i cattolici neanche allora ho protestato: non ero cattolico. Quando hanno preso me, non c’era più nessuno che potesse dire qualcosa”. Così il pastore protestante Martin Niemöller rievocava, con efficacia, la tragedia della resistenza tedesca nei dodici tragici anni della dittatura hitleriana. Durante quegli anni, tanti tedeschi scelsero di essere, più o meno volontariamente “volenterosi carnefici” (Goldhagen), molti preferirono tacere, in attesa di tempi migliori, altri, e tra questi molti cristiani, furono sedotti da quello che Dietrich Bonhoeffer, con lucidità, chiamò non Fuher, il capo, ma, piuttosto, il “Verfuhrer”, il “seduttore”. Non fu così, invece, per Hans e Sophie Scholl e un gruppo di studenti riuniti del gruppo della “Rosa Bianca”. La loro è una storia piccola per dimensioni, breve per durata, ma nello stesso tempo è così ardente di coraggio e così pura di ideali che, esattamente a settantadue anni di distanza (marzo 1943), non cessa di inquietare e commuovere profondamente.

UNA MORTE STRAORDINARIA. “TUTTO IL CARCERE NE FU IMPRESSIONATO”

Nelle scorse settimana è morto a Monaco di Baviera  Franz Joseph Müller, l’ultimo esponente del gruppo ancora in vita. Quante volte – guidando studenti nei campi di concentramento tedeschi – mi è capitato di incontrarlo! Ci davamo appuntamento in Università, nella stanza dedicata alla Rosa Bianca. Prima di entrare, nel cortile di ingresso, sulla piazza dell’ateneo, mi fermavo a guardare per terra le copie, in ceramica, dei volantini che i ragazzi, tra il 1942 e il 1943, ciclostilarono e spedirono in qualche centinaio di copie a indirizzi scelti a caso negli elenchi telefonici, privilegiando professori e intellettuali, o lasciati in locali pubblici, alle fermate dell’autobus, nelle cabine telefoniche, o gettati dai tram di notte. L’ultimo volantino, il sesto, i fratelli Scholl lo gettarono dalla balconata dell’Università la mattina del 18 febbraio del 1943. Fermati da un bidello, vennero arrestati e interrogati a lungo e il 22 febbraio, insieme ad un altro esponente del gruppo arrestato subito dopo, Christoph Probst, vennero processati. La sentenza era già stata decisa a Berlino: “Essi vengono puniti con la morte. Essi hanno perduto per sempre i loro diritti civili”. Christoph ricevette il battesimo, la comunione e l’estrema unzione dal cappellano cattolico, e scrisse alla madre: “Ti ringrazio di avermi dato la vita. A pensarci bene, non è stata che un cammino verso Dio”. Anche Hans e Sophie celebrarono la Santa Cena con il pastore evangelico, cui Hans chiese di leggere il Salmo 89 (“Rendici la gioia per i giorni di afflizione, per gli anni in cui abbiamo visto la sventura”) e il passo della prima Lettera ai Corinzi (13, 1-12): “Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità…”. Ai fratelli Scholl venne permesso un ultimo e breve incontro con i genitori. Racconterà uno dei secondini: “Si sono comportati con coraggio fantastico. Tutto il carcere ne fu impressionato. Perciò ci siamo accollati il rischio di riunire ancora una volta i tre condannati, un momento prima dell’esecuzione capitale. Volevamo che potessero fumare ancora una sigaretta insieme. Non furono che pochi minuti, ma credo che abbiano rappresentato un gran regalo per loro”. “Fra pochi minuti ci rivedremo nell’eternità”, disse Probst. Vennero condotti alla ghigliottina, senza battere ciglio. Il boia dirà di non avere mai veduto nessuno morire così. “Viva la libertà”, gridò Hans Scholl mentre lo portavano al patibolo.

NON SI NASCE CON IL MARCHIO DEL RESISTENTE!

“Ai ragazzi di oggi vorrei dare questo consiglio: non tacete, quando vedete un’ingiustizia. E poi cercatevi degli amici che pure non vogliano tacere. Questa è stata la storia della “Rosa Bianca”. Cosi terminava la mia chiacchierata con Franz Josef Müller.  Durante il nazismo, era un diciottenne maturando quando – con l’accusa di far parte del gruppo di resistenti – venne arrestato e condannato dal tribunale militare di Monaco a 5 anni di reclusione. Dopo la guerra Müller, insieme alla moglie Britta fu tra i fondatori della Fondazione “Rosa Bianca”. Nelle nostre lunghe chiacchierata mi raccontava che il papà era più accomodante ma la mamma non voleva divise in casa, era fortemente antinazista. “Io ero cattolico e grazie a questo gruppo maturai una feroce opposizione ad un sistema che ci voleva ‘massificare’. Sono stato fermato tre volte per strada, intimidito e picchiato. Ma ho imparato a resistere. Non si nasce con il marchio del resistente: si impara! I nostri incontri diventarono via viva sempre più politici e sempre meno religiosi. Cominciammo a scrivere insieme i testi dei volantini. Se li legge oggi, li trova ancora straordinariamente attuali. Non protestavamo soltanto, facevamo proposte, guardavamo il futuro: sognavamo la fine della guerra e del totalitarismo, l’Europa unita e gli stati europei alla pari, la pace. Avevamo la pretesa di voler risvegliare le coscienze; scrivevamo che era un dovere morale opporsi perché ‘non c’è nulla  di più vergognoso che lasciarsi governare’”.

Quando gli chiedevo quanto avesse inciso la fede nella loro scelta mi rispondeva cosi: “Qualcuno di noi era cattolico, i più erano riformati, Schmorell ortodosso. Insomma, i nazisti sono riusciti a riavvicinare mondi lontani da quattrocento anni! I nostri  volantini erano ricchi di citazioni  dei classici greci, dei poeti romantici tedeschi. Ma è dalla Bibbia che veniva il sostegno più forte: “Mi voltai e vidi tutto il male che è stato commesso sotto il sole; ed ecco, vi erano le lacrime di quelli che soffrivano ingiustizia e non avevano alcun consolatore; coloro che gli arrecavano ingiustizia erano così potenti che essi non potevano avere alcun consolatore… (Ecclesiaste 4, 1)” (dal IV volantino). E di fronte al male che avvelenava le anime si doveva scegliere: la negazione del diritto non è vita. È non vita, è il sonno delle coscienze: “Ognuno vorrebbe liberarsi da questa complicità, ciascuno cerca di farlo ma poi ricade nel sonno con la più grande tranquillità di coscienza. Ma egli non può scagionarsi: ciascuno è colpevole, colpevole, colpevole!” (dal II volantino). Ed ancora: “Bisogna avere un cuore tenero e uno spirito forte. Noi non taceremo, noi siamo la voce della vostra cattiva coscienza”. Su ogni volantino la stessa firma: “Die Weisse Rose”,  la Rosa Bianca.”

Franz Muller passò due anni in prigione, diciotto mesi in cella d’isolamento. Ogni volta che ricordava quel periodo era orgoglioso di dire che la loro lotta era stata per  la libertà e la dignità dell’uomo. E finiva l’incontro con i ragazzi con questa domanda: “Vale più la vita o le ragioni per le quali si vive e per le quali si è disposti a morire?”.