“In Ecuador, Bolivia e Paraguay Papa Francesco visiterà i luoghi più poveri del continente e del mondo”. Intervista a uno dei maggiori esperti, Raffaele Fichera, vaticanista RAI

«Le tappe più importanti dal punto di vista pastorale, del percorso del nono viaggio apostolico che porterà Papa Francesco dal 5 al 13 luglio prossimi in Ecuador, Bolivia e Paraguay saranno le tre grandi celebrazioni religiose: quella del 6 luglio a Quito (Ecuador, Santuario della Divina Misericordia), del giorno 9 a Santa Cruz della Sierra (Bolivia, Piazza del Cristo Redentore) e infine la Messa dell’11 sul piazzale del Santuario mariano di Caacupé (Paraguay). Forse non i sette milioni di persone di Manila ma comunque un impressionante numero di fedeli, donne e uomini che vivono alla “fine del mondo” e che faranno di tutto per essere lì davanti al “loro” Papa. Credo che la visita in tutta la Bolivia e quella al Bañado Norte in Paraguay rappresentino l’essenza di tutto il viaggio del Papa in America Latina e il sentimento di Francesco. Non soltanto perché visita a popolazioni di Paesi al confine Nord dell’Argentina di Bergoglio, quindi ben conosciuti e a lungo frequentati da colui che è stato prete a Buenos Aires, ma soprattutto perché tra i luoghi più poveri del Continente e del mondo». Raffaele Fichera, vaticanista del Tg3, dal 2013 segue Papa Francesco in tutti i suoi viaggi in Italia e all’estero, e ha intervistato due volte il Pontefice a Buones Aires quando Jorge Mario Bergoglio era ancora Primate d’Argentina. Qui il giornalista, nato a Roma nel 1956, sintetizza per noi il valore politico e pastorale del programma del viaggio che porterà il Santo Padre dal Nordovest fino al Sud dell’America Latina. «Chissà se Francesco riuscirà a recarsi presso le rovine delle famose “Misiones” gesuite nel Dipartimento di Itapúa. Se riuscisse a farlo sarebbe “la sorpresa”. È vero che Bergoglio improvvisa, è solito spiazzare cerimoniali e sconvolgere programmi, ma la sua agenda è già fittissima. Non vedo buchi liberi per soddisfare quella che è stata, a quanto mi risulta, una delle richieste iniziali della Chiesa paraguaiana», precisa Fichera, dal 2004 al 2012 responsabile della sede di Buenos Aires come corrispondente della Rai per tutta l’America del Sud.

I cattolici in queste tre Nazioni sono la maggioranza: Paraguay 70%, Bolivia 86%, Ecuador 85% della popolazione. Come sono le relazioni tra le rispettive chiese locali e i governi?

«Da anni, relazioni sostanzialmente buone. Da quando c’è Francesco, però, vanno sottolineate due diverse situazioni, entrambe di cambiamento. La prima riguarda l’Ecuador del presidente Correa. Inizialmente criticato dalla Conferenza Episcopale del Paese per la nuova Carta Costituzionale, l’ex “missionario” (Correa ha vissuto per un anno nel centro di assistenza sociale dei salesiani nella provincia del Cotopaxi) ha oggi uno speciale feeling con la Chiesa locale. Un anno fa Correa ha addirittura minacciato di dimettersi se l’alleanza politica che lo sostiene avesse votato per la depenalizzazione dell’aborto in Ecuador. Ha così bloccato la proposta di legge e c’è da credere che il “peso” della presenza di Francesco a Roma non sia stato secondario, in questa come in altre decisioni del presidente. L’altra situazione riguarda il governo di La Paz. Evo Morales – leader sindacalista, primo “nativo” a essere eletto presidente in Bolivia e infine uomo molto vicino alle teorie “bolivariane” dello scomparso Hugo Chavez – ha già incontrato almeno due volte questo Papa. Da un paio di anni ha smussato spigoli e durezze di una politica per certi versi intransigente, vestendo con maggiore facilità i panni di presidente di tutti, aperto al confronto, pronto al dialogo. Parole e concetti, questi ultimi, che vengono ripetuti spesso, dal 2013 in poi, a Roma e nei viaggi apostolici del sudamericano ormai più famoso al mondo».

Papa Francesco sarà il secondo Pontefice a recarsi in questi luoghi. Nel caso dell’Ecuador, Bergoglio lo farà trent’anni dopo la visita di San Giovanni Paolo II del gennaio/febbraio 1985, mentre le visite in Bolivia ed Ecuador saranno compiute a ventisette anni di distanza da quelle di Papa Wojtyla del maggio 1988. Il Pontefice troverà degli Stati cambiati rispetto a quelli che incontrò il papa polacco?

«Grandi cambiamenti dal punto di vista economico purtroppo non ce ne sono stati. A parte il Cile (che ha sempre fatto storia a parte) l’unico Paese dell’America del Sud ad aver compiuto sensibili progressi in questo senso è il Brasile che, con Lula prima e con la Rousseff poi, ha combattuto con successo la povertà, conquistato fette di mercato internazionale, attratto capitali stranieri. Una vera e propria rivoluzione, invece, è forse possibile riscontrarla nel lungo cammino che tutti i Paesi latino americani hanno intrapreso verso un modello politico più democratico. Passi a volte giganteschi, se si pensa che il già citato Cile, all’epoca del viaggio di San Giovanni Paolo II, era ancora governato dalla dittatura militare di Pinochet; che, dai Caraibi alla Terra del Fuoco, il continente era soprannominato il “giardino degli Usa”; che alle sole classi alte era consentito non solo il raggiungimento di posizioni di leadership politica, ma finanche la scolarizzazione, l’accesso alla cultura. Ancora il Cile e successivamente anche Argentina e Brasile, poi, sono nazioni guidate da una “presidenta”: una donna al potere che, a ben vedere, è passo ancora incompiuto per molti Paesi in Europa, Italia o Stati Uniti compresi».

Le tre Nazioni visitate da Bergoglio sono oppresse da gravi ritardi economici con alte percentuali di abitanti in situazione di povertà. Tre Nazioni che rappresentano tre periferie non solo geografiche ma anche esistenziali, dove la Chiesa deve ripartire, secondo uno dei concetti cardine del pontificato di questo Papa?

«Proprio dalla miseria, dalla povertà. Lo scorso 12 giugno, in occasione del raduno mondiale dei sacerdoti in San Giovani in Laterano, Bergoglio ha parlato per oltre due ore. Lo ha fatto nella propria lingua. E, come sempre accade quando parla in “castellano”, così chiama lo spagnolo alla maniera de los porteños, il suo discorso è stato molto più coinvolgente del solito. Rispondendo a un frate del Perù che gli aveva rivolto proprio questa domanda, ha risposto con semplicità: “Mi hai detto di venire da un piccolo centro, gente poverissima, enormi problemi, – ha iniziato il Papa – vuol dire – ha proseguito dopo un attimo di riflessione – che hai tutto quello che ti serve. Parti proprio dalla povertà, considerala condizione privilegiata così come ha sempre fatto Gesù. Non voglio dire con questo che va conservato lo status quo, che non bisogna lottare per cambiare la situazione – ha precisato il pontefice”. “Ai delegati Fao – ha continuato – ho appena ricordato la vergogna della differenza tra Nord e Sud del mondo, il primo ha come problema alimentare quello dei grassi eccessivi, del movimento come modo per dimagrire; il secondo, cioè il Meridione della Terra, ha un’emergenza cibo totalmente diversa, riuscire a procurarsi almeno un pasto al giorno. Ma nella povertà – ha concluso il Papa che non ha caso ha scelto Francesco come nome – c’è tutto il messaggio del Vangelo”».

C’è anche una valenza politica oltre che religiosa dietro alla beatificazione di Mons. Oscar Arnulfo Romero avvenuta a San Salvador lo scorso 23 maggio, fortemente voluta da Papa Francesco?

«Lo scorso aprile, Monsignor Urioste, per anni collaboratore di Romero e uomo che, assieme a Mons. Paglia, ha fornito il principale contributo nella causa di beatificazione del martire salvadoregno, ha affermato che presto il suo “vecchio amico” verrà proclamato santo. E che, in quella occasione, Papa Francesco potrebbe compiere un viaggio pastorale in America Centrale. Ma al di là del possibile “doppio salto” (beato e subito dopo canonizzato), l’accelerazione alla pratica Romero, iniziata con Benedetto XVI ma impressa da Francesco dopo che le gerarchie vaticane per 20 anni ne avevano ostacolato il cammino, dice molto. Romero conservatore e inizialmente critico con la guerriglia di sinistra che negli Anni 70 combatteva la dittatura militare, venne etichettato come comunista perché si opponeva alle brutalità del governo, agli squadroni della morte. Fu accostato alla Teologia della Liberazione perché vicino a Rutilio Grande, padre gesuita ucciso in Salvador tre anni prima di lui. Ma alla Teologia della Liberazione, Romero, in definitiva un conservatore, fu sostanzialmente contrario. Erano gli anni, come ho già detto, in cui il continente latino – americano era il cortile di casa degli Stati Uniti. Gli anni in cui a molti faceva comodo pensare che a San Pietro il Papa fosse soprattutto un anti-comunista. Per questo la decisione di Francesco di velocizzare la causa sembra rispondere a una precisa domanda: quanti furono allora i cattolici uccisi con il pretesto del comunismo? Con la falsa accusa di simpatie di sinistra? Domanda scomoda, specie pochi mesi prima del viaggio del Papa, nel settembre prossimo, negli Stati Uniti. In questo senso, dunque, sì: c’è anche una valenza politica nella beatificazione di Mons. Romero. Soprattutto in considerazione di una tragedia attualissima e dalle proporzioni sempre più grandi: la persecuzione dei cristiani nel mondo, tragedia alla quale questo pontificato presta massima attenzione. Politica a parte, però, è il martirio di Romero che il Papa argentino vuole sottolineare, il fatto che il vescovo latino abbia sacrificato la propria vita per difendere sia i principi del Vangelo sia la parte più povera del proprio popolo. Il sangue dei martiri è in grado di unire la Chiesa, tutta, dai cristiani agli ortodossi, va ripetendo Bergoglio, che ha appunto annunciato di voler stabilire assieme a Costantinopoli una data fissa per la festività della Pasqua. Quindi, a ben vedere, quella di Francesco è da considerare semmai politica per l’ecumenismo».

Bergoglio durante il viaggio sfiorerà l’Argentina, quando è prevista una visita del Pontefice nella sua terra natale e quanto è importante per l’America Latina un pontefice venuto dalla fine del mondo?

«Il 2015 è già stato tutto programmato in Vaticano. Dopo Cuba e Stati Uniti, a novembre sarà la volta del viaggio in Africa. Da tenere conto, poi, che – sempre quest’anno – in Argentina si terranno le elezioni presidenziali e, nonostante la presidente Cristina Kirchner non possa (per dettato costituzionale) puntare al terzo mandato, è politica della Santa Sede non effettuare viaggi papali nei Paesi in odore di urne. Sembra dunque probabile che un “ritorno a casa” di Francesco verrà annunciato nel corso dell’anno successivo, il 2016. Sull’importanza di un Papa come Bergoglio per l’America Latina credo di aver in parte già risposto. Parole come povertà, periferia, fame, dignità del lavoro rappresentano tematiche sociali, “vesti” spirituali che un pontefice come lui, impegnato per anni nei barrios di Buenos Aires, indossa non soltanto per carità cristiana ma addirittura come seconda pelle. Per questo, più dell’importanza di un Papa così per una sola porzione di mondo, direi che si debba riflettere sul ruolo di Francesco come autentico leader globale. Ho accennato prima ai 7 milioni di presenze registrate nella messa che ha celebrato nelle Filippine. Una cifra ancor più sorprendente se si pensa che sarebbe un numero gigantesco anche se riguardasse il complesso di followers di una rockstar, di internauti che, da casa, fanno un semplice click con il mouse. A Manila, però, milioni di persone si sono mosse, hanno viaggiato, in certi casi anche per un giorno intero, pur di riuscire a essere presenti, personalmente spettatori di quell’evento. Tutt’altra storia, dunque. Da qui, la domanda retorica: esiste davvero, oggi, nel panorama mondiale un altro personaggio tanto carismatico, ugualmente capace di guadagnare rispetto come Bergoglio?».

“Se c’è una persona in questo secolo che stiamo vivendo degna d’essere presa a modello, questa è Francesco Bergoglio. Lui ha già dato ad una umanità frastornata, avvilita, cinica, corrotta, frustrata, un esempio di dignità che tutti dovrebbero tentare di imitare con sincera riconoscenza”, così ha scritto in un suo editoriale Eugenio Scalfari. Condivide il pensiero del fondatore di Repubblica?

«Ho incontrato Mons. Bergoglio una domenica mattina del 2005, a Buenos Aires. Era da poco terminato il Conclave che a Roma aveva eletto Benedetto XVI. Ed erano appena iniziate a circolare le indiscrezioni sul consistente numero di preferenze che sarebbero state attribuite al cardinale argentino durante la votazione iniziale nella Cappella Sistina. Cercai di ottenere un commento da lui. Ovviamente si rifiutò. Rimasi allora in Cattedrale per seguire la funzione religiosa, per ascoltare la sua omelia. E, negli anni successivi, l’ho fatto tutte le volte che mi è stato possibile. Certo non potevo supporre che un giorno sarebbe stato il capo della Chiesa di Roma (anche se ancora non mi spiego come mai il suo nome non fosse tra quelli candidati alla successione di Papa Ratzinger). Tanto meno, poi, potevo immaginare allora che, da lì a qualche anno, avrei dovuto occuparmi di lui per motivi di lavoro, che mi sarebbe toccato il ruolo di cronista al seguito del più grande personaggio dei nostri tempi, forse del secolo. In quel periodo sudamericano ero naturalmente affascinato, al pari di migliaia di argentini, dalla semplicità delle sue parole, dalla forza dei concetti che esse esprimevano. Più di una volta mi sono sorpreso a pensare quanto mi sarebbe piaciuto averlo come uno dei nonni che non ho mai conosciuto. Suggestione che nasceva e subito evaporava di fronte alla logica dell’anagrafe, all’età di entrambi che faceva di Bergoglio un nonno davvero troppo giovane. Eppure ancora oggi mi capita di pensare a lui come un nonno. Tra l’altro, Francesco stesso si è più volte definito in questo modo, parlando da pontefice. Diciamo allora che è un progenitore ideale. Più che un esempio da seguire, una forza motrice da sfruttare. Un volano capace di avviare dinamiche sociali, camera di combustione per processi dello spirito che sembravano chiari a tutti ma che, da tanto, troppo tempo, in molti avevano accantonato. Anche nella Chiesa. Imitarlo, imitare Francesco così come qualunque altra persona, è probabilmente inutile. Farsi accendere da lui può dare grandi soddisfazioni».