Il mondo del non profit contro la crisi: l’economia sociale in Italia rappresenta il 4% del Pil

L’economia sociale in Italia è in ottima salute. E negli ultimi anni questo settore non solo è cresciuto in termini occupazionali, ma ha anche dato al Paese una grossa mano a combattere la crisi. È quanto emerge dal rapporto “Italia – Geografie del nuovo made in Italy”, realizzato dalla Fondazione Symbola, da Unioncamere e dalla Fondazione Edison con il patrocinio dei ministeri degli Affari Esteri, delle Politiche agricole, dei Beni culturali e dell’Ambiente. All’interno del rapporto, è in particolare il capitolo “Localismo e Sussidiarietà” – realizzato dall’Aiccon (l’Associazione Italiana per la promozione della cultura della cooperazione e del Noprofit) – a tracciare un quadro completo della situazione del terzo settore italiano. Scorrendo i dati del rapporto, si scopre che nella produzione di servizi il nostro Paese non raggiungerebbe mai l’attuale grado di welfare senza l’aiuto fondamentale del terzo settore. Con 5 milioni di volontari, 12mila cooperative sociali, almeno 800mila occupati, oltre 300mila istituzioni attive, il mondo del non profit rappresenta infatti il 4% del Pil, l’equivalente di quasi 70 miliardi di euro. E stando ai numeri, il Terzo settore italiano conta ben 301.191 istituzioni, un sistema nel quale spicca il settore associativo con 269.353 associazioni (di cui 201.004 non riconosciute e 68.349 riconosciute), cui si aggiungono poco più di 6mila fondazioni.

Numeri importanti. Complessivamente il sistema conta 681mila addetti (tanti quanti sono complessivamente gli addetti delle imprese di Umbria e Liguria, con un incremento rispetto al 2001 di quasi il 40%), 4,7 milioni di volontari, 271mila lavoratori esterni e 5mila lavoratori. “Sono numeri importanti, che dimostrano come il terzo settore rappresenti un presidio fondamentale per la coesione sociale del nostro Paese – afferma Sara Rago, curatrice del capitolo su ‘Localismo e Sussidiarietà’- e quando il no profit cresce, cresce di conseguenza anche l’occupazione perché si porta dietro uno sviluppo inclusivo”.

Italia prima per cooperative. L’economia sociale italiana, dunque, viaggia a gonfie vele e conferma un ottimo stato di salute anche nel confronto con gli altri paesi europei. Secondo il dossier, nel confronto con le principali economie dell’Unione, l’Italia è prima per quota percentuale di addetti sul totale dell’economia (9,7%), superando la Francia (9,0%), la Spagna (6,7%), la Germania (6,4%), il Regno Unito (5,6%) e scavalcando in generale la media europea (6,5%). Il nostro è inoltre il primo Paese per numero di cooperative e per numero di addetti relativi: con 71.578 unità ne conta il doppio della somma di Francia, Germania e Regno Unito e con 1.128.281 addetti ne conta poco meno del totale degli addetti dei tre Paesi presi a riferimento.

Imprenditoria sociale. All’interno del rapporto, un paragrafo a parte viene dedicato all’imprenditoria sociale made in Italy, che rappresenta un segmento assai decisivo per la nostra economia sociale. Sono tanti i soggetti che fanno parte di questo micromondo: innanzitutto le cooperative sociali e le imprese sociali, ma anche le organizzazioni non profit orientate al mercato, alle quali si aggiungono tutte le imprese for profit che operano negli ambiti di attività contemplati dalla legge sulle imprese sociali. Un bacino imponente, dunque, che conta quasi 100mila enti e che rappresenta soprattutto una forte realtà economica che coinvolge 12.570 unità, con un capitale investito che sfiora gli 8,3 miliardi di euro. Ma è nella dimensione occupazionale che emerge tutto il valore dell’imprenditoria sociale: con 513 mila occupati, di cui il 63% a tempo indeterminato, le cooperative sociali hanno generato nel 2011 un fatturato complessivo di 10,1 miliardi di euro, pari al 17,5% delle entrate registrate nello stesso anno dalle istituzioni non profit. “Il non profit italiano è a tutti gli effetti un asset strategico del Paese – ribadisce Sara Rago – tanto dal punto di vista economico, per il contributo in fatturato e occupazione, quanto da quello sociale, per l’apporto in termini di inclusione sociale e di servizi erogati ai cittadini e alle famiglie”.