Essere cristiani oggi. Stiamo perdendo la fede, ma non per colpa del Califfato

Immagine: s. Ilario di Poitiers (315 circa – 367) 

All’epoca dei Martiri, all’inizio dell’era cristiana, sotto l’Impero romano, era difficile essere cristiani, perché per esserlo bisognava mettersi fuori del modo corrente di ragionare e di vivere.

Nell’Impero romano la difficoltà derivava dalla pretesa “divina” dello Stato e del suo padrone (il “divino” Cesare), mentre per i cristiani c’è un solo Signore: Gesù. Essere cristiani comportava porsi fuori della logica dell’Impero, con tutte le conseguenze politiche, sociali ed economiche che ne derivavano; soprattutto con grave pericolo per la vita stessa.

DA NOI I MARTIRI NON SONO UCCISI DALL’ISIS

Come è sotto gli occhi di tutti, come il Papa Francesco non manca di mettere in evidenza, le persecuzioni cruente come quelle dei Romani non sono mai cessate. Da una parte o dall’altra del mondo qualche pretendente a poteri assoluti non è mai mancato. Possiamo perfino dire che in tutta la storia della Chiesa non ci sono mai stati tanti martiri come nell’ultimo secolo. Si pensi ai martiri del comunismo, del nazismo, e ultimamente del cosiddetto califfato.

Noi forse ne abbiamo soltanto un’eco lontana. In seguito agli sguaiati strilli di Salvini cominciamo ad essere preoccupati anche noi dell’islamismo integralista e del suo espansionismo, ma, siamo sinceri, la nostra preoccupazione non è propriamente per i pericoli che corriamo come credenti.

IL PERSECUTORE CHE CI ACCAREZZA IL VENTRE E CI UCCIDE L’ANIMA

Come tali, i pericoli maggiori che corriamo non sono quelli del martirio cruento.  Noi, che guardiamo le persecuzioni dei cristiani da lontano, siamo come i cristiani romani quando le persecuzioni si erano allontanate. Pensavano di stare tranquilli e beati, liberi da ogni paura. Ma S. Ilario, vescovo di Poitier (315-367) suonò un campanello d’allarme, citatissimo, che anche a noi farebbe bene tener presente, perché attualissimo anche oggi. Diceva  quel santo pastore della Chiesa: “Noi combattiamo ora contro un persecutore più insidioso, un nemico che non ci flagella la schiena, ma ci lusinga… ci accarezza il ventre;… non ci taglia la testa con la spada, ma ci uccide l’anima con il denaro, l’onore, il potere“. (S. Ilario, Liber contra Constantium 5).

TEMIAMO CHE CI IMPEDISCANO DI ANDARE A MESSA?

Pensiamo a quello che avviene nelle famiglie, o nei gruppi di amici, o nei circoli culturali. La preoccupazione che c’è per “l’invasione islamica” non è per motivi religiosi. Siamo sinceri. Noi, di sicuro, non siamo preoccupati per il pericolo che ci sarà di non poter più andare a Messa la domenica, di non poter più sposarsi in chiesa, di non poter più impegnarsi a sostenere le opere di carità cristiana…). A questa, perdita dei valori cristiani ci stiamo già riuscendo molto bene noi, senza bisogno che vengano i musulmani portarceli via. L’invadenza del cosiddetto califfato ci preoccupa per ragioni economiche, sociali e politiche: ragioni vere, ma che non han niente a che fare con il nostro essere cristiani.

Gesù, già al suo tempo, aveva una sua idea in proposito: “Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l’anima e il corpo nella Geenna” (Mt 10,28). E coloro che uccidono l’anima a noi e ai nostri giovani, li abbiamo in casa, nel nostro dorato mondo occidentale. Sono i materialisti pratici, gli spacciatori di felicità artificiali, i tifosi del pensiero debole e del possedere forte, i cultori del relativismo ad oltranza, gli sbeffeggiatori dei profeti…

ANCHE NOI COMPLICI

Attenzione, amici! Forse senza volerlo, per mancanza di vigilanza, o incapacità di discernimento, ne siamo diventati complici anche noi, contribuendo così all’uccisione dell’anima dei nostri ragazzi…

È quindi urgente che noi preti e tutti quelli che hanno la responsabilità di educazione nella fede (genitori, catechisti, impegnati…) facciamo di tutto per educare a conoscere la speranza che i cristiani hanno da Gesù risorto, che insegniamo a saper rendere ragione di questa speranza che abbiamo, e, siccome questa speranza ci mette in contrasto con la mentalità del nostro tempo, che attrezziamo i nostri giovani a saper andare contro corrente, a qualsiasi costo.