Sul cammino di Santiago. Per trovare risposte alle domande di sempre

Foto: un pellegrino in viaggio verso Santiago

Ho un amico molto caro che da più di cinquanta giorni è in viaggio, a piedi, per Santiago di Compostela, in Galizia. È partito da un piccolo paese del veronese e conta di attraversare il Portico della Gloria del Maestro Mateo e di abbracciare la statua dell’apostolo Giacomo – posta sull’altare principale della magnifica cattedrale – entro la metà di agosto. Daniele, questo è il suo nome, non è l’unico tra gli amici che, in questi anni, hanno percorso il “Camino”. A piedi o in bicicletta, i più partendo da Saint Jean Pied de Port, il punto di partenza classico del cammino francese. Lo scorso anno – secondo le rilevazioni presenti sul sito ufficiale del Camino – i pellegrini che hanno ricevuto la Compostela (la pergamena che certifica, con il controllo dei timbri, il percorso svolto) sono stati 237.886. Furono poco più di duemila nel 1983.

L’UOMO È UNA DOMANDA

A scuola l’abbiamo letta tutti. Alcuni di noi l’hanno molto amata, altri sopportata. Nessuno, credo, è rimasto indifferente. È la magnifica poesia di Giacomo Leopardi: Canto Notturno di un pastore errante dell’Asia. Il poeta marchigiano immagina che nel paesaggio desolato dell’immensa steppa asiatica, sovrastato dalla misteriosa vastità del cielo stellato, un pastore interroghi la luna sul perché delle cose e sul senso del destino umano. Ma le sue domande, secondo Leopardi, non trovano risposta, e il silenzio del cielo sconfinato gli conferma ciò che già sapeva, cioè che l’universo è un enigma indecifrabile nel quale l’unica cosa certa è il dolore degli uomini e di tutti gli esseri viventi.

Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
Di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli?

E più avanti:

E quando miro in cielo arder le stelle;
Dico fra me pensando:
A che tante facelle?
Che fa l’aria infinita, e quel profondo Infinito Seren?
che vuol dir questa solitudine immensa? ed io che sono?Così meco ragiono

Le domande del pastore sono le domande dell’uomo di sempre. Anche dell’uomo di oggi. Per questo, la ricerca (di cui il cammino è parabola) è connaturata all’esistenza umana. Anzi, definisce il nostro essere – o non essere – uomo. Da sempre.

CUSTODIRE LE DOMANDE. PER ESSERE UOMINI

Purtroppo quando si parla di vocazione soprattutto nello spazio cristiano si pensa a un particolare cammino alla sequela di Cristo e si dimentica che c’è una vocazione primaria che è la chiamata all’esistenza, alla vita. Senza la consapevolezza di questa vocazione primaria, che è di tutti gli uomini, in realtà non è possibile ascoltare o accogliere altre chiamate più personali, più particolari. Soprattutto oggi,in cui la cultura dominante si nutre di una visione in cui paiono regnare il caso e la necessità con il rischio di dare origine a un’esperienza umana massificata e disgregata, occorre ribadire che la vocazione all’esistenza è il fondamento di ogni vita umana; si è chiamati alla vita da Dio, non per caso ma per amore, non per necessità ma nella libertà. Se c’è una battaglia che il cristianesimo ha fatto e continua a fare è proprio opporsi alla logica del caso. Occorre essere uomini per essere cristiani.
Ce lo ricordava, come un monito, Charles Peguy: “Perché non hanno il coraggio di appartenere alla natura umana, pensano di essere della grazia divina. Perché non hanno il coraggio di vivere nel tempo, pensano di essere ormai penetrati nell”eterno. Perché non hanno il coraggio di essere nel mondo, pensano di essere in Dio. Perché non amano nessuno, pensano di amare Dio.” E dunque, di fronte a tutto questo, alla domanda di vita che c’è, ostinatamente e nonostante tutto, dentro il nostro tempo, il cristianesimo- che si vuole nato da una «buona notizia» – che cosa ha da dire? E’ ancora una bella notizia?

DIO È LA RISPOSTA. NON SCONTATA 

“Mi ricordo – scrive Bonhoeffer il 21 luglio 1944 – di un colloquio che ho avuto tredici anni fa in America con un giovane pastore francese. C’eravamo posti molto semplicemente la domanda di che cosa volessimo effettivamente fare della nostra vita. Egli disse: vorrei diventare un santo (- e credo possibile che lo sia diventato -); la cosa a quel tempo mi fece una forte impressione. Tuttavia lo contraddissi e risposi press’a poco: ‘io vorrei imparare a credere‘”.