Gesù moltiplica i pani. La nostra povertà e la sua strabocchevole generosità

Immagine: Terra Santa, Tabga: il mosaico della moltiplicazione dei pani e dei pesci

In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei (Vedi Vangelo di Giovanni 6, 1-15. Per leggere i testi liturgici di domenica 26 luglio, diciassettesima del Tempo Ordinario, “B”, clicca qui)

IL MIRACOLO DEL PANE I SUOI SIGNIFICATI

Il mangiare. Anzi: il pane: è il tema di questa e delle successive domeniche. Ma sarà un modo strano di parlare del pane, a cominciare da questa domenica. Gesù lo moltiplica miracolosamente. Come accostarci a questo “fatto”? Giovanni è l’evangelista che ci prende per mano. Tutti i miracoli da lui raccontati sono stracolmi di significato. Per questo egli li chiama “segni”: è quello che dice in questo stesso vangelo, al v. 2: Lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Ecco perché il miracolo della moltiplicazione dei pani sarà seguito da una lunghissima discussione. A Giovanni non interessa tanto lo stupore per la grandezza del fatto, ma lo stupore di fronte a quello che il fatto significa.

IL PANE E IL RICORDO DELL’EUCARESTIA

Gesù attraversa il lago e molta gente lo segue. È la fase “popolare” del suo ministero. Sale su un monte. Il fatto di collocare la moltiplicazione dei pani sulla montagna, per Giovanni, molto probabilmente, significa che Gesù realizza il banchetto degli ultimi tempi previsto da Isaia, banchetto che deve aver luogo sulla montagna: “Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati” (Is 25, 6). “Era vicina la pasqua, la festa dei Giudei”, riferisce Giovanni. Come sappiamo, questo evangelista non racconta l’istituzione dell’Eucaristia. Ma colloca in contesto pasquale la moltiplicazione dei pani. Il banchetto degli ultimi tempi è arrivato, Gesù è il pane vivo che si dona agli uomini.

Tutto incomincia da una domanda-provocazione di Gesù per Filippo. “Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?. Si dovrebbe spendere una cifra esorbitante: Duecento denari, cioè il salario di duecento giornate di lavoro. Impossibile. Allora è Gesù stesso che prende l’iniziativa e ordina che tutta la gente si sieda. “C’era molta erba in quel luogo”, dice l’evangelista. L’erba, con tutta probabilità, ricorda il salmo del buon pastore, salmo 23: “Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare”. A quel punto, “Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano”. È probabile che Giovanni “ricordi” l’eucaristia soprattutto con quel “rendere grazie”. È certo, invece, che egli vuole sottolineare l’abbondanza del pane, che risponde alle attese degli ultimi tempi, quando Dio avrebbe preparato per i suoi dei banchetti sontuosamente abbondanti.

LE ATTESE POLITICHE DELLA GENTE

Il miracolo inatteso e straordinario fa esplodere le attese della gente. Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo, dicono. Sono attese politiche, forse militari, dunque molto ambigue. Per questo, “Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo”. Di fronte alle attese della gente, Gesù prende le distanze: torna sul monte, il luogo dove Dio abita e parla con il Padre.

IL NOSTRO PANE D’ORZO E LA SONTUOSA RICCHEZZA DI GESÙ

Gesù moltiplica i pani. Non solo Dio ci dà il cibo, ma dà se stesso come cibo. Noi siamo poveri: il pane dei poveri – pane d’orzoofferti da un ragazzino – figura marginale, anonima, che non conta nulla nella grande folla. Eppure, proprio alla nostra povertà egli dà tutto. Non solo abbiamo il pane, ma abbiamo il pane disceso dal cielo. Siamo in un periodo di sofferenza e di crisi. Possiamo ricordare che la parola compagno significa “colui che mangia il pane insieme”. L’eucaristia dovrebbe diventare segno forte di fratellanza. I cristiani dovrebbero essere i testimoni preziosi di questa insperabile possibilità: si può vivere fraternamente. La nostra povertà può diventare il collante con il quale Dio ci tiene insieme. Non abbiamo nulla, grazie a lui possiamo avere tutto.