Alla comunità don Lorenzo Milani di Sorisole la solidarietà si diffonde come un contagio

Nel dossier di questa settimana vi presentiamo quattro storie di comunità che si occupano di persone in condizioni di disagio: senza fissa dimora, disabili, immigrati. Storie di accoglienza e di solidarietà che si diffonde “come un contagio”.

La comunità don Milani di Sorisole è un centro di raccolta di tutto quello che, purtroppo, viene etichettato come sintomo di degrado della città di Bergamo. Fondata da don Bepo Vavassori, la comunità svolge servizi mirati al recupero di quelle persone che in un certo momento della loro vita si ritrovano in difficoltà e in una condizione di disagio, incastrati in situazioni che a volte passano inosservate, oppure evitate appositamente perché scomode. Eppure, le persone che volontariamente scelgono di immergersi e di confrontarsi con queste realtà sono molte. Così tante da formare un numero non quantificabile, il cui lavoro però è ben visibile.

«E’ un movimento che non si basa su una rete strutturata e cercare di ricomporla è impossibile –spiega Luca, educatore presso la comunità-: si basa per lo più su un passa parola, sulla conoscenza dell’attività che la comunità da anni svolge nel territorio bergamasco. Sono tantissimi i volontari: più risorse e persone ci sono, meglio è.»

Così sono tutte volontarie le persone che si dedicano alla raccolta di vestiti, coperte e di qualsiasi materiale utile di prima necessità, smistato e ridistribuito dal servizio Esodo. Organizzato da don Fausto Resmini, attraverso l’utilizzo di un camper per gli spostamenti nella città, il servizio cerca di dare assistenza ai così detti “senza fissa dimora” che trovano un luogo di ritrovo nella Stazione Autolinee di Bergamo. Persone senza tetto che per necessità o a causa della povertà, oppure per una forma di fragilità personale, si sono ritrovate catapultate in strada, vivendo di espedienti. Sono affette da alcolismo, tossicodipendenza, ma non mancano anche giovani immigrati che non potendo trovare un lavoro si ritrovano nel circolo della strada. «Le persone che portano i vestiti e altri beni di prima necessità hanno conosciuto don Fausto, oppure l’hanno ascoltato durante qualche incontro –continua Luca-. A donare sono alberghi, oratori, associazioni, famiglie e altre strutture. Probabilmente si sono rivolti delle domande personale e hanno riflettuto, scegliendo di aiutare in base alle loro possibilità.»

Il servizio Esodo gestisce anche la mensa per i poveri “Posto caldo”, sempre presso la Stazione Autolinee, dove vengono distribuiti pasti, garantendo almeno una cena calda a chi non può permettersi un pasto durante la giornata: sono barboni, disagiati, ma non mancano anche numerosi stranieri e badanti. La struttura ha 100 posti e vengono preparati altrettanti pasti caldi. Anche qui non mancano volontari che servono il pasto ai poveri della mensa, come gruppi di giovani provenienti dagli oratori della bergamasca che dopo aver passato una settimana in condivisione scelgono di recarsi presso la stazione per un’esperienza intensa.

Non è finita qui. Uno dei problemi che coinvolge appieno la comunità è legato al fenomeno delle migrazioni e riguarda I “minori stranieri non accompagnati” che dopo essere sbarcati a Lampedusa giungono a Bergamo, senza una casa a cui fare riferimento. Sono numerosissimi e tutti bisognosi di una cosa: tanto affetto e di sentirsi nuovamente in famiglia. «Sono ragazzi che scappano dai loro paesi per via delle guerre e della povertà, in cerca di fortuna per sé e la propria famiglia–racconta Luca-.» La comunità educativa maschile di Sorisole accoglie attualmente una settantina di ragazzi tra i 13 e i 18 anni e fino al compimento della maggiore età resteranno presso la comunità. La loro giornata è scandita alla perfezione, seguendo degli orari ben precisi e delle mansioni da portare a compimento: sveglia alle 7 e mezza, colazione e alle 8 operativi nei laboratori; la luce si spegne alle 22. E’ un modo per inserirli il più possibile in un’ottica di una società europea; per questo è importantissima la scuola di alfabetizzazione, attività in cui si inseriscono i volontari esterni. Sono ex professori oppure studenti universitari che per 3 o 6 mesi all’anno, magari anche solo per 2 ore la settimana, aiutano i ragazzi ad imparare l’italiano. «Apprendere la lingua italiana non solo è utile e importante per instaurare un rapporto e un dialogo con loro, ma anche a livello educativo: non è facile, ma devono imparare la lingua italiana per poter poi trovare un lavoro una volta compiuta la maggiore età.»

La scuola è fondamentale, certo, ma lo è altrettanto l’aspetto ludico. Ecco quindi volontari che, perché no, invece di andare in palestra corrono alla comunità per organizzare una partita a calcetto con i ragazzi. «Attraverso il gioco imparano a socializzare e a volersi bene, a stare insieme-sottolinea Luca-. La figura del volontario è diversa dall’educatore. Sono prevalentemente uomini e ragazzi che sempre per conoscenza e per un passaparola scelgono di recarsi qui. Svolgiamo una sorta di selezione dei volontari, perché il legame che si crea con i minorenni a volte è davvero intenso: è più facile confidarsi con una persona esterna alla comunità che con il proprio educatore. Per questo selezioniamo delle persone affidabili nella continuità e nella presenza, perché i ragazzi hanno veramente bisogno di affetto, di calore, di sentirsi accolti. Hanno un passato difficile alle spalle e quindi servono persone che coscientemente si prendono cura di loro.»

Questa gratuità che i ragazzi ricevono non può che a sua volta creare gesti stupendi. «Nelle nostre cucine non troverete nemmeno un italiano –ride Luca-. Sono circa quindici i ragazzi che lavorano in cucina, e sapete cosa fanno? Preparano i pasti da distribuire alla mensa “Punto Caldo.”»

Anche gli stessi ragazzi diventano volontari a servizio della comunità.