I Millennials e quella scelta di rimandare il matrimonio. In tempi di incertezza più convivenze

«È vero che l’istituzione del matrimonio, sia civile sia religioso, in Italia è calata (meno di duecentomila nozze l’anno), ma il matrimonio resta sempre l’obiettivo di molti giovani, la meta finale. Quello che succede è che in un periodo di crisi ci sono meno soldi a disposizione per sposarsi e quindi molti giovani hanno deciso di posticipare il matrimonio in attesa di tempi migliori. E preferiscono convivere. In questo momento la convivenza rappresenta una forma di unione che va di pari passo con qualche incertezza che riguarda molti Millennials (giovani tra 28 e 35 anni). La convivenza rimane per molti una sorta di fase aggiuntiva in percorsi di vita sempre meno tradizionali. Prima ci si sposava direttamente, ora c’è un periodo di prova di convivenza pre-matrimoniale che si può trasformare in matrimonio oppure no, secondo la decisione dei rispettivi partner». Daniele Vignoli, Professore di Demografia presso l’Università degli Studi di Firenze, chiarisce tutti quei motivi che sono dietro alla fenomenologia che riguarda i Millennials che preferiscono posticipare il giorno più bello della vita. «L’incertezza materiale è diventata oggi un’incertezza esistenziale, perché questa incertezza generalizzata nella sfera lavorativa può interferire nella sfera privata e quindi si cerca una forma di unione più incerta come la convivenza. Infatti, in Italia, dove la convivenza non è riconosciuta dal punto di vista legislativo, essa rappresenta una forma più incerta di unione, che va di pari passo con un lavoro più precario», sostiene il demografo, 36 anni, nato a Firenze.

Anche in Europa e negli Stati Uniti, dove nel 2013 per la prima volta si sono celebrati meno di due milioni di matrimoni, si conferma questa tendenza. Come mai?
«Bisogna vedere in quali parti del Vecchio Continente, l’Europa è molto diversificata. Certamente in molti paesi nordeuropei e dell’Europa continentale la convivenza rappresenta una vera e propria alternativa al matrimonio. Nel nostro Paese questo fenomeno è spesso una fase preliminare al matrimonio. Per alcuni anche in Italia la convivenza si sostituisce al matrimonio, però sono ancora una minoranza».

Nel saggio “Convivere o sposarsi” (Il Mulino 2014) scritto con Silvana Salvini, sostiene che le ragioni sentimentali, antropologiche e culturali che fanno dire no al matrimonio ai ragazzi diventati maggiorenni nel Terzo Millennio, si fondono insieme. In che senso?
«Per la stesura del libro abbiamo fatto otto incontri organizzati dall’Università di Firenze ai quali hanno partecipato circa sessanta persone. I gruppi erano divisi per livello di istruzione e per genere. Abbiamo separato gli uomini dalle donne per far parlare più liberamente i partecipanti. Quando domandavamo: “Ma tra cinquant’anni l’istituzione del matrimonio ci sarà ancora?”, tutti i partecipanti, sia uomini sia donne, rispondevano “Forse un po’ meno, ma ci sarà”. Probabilmente tra cinquant’anni assisteremo a un matrimonio più consapevole, più scelto. Oggi ancora si pensa “mi sposo perché per la famiglia e per la società è importante”. Quando tutti questi vincoli, queste forzature legate all’istituzione matrimoniale, alla famiglia e alla società verranno meno, i matrimoni saranno più spontanei, più veri, più scelti. La convivenza non svaluterà il matrimonio, anzi paradossalmente, la possibilità di convivere rivaluta il matrimonio, perché a quel punto la scelta di sposarsi diventa più consapevole. Nelle interviste, una ragazza di trent’anni ha raccontato che lei e il suo fidanzato hanno aspettato di avere entrambi il “posto fisso” per sposarsi. Cinque mesi dopo essersi sposati lei è rimasta incinta. Nel momento in cui la sfera lavorativa si era finalmente stabilizzata era arrivato il momento di prendere quella famosa decisione che comportava un maggiore impegno anche economico (le cerimonie nuziali e tutto quello che comporta, moltissimo, continuano ad essere immaginate come molto costose)».

Nel libro sono raccolte molte testimonianze di trentenni che vivono insieme senza vincoli istituzionali. Quali sono i maggiori timori e le speranze?
«C’è chi convive per scelta, come rifiuto del matrimonio, come istituzione non solo religiosa. Per questo gruppo selezionato di persone, molto istruite, il rifiuto del matrimonio è a prescindere. Molti altri partecipanti-conviventi speravano che lo Stato italiano a breve avrebbe riconosciuto il loro status con leggi ad hoc».

Molti figli nascono fuori dal matrimonio, attualmente in Italia sono il 26% dei neonati, nel 2000 erano soltanto il 10%. Questa rivoluzione sociale comprende anche il Sud del nostro Paese o solo il Nord?
«A fronte di una fecondità sostanzialmente omogenea in tutte le ripartizioni geografiche italiane, le nascite fuori dal matrimonio sono molto più frequenti nelle regioni del Centro-Nord Italia rispetto a quelle meridionali e insulari».

Se è vero che le coppie che convivono sono in costante aumento (oltre un milione), è pur vero che nel nostro Paese non c’è ancora una legge che tuteli le coppie di fatto. Possiamo quindi parlare di coppie vulnerabili date “dall’incertezza del loro status a livello istituzionale, a prescindere dalla loro durata e solidità”, come sostiene la sociologa Chiara Saraceno?
«In generale l’universo dei conviventi è più vulnerabile di quello delle coppie sposate. C’è da dire che l’universo delle coppie che vivono insieme senza essere sposate è molto eterogeneo: ci sono coppie che stanno insieme da tanto tempo e non vogliono sposarsi, coppie che invece aspettano di sposarsi, semmai attendendo che lui o lei abbia un lavoro più stabile, altre che non possono sposarsi. Se in Italia ci sarà un riconoscimento come auspica Chiara Saraceno, non è detto che tutte le coppie conviventi decideranno il grande passo, ma renderà forse meno vulnerabili quelle che decideranno di utilizzare i nuovi strumenti. Vedremo».

 

Lo scorso settembre Papa Francesco nella Basilica di San Pietro ha sposato venti coppie di Roma, provenienti da percorsi di vita diversi, tra le quali anche alcune di conviventi con figli.
«Sicuramente c’è un cambiamento nella demografia della famiglia che è evidente, trasparente, i segnali in tal senso arrivano da varie direzioni. Quest’idea dell’Italia che rimaneva statica, isolata in termine di cambiamenti familiari è ormai smentita dai fatti. Gli scioglimenti coniugali e le convivenze sono ormai fenomeni democratizzati, chi scioglie il matrimonio e chi convive non sono più solo i più istruiti e non abitano più tutti solamente al Nord d’Italia. Questo cambiamento in atto e dal quale non si torna indietro viene percepito a tutti i livelli e da tutte le istituzioni. Il fatto che Bergoglio abbia sposato anche alcune coppie di conviventi con figli, è un segnale di apertura importante da parte della Chiesa».