La storia del piccolo Achille. Giusto togliere un bambino alla mamma? Don Albanesi: essere genitore richiede equilibrio. Don Mazzi: pensiamo a come ci trasforma l’amore

Quando è giusto togliere un bambino alla sua mamma? È giusto che sia reso “adottabile” anche in presenza dei genitori naturali? Da quando è nato il piccolo Achille, figlio di Martina Levato, condannata a 14 anni di carcere per aver sfigurato con l’acido un suo ex fidanzato, Pietro Barbini, con Alex Boettcher, e sotto processo con altre aggressioni, la decisione dei giudici di portare via il neonato alla donna subito dopo il parto ha sollevato molte polemiche e ha spaccato a metà l’opinione pubblica.
Tra i tanti pareri espressi, più o meno equilibrati, ci hanno colpito quelli di due responsabili di comunità di accoglienza e di recupero, che hanno a che fare da sempre con famiglie problematiche: don Vinicio Albanesi e don Antonio Mazzi. Sono, curiosamente, pareri non opposti ma comunque lontani: molto scettico sulla possibilità di un affidamento alla madre don Vinicio, nell’interesse del bambino a crescere in un ambiente armonioso e sicuro, molto favorevole invece a lasciare il piccolo con la madre don Antonio.

«È indispensabile conoscere bene la singola situazione – sottolinea don Vinicio Albanesi sul suo blog, “L’inquieto” – ed esaminarla non soltanto per il presente, ma anche per il futuro.
Una creatura che nasce in una famiglia problematica, ha comunque un futuro difficile; non necessariamente negativo. Abbiamo avuto bimbi che hanno superato stress pesanti e faticosi nella loro crescita, come abbiamo assistito ad adolescenze e giovinezze che rispecchiavano, aggravandoli, i problemi familiari. (…) Un dettaglio abbiamo notato. La mamma che cresce un figlio da sola, anche accolta in una struttura educativa, non deve avere seri problemi psicologici/psichiatrici. La crescita di un neonato è faticosa: impegna la madre in modo grave e – soprattutto – senza tregua. Occorre quindi molto equilibrio e molta fatica e resistenza. Se la mamma ha i “suoi” problemi le conseguenze saranno molto negative per lei e per la creatura, con il rischio di compromettere la crescita del minore. Con l’aggravante di una incertezza: nessuno può prevedere il futuro; si è legati alle notizie che si hanno nel presente, senza nessuna garanzia di essere esenti da errori».

Risponde a distanza don Antonio Mazzi dalla sua rubrica sul sito di Famiglia Cristiana: «Credo che il giudice abbia preferito lavarsi le mani e applicare le normali procedure. La ragione e l’opinione pubblica, di sicuro, sta tutta dalla sua parte. La madre ha fatto cose terribili e, umanamente parlando, nessuno si fiderebbe di lasciare in mano a mamma Martina un neonato. Io sarò il solito fuori di testa, ma insisto ancora una volta nel chiedere che Martina tenga il frutto dei suoi nove mesi, pronto ad accettarla sempre in una delle mie comunità per mamme e bambini. Non credo nella cattiveria, non credo nell’impossibilità di una nuova vita per ambedue i genitori. Per psicologi, magistrati, assistenti sociali, gli aspetti negativi prevalgono sempre sui positivi, anche perché più facili da rilevare. Ma io ho visto miracoli e cambiamenti straordinari soprattutto in questi casi. Dimentichiamo e sottovalutiamo troppo spesso l’importanza delle emozioni, della potenza positiva che scatena l’innocenza, soprattutto in coloro che hanno sbagliato. Il procuratore ha dichiarato che in Martina c’è una irreversibile incapacità di svolgere funzioni genitoriali. Io dico il contrario. L’unico modo perché Martina possa scontare i suoi sbagli sarà la cura, la pazienza, l’amore, la tenerezza e la sofferenza che questa creatura, ancora “indegna” di un nome, scatenerà dentro al cuore di colei che tanti credono abbia perso il cuore, ma anche la testa, la dignità, la femminilità. La giustizia penale non ha mai sostituito o aggiustato un amore».