La Buona scuola? Non è l’anno della svolta e io, insegnante precaria, resto in attesa di una nomina

L’attesa del piacere è essa stessa il piacere, citava Gotthold Ephraim Lessing. Lui era filosofo, poeta, favolista, drammaturgo e saggista tedesco. Io sono insegnante precaria e attendo il piacere dell’assegnazione di una cattedra, ma questa attesa porta con sé sensazioni negative.

Questo sarebbe dovuto essere l’anno scolastico della svolta, quello che avrebbe dovuto vedere il debutto della riforma della scuola targata Renzi-Giannini, in realtà sarà solo un anno di tregua. Almeno per tutti quei precari che, alle assunzioni proposte dal governo Renzi, hanno detto no. Tra loro ci sono sia l’esercito del gran rifiuto, che resta barricato nelle graduatorie ad esaurimento in attesa di tempi migliori, sia quella schiera di docenti che resteranno supplenti per un anno nonostante l’immissione in ruolo. Grazie alla possibilità, prevista dal Miur, di consentire ai neoassunti di accettare incarichi di supplenza fino al 30 giugno. Ancora per un anno. Per loro, quindi, si posticipa tutto a settembre 2016. Proprio come accade per l’avvio degli albi territoriali e della cosiddetta chiamata diretta dei presidi, rimandati a settembre del prossimo anno.

Dunque la riforma parte a metà. Un anno di riflessione, quello alle porte, per capire dove andrà la scuola. E questa attesa personalmente è logorante. Quando è stata approvata la riforma ho passato delle intere giornate a cercare informazioni circa il mio destino sui siti dedicati al mondo della scuola, ho scambiato le poche informazioni  con i colleghi e la frase che all’unisono tutti pronunciavamo era “Quest’anno non ci nomineranno”. In una caldissima giornata di agosto ho quindi deciso di andare in città, destinazione sindacato della scuola: nonostante la gentilezza del personale incontrato, pareva che la più informata di tutti fossi io. E dal sindacato me ne sono andata rafforzata da un “Per quest’anno sarete nominati anche voi di terza fascia, vedrai… perché siamo in Italia e la riforma ora che funzionerà a regime passeranno almeno tre o quattro anni”. Mentre risalivo la Valle per tornare a casa, però, pensavo all’esile speranza che mi aveva inizialmente rincuorato: per un anno lavoro e poi? Sono otto anni nel mondo della scuola e l’idea del futuro certo non è rosea: “per un anno” è poco e “cerco un altro lavoro” è impossibile.

Confusa ma fiduciosa mi trovo ora in trepidante, e un po’ lacerante, attesa di una nomina. Ogni giorno sento i miei colleghi: quelli datati che mi incoraggiano con “C’è una cattedra libera da 18 ore qua da noi, speriamo tu possa tornare” e quelli in attesa come me con “Ma quando ci nomineranno quest’anno?”. I più informati dicono che fino a fine ottobre sarà impossibile avere un cattedra perché devono riaggiornate le graduatorie di chi ha superato il tfa (tirocinio formativo attivo) lo scorso anno, i più positivi sostengono che è impossibile lasciare i ragazzi senza insegnante per settimane quindi saremo nominati a breve.

Nell’attesa io tengo spesso controllata la casella di posta elettronica e ho sempre in carica il cellulare. Sì, perché ogni scuola convoca in modo diverso: chi via mail, chi con una telefonata. E io qui, attendo. Trepidante, cercando di non perdere la speranza, finché al negozio o per strada incontri un amico o il genitore del tuo ex alunno che ti chiede “Dove insegni quest’anno?”. Ehm, quest’attesa non è per niente un piacere.