I dati sono allarmanti: in Italia vi sono 600mila ragazzi che abbandonano la scuola tra i 10 e i 16 anni (early school leavers) senza ultimare la scuola dell’obbligo. Alessandro Volpi, Referente Programma Intervita Onlus, commenta i dati della recente ricerca nazionale “Lost. Dispersione scolastica: il costo per la collettività e il ruolo di scuole e terzo settore” promossa dalla Ong WeWorld-Intervita, dall’Associazione Bruno Trentin della Cgil e dalla Fondazione Agnelli in collaborazione con CSVnet. «Il nostro appello rivolto a genitori e insegnanti per vincere la lotta contro i banchi vuoti nelle aule scolastiche è soprattutto quello di conoscere in modo appropriato il fenomeno e le conseguenze sul futuro delle nostre generazioni. Investire sull’educazione e sulla formazione è fondamentale e a maggior ragione in un periodo di contrazione e crisi economica. Scuole e genitori devono favorire una concreta collaborazione con tutti gli attori sociali del territorio, favorendo il dialogo e promuovendo attività nuove e dinamiche. Non possiamo rispondere ai problemi educativi con le modalità di sempre, soprattutto visto lo scarso risultato di questi ultimi anni». Prosegue Volpi: «La ricerca è partita dai dati che ogni anno comunica il servizio statistico del MIUR e che vengono poi ulteriormente elaborati da Eurostat. Lavorando da tre anni in progetti di contrasto all’abbandono scolastico e quindi su territori concreti, abbiamo avuto la percezione che i dati statistici nazionali non sempre corrispondano alla realtà. Abbiamo voluto verificare su alcune città (Milano e provincia, Napoli, Palermo e provincia, Roma) il dato empirico, attraverso un’indagine rivolta sia alle scuole sia agli enti del terzo settore, coinvolti in attività di contrato e prevenzione della dispersione scolastica. Di fatto la ricerca “LOST” conferma il dubbio che la lettura del fenomeno è molto più complessa di quanto viene comunicato e che oltre al rischio che 600mila ragazzi abbandonino la scuola, vi è la dimensione del poco coordinamento a livello nazionale e locale sul come debbano essere affrontate le dinamiche che portano alla dispersione. Quindi scuole e operatori del sociale condividono poco e questo porta a una cattiva gestione delle risorse finanziarie messe a disposizione contro la dispersione scolastica», precisando che la battaglia contro l’abbandono si vince «fin dalle scuole primarie, perché è nei bambini che si pongono le basi per lo sviluppo di una coscienza critica e motivata».
Il 17% degli studenti (soprattutto maschi) tra i 10 e i 16 anni non sente la campanella, il dato rende il nostro Paese fanalino di coda nell’Unione Europea che ha l’obiettivo di ridurre la dispersione scolastica nei Paesi membri?
«Esattamente, purtroppo. L’obiettivo a livello di comunità europea per il 2020 è un tasso di dispersione scolastica pari al 10%: sembra un obiettivo facilmente raggiungibile per l’Italia. Peccato però che se negli altri stati membri per contribuire a ridurre il fenomeno s’insiste molto sulla formazione professionale ma in Italia questo non accade per come è organizzata. In altri paesi un ragazzo che segue un percorso di formazione professionale può arrivare anche a un tipo di istruzione terziaria (laurea), in Italia questo non è possibile. Vi sono quindi percorsi di formazione di classe A e altri di classe B, quasi come se chi intraprendesse un corso di formazione professionale fosse già fuori dal percorso di istruzione».
Quanto è stimato il costo dell’abbandono scolastico per la collettività?
«Il fenomeno dell’abbandono scolastico ha dimensioni allarmanti anche a livello economico e il suo costo per la collettività è stimato tra il 1,4% e il 6,8% del PIL, quindi da 21 a 106 miliardi di euro, a seconda della crescita del Paese».
La massa degli studenti in fuga dai banchi di scuola tenderà a ingrossare le fila dei disoccupati e dei nuovi poveri?
«Questo non si può affermare in modo scientifico. È probabile però che una persona con un basso livello di istruzione, soprattutto oggi, abbia meno possibilità di accedere a un lavoro remunerativo e che possa quindi garantirsi un futuro economicamente stabile. D’altra parte oggi parliamo anche del fenomeno NEET (giovani tra i 15 e i 29 anni non iscritti a scuola né all’università, che non lavorano e nemmeno seguono corsi di formazione o aggiornamento professionale “Not in Education, Employment or Training”), nel nostro Paese sono oltre due milioni, il 21,2 per cento della popolazione nazionale di riferimento: un esercito immobile di nuovi analfabeti lavorativi. Di sicuro vi è una correlazione tra dispersione scolastica e NEET, ma questo deve essere ancora verificato in modo empirico».
È vero che per la prima volta rispetto a ricerche analoghe, si è provato a indagare la dimensione e il valore delle azioni che scuole e Terzo settore (cooperative sociali, associazioni di volontariato, organizzazioni non governative, ONLUS, ecc…) hanno intrapreso per contrastare il fenomeno?
«La ricerca per la prima volta ha studiato modalità, caratteristiche e valore economico degli interventi del Terzo settore per contrastare la dispersione. Pur con notevoli differenze da città a città, l’attività principale è l’aiuto nei compiti scolastici (46,5%), seguita a distanza dai centri di aggregazione giovanile (25,6%) e da attività di socializzazione. Il Terzo Settore – da solo – investe ogni anno 60 milioni di euro per contrastare la dispersione scolastica. Uno sforzo comparabile a quello del Ministero dell’Istruzione, che investe circa 55 milioni di euro ogni anno in progetti attivati nelle scuole, principalmente con finalità di recupero».
Quali sono gli obiettivi principali di WeWorld-Intervita?
«Siamo convinti che la dispersione scolastica si possa prevenire e contrastare con tre azioni finalizzate alla attuazione del “diritto all’educazione” come “piacere di crescere”, sentendosi “accolti e ascoltati”. Per questo stiamo attivando progetti concreti in 6 territori (Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Bari provincia) che mettano il collegamento le scuole con associazioni del territorio, promuovendo una didattica che favorisca l’inclusione e la partecipazione, riportando al centro non tanto l’importanza del titolo, quanto il tipo di processo educativo. L’obiettivo è che nessun bambino e nessuna bambina rimangano esclusi dal diritto all’educazione e che lo sforzo vada fatto nella direzione di una concreta collaborazione tra scuole, famiglie e operatori del sociale».
Cos’è e di cosa si occupa Frequenza200?
«Frequenza200, ideata e coordinata da WeWorld Intervita onlus, è una rete di organizzazioni unite dall’obiettivo di contrastare la dispersione scolastica attraverso un modello educativo fondato su culture, politiche e pratiche inclusive finalizzate a garantire il diritto allo studio e all’educazione. Ci occupiamo di realizzare modelli di intervento fruttuosi e coerenti con i bisogni degli studenti e delle loro famiglie, coinvolgendo nella costruzione di queste attività gli insegnanti e i dirigenti scolastici. I nostri interventi sono la realizzazione di centri diurni operativi 5 giorni la settimana, dove oltre a svolgere attività di supporto scolastico, favoriamo lo sviluppo di capacità di relazionarsi e di affrontare situazioni critiche, quali per esempio “il non ce la faccio a fare questo!”, spesso utilizzato da molti studenti in difficoltà. Per fare questo dobbiamo allearci con le famiglie e aiutarle nella relazione educativa. Questo lo facciamo attraverso incontri di confronto sulla genitorialità, sul supportare psicologicamente, sul sostenere la relazione tra scuola e famiglia. Con gli insegnanti realizziamo incontri di confronto sulle diverse situazioni critiche, proponiamo loro percorsi di formazione e di ascolto».