L’importanza di una piccola “e”. Il grande mistero della Trinità e noi

Immagine: Lorenzo Lotto, Trinità (1524 circa), Sant’Alessandro della Croce, Bergamo.

NON PER ORTOGRAFIA MA PER TEOLOGIA

Quello che voglio dire qui potrebbe essere preso per un insulso problema di ortografia, cioè, del modo corretto di scrivere una frase, mentre sono convinto che è un piccolo, piccolissimo, ma serio punto di ortodossia, cioè del giusto modo di credere in Dio.

Quando facciamo il segno della Croce, o diciamo il “Gloria al Padre…”, spessissimo si sentono pronunciare le formule così: “Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” con la virgola tra il Padre e il Figlio. Ma la virgola per esprimere bene la fede nel mistero nella Trinità è insufficiente. Ci vuole la “E”. Si deve dire: “Nel nome del Padre E del Figlio E dello Spirito Santo“. Per rendersene conto si vada a vedere la formula in latino: “In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti”. Si vedano anche il Messale e la Liturgia delle Ore in italiano: tutte le volte che viene riportata la formula del segno della Croce, fra le tre Persone non ci sono virgole di sorta, ma due insistenti “E”.

Ripeto, non si tratta di un’oziosa questione ortografica: è invece una piccolissima, ma significativa questione di teologia. Ortograficamente la virgola starebbe benissimo. Ma dal punto di vista teologico la ripetizione della E è preziosa: dà alla frase un tono un enfatico, è vero, ma l’effetto è voluto, perché, nel suo piccolo, serve a rimarcare il fatto che le divine Persone della Trinità sono perfettamente uguali e distinte, ma soprattutto sono anche intimamente unite e legate fra loro come in un incessante vortice d’amore, senza la minima traccia di divisione.

TRA NOI COME TRA LE PERSONE DELLA TRINITÀ NÉ PUNTI NÉ VIRGOLE

Questa precisazione è importante per noi, non solo dal punto di vista teologico, ma anche dal punto di vista morale. Teologicamente innanzi tutto, non dobbiamo dimenticare che noi siamo stati battezzati (cioè immersi) nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Ciò vuol dire che, grazie all’immersione battesimale, noi siamo coinvolti in modo felice e carico di speranza nell’incessante vortice d’amore che è la Trinità senza la minima traccia di distacco da parte di Dio nel nostro rapporto con lui. Nello stesso tempo, essendo noi coinvolti tutti insieme da fratelli nel dinamismo trinitario, ci troviamo uniti tra noi senza la più piccola traccia di divisione.

Questo ha importanti conseguenze morali nella nostra vita di fede. Per la gloria di Dio sorgente di tutto e per il bene nostro, siamo impegnati a escludere nei rapporti fra noi ogni segno di divisione grande o piccolo che sia. Siamo impegnati in parole povere a essere incessantemente e instancabilmente operatori di pace, nel tanto e anche nel poco.

Diciamocelo! È “forte” scoprire che cosa può significare una microscopica “E” per una più bella professione della nostra fede e per un più generoso nostro impegno nella costruzione di rapporti tra noi a immagine di quello che c’è tra Persone della Trinità.

NON BASTA LA CORRETTEZZA LITURGICA

Attenzione però. Evidentemente non possiamo fare di questo una semplice questione di correttezza liturgica. Finiremmo per cadere in uno sciocco fariseismo. Se riusciamo a fare attenzione a questo segno particolare della nostra espressione della fede, è il massimo! Ma, se per distrazione o per abitudine non lo facciamo, poco male, a patto che però poi nella vita esperimentiamo la gioia di essere immersi nel vortice dell’Amore Trinitario e ci impegniamo instancabilmente per l’eliminazione non solo di ogni punto fermo, ma anche delle più piccole virgole di separazione nella famiglia umana. E qui Papa Francesco ci è di modello. Ho notato che anche lui a volte non dice la E nel fare il segno della Croce, ma Dio sa se c’è qualcuno che più di lui sia impegnato per una pace a tutti i livelli senza punti e senza virgole di divisione.