Teresa di Lisieux. L’abbandono nelle pieghe della vita di ogni giorno

Foto: Teresa di Lisieux (1873-1897) mentre sostiene il ruolo di Santa Giovanna d’Arco in una rappresentazione teatrale. La festa di Santa Teresa cade il 30 settembre.

Non bisogna raccontare cose inverosimili o incerte. Io devo conoscere la loro vita reale, non quella immaginaria”: così scrive Santa Teresa nel suo diario, lamentandosi delle molte vite dei santi che riducono esistenze di carne e di sangue, di forza e profezia, in immaginette opache e neutre, ad uso, e abuso, di tutti. Non sapeva, la santa di Lisieux, che di lì a pochi anni lo stesso destino sarebbe capitato a lei. Anche per colpa delle sorelle che dal convento normanno misero mano ai suoi scritti apportando più di settemila interventi e correzioni. Teresa non poteva neanche immaginare che la sua  fama, dopo la morte avvenuta il 30 settembre del 1897,  sarebbe diventata presto mondiale, e la sua figura spirituale avrebbe orientato religiosi e laici, pastorale popolare e desiderio di santità per sessant’anni, fino a ridosso del Concilio Vaticano II. Quando, a nemmeno trent’anni dalla morte, Teresa fu canonizzata – nell’anno 1925 da Pio XI, che la proclamava anche “la stella del suo pontificato” – vennero a Roma per la festa circa mezzo milione di persone. La sua biografia, intitolata dalle consorelle Histoire d’une Âme, già era tradotta in varie lingue, per un totale di 400.000 copie; il monastero aveva ricevuto alcuni milioni di lettere che chiedevano informazioni e soprattutto reliquie di questa giovane monaca. Insomma, il popolo di Dio, prima ancora del giudizio della Chiesa, aveva già canonizzato la giovane Teresa e la promessa “pioggia di rose”, che la santa aveva fatto durante la sua vita, aveva già inondato il mondo cattolico. Non solo. Teresa di Lisieux, morta a ventiquattro anni e  cosi incredibilmente popolare,  ha tenuto compagnia a molti cercatori di Dio. L’elenco è lunghissimo: il domenicano Lagrange, fondatore della Scuola biblica di Gerusalemme,  madre Teresa di Calcutta, che sceglie il nome in onore della carmelitana di Lisieux (1931), Edith Stein che affermava di trovare nella Storia di un’anima una vita totalmente attraversata dall’amore di Dio. La lista potrebbe continuare con un’infinità di citazioni, di letterati come Bernanos, Cesbron, Mauriac, Green, Mounier, Guitton, Papini; grandi personaggi come Merton, Loew, soeur Madeleine (fondatrice delle Piccole sorelle di Gesù). E poi quasi tutti i grandi teologi si sono interessati alla sua spiritualità: da von Balthasar a Karl Rahner, da Congar a Ratzinger, da Bonhoeffer a Daniélou, da Moltmann a Gutierrez, dal cardinal Martini a don Pierangelo Sequeri fino a don Sergio Colombo che di Teresa era un grande appassionato.

DOVE STA IL FASCINO DI TERESA DI LISIEUX 

Per comprendere il fascino di Santa Teresa occorre anzitutto frantumare lo stereotipo che su di lei ci portiamo dietro. Con la sua spiritualità, Teresa invita i cristiani adulti alla recessione all’età infantile, alla fuga dalla complessità? La “piccola via”, lungo la quale si inoltra, è una fede cristiana “in sedicesimo” o “formato bonsai”? Oppure è vero quanto ha scritto, anni fa,  il cardinale Bourne, arcivescovo di Wesminster: “Amo molto s.Teresa perché ha semplificato le cose. Nei nostri rapporti con Dio ha soppresso la matematica. Ha ridato allo Spirito Santo un posto nella vita interiore, che i direttori gli avevano tolto”. Come a dire la pienezza nella vita cristiana non sta nella sazietà degli anni o nelle tecniche di perfezione ma nell’arrendevolezza a Dio che chiama. Ciò che ci fa santi non è l’eroismo dei nostri comportamenti ma la fiducia nella misericordia di Dio che ama abbassarsi ed innalzare a sé le creature umili.  Ed è questa una proposta di santità per tutti, per tutte le persone normali. Che piangono, che soffrono, che gioiscono, che dubitano, che mantengono la libertà dei figli davanti al loro Dio, difficile e buono. Ma che sanno anche sbalordirsi per le cose belle che nascono in loro, senza di loro. È questa una via, nella piccola via, poco frequentata dai cristiani del tempo di Teresa, ma ancor oggi molto negletta, sia nella predicazione sia nella direzione spirituale: e dunque nel vissuto.

NEL BUIO DELLA NOTTE

La modernità di Teresa sta anche nel fatto che sperimenta i dubbi e le notti della fede e condivide la condizione di chi non crede. Questi due tratti della santa sono, peraltro, raccolti nel nome scelto al Carmelo: “Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo“.  È l’infanzia del Getsemani quella che conduce questa ragazza nei brevi anni della vita terrena. Il Volto dolorante e doloroso dell’abbandonato che chiede abbandono: è il grido dell’infanzia, è il grido per una mamma morta molto presto, e per un papà amatissimo che deve lasciare nel momento della demenza. È il grido che le renderà carissima la parola Abbà, che la metterà davvero nelle braccia di Dio come un bambino confidente; e che la spingerà a insegnare a tutti ad essere sicuri di Lui, a non stare a contabilizzare su quel che si restituisce per quello che si riceve: “Il merito non consiste nel fare o nel dare tutto, ma piuttosto nel ricevere, nell’amare molto”. Sarà la sua grande scoperta (ma non era già scritto da qualche parte?): Dio ha bisogno di essere amato. A una sorella che le confida di piangere in segreto davanti a Dio per le proprie tristezze, Teresa fa un richiamo forte: “Dio ha bisogno di essere consolato, e se non lo facciamo noi che siamo messe in convento, chi lo fa?. Se non lo facciamo noi che siamo immessi sulla via di Gesù, noi tutti i cristiani, chi lo fa?

QUALE VOLTO DI DIO

Teresa ha dato di Dio un’immagine di grande bellezza, il volto di Dio padre-madre, carico d’amore, che pur nell’umiliazione della croce mostra “tenerezza, vicinanza, attenzione materna, perdono che risana”. Ha una vera comprensione della giustizia di Dio descritta come misericordia. Ciò che conta è l’abbandonarsi a Dio, sempre, e soprattutto nel Getsemani. Abbandonarsi nelle proprie debolezze, senza coltivare sensi di colpa che non esistono davanti a Dio. S’è ritrovata addormentata durante la preghiera comune? Si consola dicendosi che un bambino è amato dal suo papà anche quando dorme. Chi rivela il vero nome di Dio, l’Abbà, è Gesù (nei suoi scritti compare 1600 volte, rarissime le volte in cui compare la parola “Cristo”), “l’Amante, “il malato d’amore”, che la raccoglie e nella gratuità più assoluta la ama e la libera”. Ed ancora: Teresa supera il concetto di santità-perfezione, così caro a tutta la spiritualità del suo tempo – costruito con lo sforzo ascetico, sotto la minaccia della giustizia divina incombente, con l’annientamento delle emozioni e delle vulnerabilità – vivendo una nuova prospettiva: quella della santità come percorso di comunione, di solidarietà, di compagnia, di ferialità, di tenerezza con Dio e con l’umanità. Lasciarsi amare da Dio per riscoprire i fratelli e, soprattutto, i lontani: “L’amore del prossimo – scrive poche settimane prima di morire – è tutto sulla terra, si ama Dio nella misura in cui lo si pratica.” Il suo itinerario – di “attirata da Dio” – sarà quello di lasciarsi attirare dall’abbraccio di Gesù, il suo “ascensore divino”, fino all’altezza di Dio stesso.

LA VITA QUOTIDIANA RIPRENDE DIGNITÀ

“Teresa è una provocazione che viene dal bisogno di maestri. Quando si sente il bisogno di definire Teresa di Lisieux dottore della Chiesa si dice che lì in quella povertà… c’è un’intelligenza reale della fede, un’intelligenza che istruisce. La scelta di questo dottore è di un’audacia trasgressiva, significa che la Chiesa omologa come via mistica la possibilità di dire l’ascesi a Dio attraverso l’esperienza individuale e quotidiana… La vita quotidiana riprende dignità e capiamo che per arrivare a Dio non è necessario prendere congedo dalle passioni. Questo è un insegnamento che vale una summa teologica…” (P. Sequeri).