Il teologo omosessuale. Le promesse dimenticate e la Chiesa strumentalizzata

Foto: il teologo monsignor Krzysztof Charamsa, con il suo compagno

Cara suor Chiara, provo un po’ di disagio di fronte a quel teologo polacco che ha dichiarato di essere omosessuale e ha criticato la chiesa e il celibato. Da una parte mi sembra di capirlo. Ma sono perplesso sui modi scelti per le sue esternazioni. Vorrei sapere il tuo parere. Alberto.

L’ESTERNAZIONE E L’INIZIO DEL SINODO: COINCIDENZA IMPROPRIA

Condivido il tuo disagio e le tue perplessità, caro Alberto, di fronte alle dichiarazioni di monsignor Krzysrtof Olef Charamasa circa la sua identità omosessuale e fatico a esprimere un parere per la delicatezza della situazione. Mi sorprende che un raffinato teologo, addetto alla segreteria della congregazione per la dottrina della fede, conoscitore della teologia, della dottrina e del magistero, esibisca in maniera spettacolare il suo orientamento e la sua relazione omosessuale e mi spiace la scelta di gettare in pasto ai media un problema così complesso e delicato proprio in coincidenza con l’apertura del Sinodo sulla famiglia. Come autorevoli testate hanno già scritto, le sue dichiarazioni mirano a sottoporre l’assemblea sinodale a un’indebita pressione mediatica, travisando la finalità del Sinodo. Il Sinodo, come ha detto papa Francesco, non è un convegno o un parlamento, dove ci si mette d’accordo, dove per raggiungere un consenso o un accordo comune si fa ricorso al negoziato, al patteggiamento o ai compromessi. L’unico metodo del Sinodo, al contrario, è quello di aprirsi allo Spirito Santo, con coraggio apostolico, con umiltà evangelica e con orazione fiduciosa; affinché sia Lui a guidare, a illuminare e a far mettere davanti agli occhi non i pareri personali, ma la fede in Dio, la fedeltà al magistero e il bene della Chiesa.

IL TEOLOGO CHE DIMENTICA CIÒ CHE LA CHIESA GIÀ  FA

La Chiesa è attenta e si interroga sulla realtà delle persone omosessuali, tant’è che è entrata a far parte anche nell’Instrumentum Laboris del Sinodo in cui si sollecita la formazione di progetti pastorali. Oltre alla riflessione e alla ricerca teologica, sono già in atto nella Chiesa esperienze pastorali di accompagnamento di credenti omosessuali, di cui il teologo non ha parlato e alle quali non ha fatto alcun riferimento.

IL PRETE CHE DIMENTICA LE PROMESSE FATTE

Ancor di più mi pare che in questa vicenda emerga il dilemma dell’uomo e del credente che “butta via” una parte della sua esistenza, la sua scelta vocazionale e l’esperienza vissuta in tutti questi anni, abbracciando un nuovo stato di vita, ed esibendolo come atto di libertà personale e di amore alla Chiesa, affinché possa accogliere la sfida dei tempi. La modalità rivendicativa adottata, sino a porsi come difensore della questione omosessuale, oltre a una chiara strumentalizzazione, mi fa sorgere il dubbio di una poca riconciliazione con la sua nuova identità così palesemente ostentata. La consapevolezza degli impegni assunti con il sacramento dell’Ordine in contrasto con la sua attuale condizione esistenziale, poteva avere esiti diversi. Inoltre, la messa in questione del celibato sacerdotale voluto dalla Chiesa latina, non è forse un cercare di adattare alle proprie esigenze principi ancora validi e vissuti da molti religiosi e sacerdoti?

LA FEDE CHE NON TRASFORMA LA “CARNE”

Nel rispetto del cammino di questo fratello e del suo discernimento, se mai c’è stato, mi chiedo quanto la sua esperienza di uomo credente abbia toccato e “trasformato”la sua carne, quanto la fede abbia inciso nella vita e non sia rimasta una verità annunciata per altri, quanto abbia convertito il suo cuore, la sua mente i suoi sentimenti, quanto abbia sperimentato la bellezza della comunione ecclesiale e abbia cercato un confronto con un fratello che lo potesse aiutare e accompagnare per illuminare la sua solitudine. L’esperienza personale dell’incontro con il Signore, se non rimane solo nella sfera del pensiero, del “conosciuto” intellettuale, raggiunge la profondità dell’uomo, rappacifica e risana, e trasforma le ferire in feritoie di salvezza e vie di santità, e dona il coraggio e la tenacia di vivere fedeli alla propria condizione. Demonizzare il celibato sacerdotale non è forse rifiutare un dono che non a tutti è dato di comprendere e vivere? La castità è certamente un dono che viene dall’alto, è risposta all’amore di Dio che solo può donarci il celibato, lo spirito di solitudine per il Regno dei cieli, ma è anche una condizione che necessita equilibrio umano, ascesi e impegno di fede e preghiera.

ATTRAVERSARE LA PROPRIA PASQUA

Occorre attraversare la propria Pasqua per rimanere nella complessità della propria storia personale e ecclesiale in una modalità propositiva e attiva, nella ricerca di vie di dialogo, incontro, che mai rompono la comunione e il senso di appartenenza. Caro Alberto, affidiamo questo nostro fratello alla misericordia del Signore, perché possa rientrare in sé stesso e fare verità nel suo cuore ascoltando nella profondità della sua interiorità quell’acqua viva che mormora e grida: Vieni al Padre! Quella voce riconcilia ogni diversità e ridona la dignità di figli tante volta vilipesa e calpestata in nome della propria libertà. Possa questo fratello ritrovare il calore di una casa, la Chiesa, che lo attende a braccia aperte, pronta a usargli misericordia, perché in quell’ospedale di campo quale è, un posto vuoto attende di essere nuovamente abitato.