PAGNONCELLI/Il centrodestra a caccia di una nuova identità. Così Matteo Salvini ha trasformato la Lega in un partito nazionale

Il voto del 2013 ha rappresentato un vero e proprio terremoto politico nel nostro Paese: si è infatti registrato il più elevato tasso di volatilità della storia repubblicana, quasi due elettori su cinque (39%) hanno tradito il partito votato alle precedenti elezioni politiche del 2008.
Per dare un’idea di quanto clamoroso sia stato il “tradimento” dell’elettorato rispetto al partito votato nella tornata precedente, può essere utile fare un confronto europeo. Ebbene, considerando 279 elezioni legislative che si sono tenute in 16 paesi europei dal 1945 al 2013, la volatilità italiana alle politiche del 2013 si colloca al terzo posto. Significa che gli elettori italiani hanno ritenuto dopo quasi vent’anni della cosiddetta Seconda Repubblica di cambiare radicalmente il proprio voto. Di questo “tradimento” hanno fatto le spese tutti i principali partiti a partire dal Pdl, cioè dal partito di centrodestra che aveva trionfato nel 2008 e ha perso sei milioni e trecentomila elettori.
La Lega Nord ha dimezzato il proprio elettorato rispetto al 2008. Il calo riguarda anche il Partito Democratico che ha perso tre milioni e mezzo di elettori.
Rimanendo al centrodestra, però, risulta evidente che si tratta di un elettorato in libera uscita, che talora si è riversato nell’astensione, talora ha privilegiato il Movimento Cinque Stelle, che, lo ricordo, ha vinto le elezioni del 2013. Molti elettori, poi, si sono riversati in Scelta Civica, la formazione che faceva capo al presidente del consiglio Mario Monti. Da quel momento fino al 2014, quando si sono tenute le elezioni europee, i sondaggi hanno registrato una costante fluidità elettorale, con forti oscillazioni dei singoli partiti nelle intenzioni di voto. Se manteniamo la metafora del terremoto politico utilizzata per le elezioni del 2013, potremmo definirle il voto alle europee del 2014 che hanno visto il trionfo del PD di Renzi  “scosse di assestamento” di intensità elevata. L’analisi dei flussi elettorali ha registrato un ulteriore disaffezione dell’elettorato di centro destra, in parte per la scissione che si è verificata nel 2013 all’interno Pdl che ha portato alla nascita del Nuovo centrodestra di Angelino Alfano e alla rinascita di Forza Italia.
Questa elevata fluidità elettorale si conferma anche dopo le elezioni europee. A farne le spese è soprattutto il centrodestra che appare sfarinato.  L’aspetto più rilevante è costituito dalla netta affermazione della leadership di Matteo Salvini che ha portato la Lega Nord a una crescita impetuosa e a un consenso personale rilevante, anche se in fase di contrazione. Nella fase politica attuale la Lega Nord si colloca sui valori più alti mai raggiunti nella sua storia ultra ventennale. Nei sondaggi nei mesi scorsi ha toccato il 15% mentre nelle ultime rilevazioni Ipsos si attesta poco sopra il 13%. Va ricordato che solo in due circostanze la Lega ha ottenuto un risultato in doppia cifra. Il consenso odierno risulta ancora più eclatante se si considera che la Lega aveva perso molto consenso (un milione e 600 mila voti pur tenendone un milione e 300 mila nel 2013) anche a seguito degli scandali che avevano investito il partito e ne avevano intaccato l’immagine di integrità. Nella fase delle “ramazze” la Lega era precipitata al 3% e rischiava la sua stessa sopravvivenza politica.   Salvini fa un’operazione inaspettata e trasforma il partito da territoriale (il partito della Padania) in partito nazionale. Sposta gli obiettivi: non sono più i meridionali ad essere presi di mira ma gli immigrati, non è più Roma ladrona ma è l’Europa. La connotazione nazionale sembra premiare in parte la Lega che riesce ad ottenere consenso in regioni lontane dalla Padania, in particolare nell’Italia centrale. Il trend tuttavia si è interrotto e il partito di Salvini ha iniziato a calare, sia pure di poco,  nei sondaggi. Le ragioni della mancata crescita sono due: la prima riguarda la difficoltà di sfondamento nell’elettorato moderato di centrodestra. Alcune scelte adottate da Matteo Salvini hanno allontanato, quando non spaventato, questo elettorato. Posso citare un paio di esempi che hanno avuto riscontri significativi: qualche settimana prima della manifestazione della Lega a Roma a cui partecipò Casa Pound realizzammo un sondaggio per verificare la leadership potenziale di alcuni esponenti del centrodestra. L’elettorato di Forza Italia pur mantenendo un consenso elevato per Berlusconi quale leader del proprio partito, riteneva che Salvini potesse diventare leader dell’intera coalizione di centrodestra. L’80% degli elettori di Forza Italia dichiarava che Salvini avrebbe potuto essere l’unico esponente di centrodestra in grado di contrastare la leadership di Renzi. Qualche settimana dopo la manifestazione di Roma che suscitò molto scalpore per la vicinanza di alcuni esponenti della destra estrema con il contorno di simboli fascisti abbiamo ripetuto il sondaggio, senza ovviamente fare cenno alla manifestazione romana per non influenzare gli intervistati. Ebbene quell’80% di consenso per Salvini tra gli elettori di Forza Italia era sceso al 30%. Da un lato quindi c’è un elettorato moderato che fatica a riconoscersi non tanto nei temi (tasse, immigrazione, ostilità nei confronti dell’Europa), ma nei toni  e nello stile di Salvini. La seconda argomentazione che allontana l’elettorato moderato riguarda l’atteggiamento che Salvini ha avuto nei confronti dei vescovi e la polemica che ne è derivata nei mesi estivi. Ci sono state anche espressioni piuttosto forti. Questo ha infastidito gli elettori moderati, molti dei quali sono credenti. Per certi versi c’è qualcosa di sorprendente in questo tipo di strategia. Da un lato, infatti, c’è una prossimità dichiarata, o una forte sintonia della Lega col Front National di Marine Le Pen, ma la collega francese ha adottato una strategia opposta: dopo aver fatto il pieno di consensi nella destra, nella convinzione che per vincere le elezioni bisogna conquistare l’elettorato moderato ha assunto posizioni meno estreme, arrivando al punto di consumare una sorta di parricidio, facendo espellere dal partito il fondatore, nonché suo padre, per ottenere il consenso degli elettori di Sarkozy. La Lega sta facendo il contrario: si è posizionata alla destra dello scenario politico del nostro Paese e fatica a convincere i moderati. La seconda ragione che spiega l’arresto del consenso per la Lega riguarda il repentino cambio di prospettiva “geografica”, trasformandosi da partito territoriale a partito nazionale. Non è un passaggio semplice e non può essere risolto solamente cambiando nome al partito che si presenta nelle regioni meridionali con il nome “noi per Salvini”. Una parte dell’elettorato del sud, pur appartenendo allo schieramento di Centrodestra, fatica a riconoscere in Matteo Salvini un leader in grado di rappresentare anche gli interessi delle regioni meridionali.

(1. continua: appuntamento a domani con la seconda parte dell’analisi di Nando Pagnoncelli sul centrodestra)