Sui richiedenti asilo noi «diamo i numeri». Accogliere è (anche) utile: l’Italia è uno dei Paesi più vecchi d’Europa

È già passata una settimana da quando ho potuto ascoltare Paolo Magri, intervenuto durante l’incontro organizzato dalla Caritas di Bergamo sul tema dei richiedenti asilo, eppure continuano ad interrogarmi e provocarmi non tanto le parole da lui pronunciate, quanto, piuttosto, i numeri. «Diamo i numeri», in genere, è un’espressione utilizzata per riferirsi ad una situazione illogica ed irreale; è curioso, però, accusare di questo proprio ciò che sta alla base di tutto ciò che è oggettivo, razionale e riproducibile. I numeri parlano chiaro, quello che dimostrano non è opinabile, i numeri dicono il vero e vero è quello che, attraverso numeri e parole, ha esposto Magri.  Qualche nota storica, così da avere maggiore credibilità agli occhi degli scettici: dal 1860 al 1885 dall’Italia è espatriato il 50% della popolazione per motivi economici; in cento anni sono espatriati 23 milioni di italiani e i loro discendenti, oggigiorno, sono ben 80 milioni, più dei 60 milioni che popolano il nostro Paese. Interessante, a questo punto, ricordare che gli abitanti della Siria quella “povera gente da aiutare a casa loro”, leitmotive dell’italiano medio, sono 20 milioni, di cui 7 dispersi nel loro Paese che, per chi non lo sapesse, sta combattendo una guerra, e circa 6 milioni espatriati, rispettivamente 1,5 milioni per Paese, tra Giordania, Iraq, Libano e Turchia, i quali hanno una superficie pari a un dodicesimo di quella del suolo europeo e con una ricchezza quattro volte inferiore. I numeri parlano chiaro, quello che dimostrano non è opinabile, i numeri dicono il vero, eppure, in termini di minacce percepite, al primo posto gli italiani collocano questa “invasione”, ancora prima del problema della crisi e dell’Isis, vittime della mala informazione (gli italiani credono che la presenza di cittadini stranieri sia pari ad una percentuale del 30%, anche se la realtà ne registra soltanto il 7%) e di un’inadeguata gestione del fenomeno nei piani alti. Si è passati da una fase iniziale di negoziazione italo-europea ad una di oscillazione nell’accoglienza, fino a quando tutto il Continente ha sollevato lo sguardo dalla sua opportunista cecità, troppo tardi, forse, quando “loro”, che sono uomini, donne e bambini, hanno raggiunto la Turchia. Uomini, donne, bambini, che rischiano di perdere la dignità della propria esistenza, che diventano merce di scambio perché la Turchia offre di tenerseli in cambio di 3 miliardi da parte dell’Unione Europea e dell’abolizione del visto per tutti i cittadini turchi. Merce di scambio, di solito si vende a peso. Ancora numeri. Quattro Stati accolgono i rifugiati, Germania, Italia, Svezia e Ungheria, così come quatto le regioni italiane in cui si concentrano gli arrivi, Lombardia, Lazio, Puglia e Sicilia. La prospettiva avrebbe dovuto essere: centosessantamila rifugiati in un biennio suddivisi nei quattro suddetti Stati, che significa ventimila accoglienze in un anno, invece, in un solo giorno, la Germania ha accolto trentamila persone. Sarebbero necessarie giuste proporzioni, in vista di prospettive future. Nel 2050 in Italia, serviranno 12 milioni di immigrati, attualmente ce ne sono soltanto 5 milioni. Anche questi sono numeri e dicono: accogliere per utilità, perché l’Italia è il Paese più vecchio d’Europa, che è il continente più vecchio del Pianeta. I numeri parlano chiaro, quello che dimostrano non è opinabile, così come non lo è accogliere, che sia per utilità, e lo dico a tutti gli scettici, perché sarà inevitabile ripristinare intere categorie professionali destinate all’estinzione, per senso del dovere, perché accoglienza significa riconoscere l’esistenza di una guerra che ha ferito la vita di queste persone, che, non avendo riconosciuto il diritto a vivere nella propria patria, hanno il dovere di migrare, o per scelta, perché sono fratelli e perché noi da cristiani costruiamo le parole di Papa Francesco per cui “Gesù lo possiamo riconoscere nel volto dei nostri fratelli, in particolare nei poveri, nei malati, nei carcerati, nei profughi: essi sono carne viva del Cristo sofferente e immagine visibile del Dio invisibile”.