La casa di Cavour in rovina e la memoria divisa degli italiani

Foto: la villa di Cavour a Leri, in provincia di Vercelli

LA MEMORIA CANCELLATA DALLE GUERRE

Il lascito storico dell’umanità è la prima vittima delle guerre. Quelle in corso in Medio-Oriente, dall’Iraq alla Siria a Israele – dove l’ultimo scempio è quello della Tomba di Giuseppe, figlio di Giacobbe, nipote di Isacco, bisnipote di Abramo, incendiata dai palestinesi – stanno lasciando una scia di distruzioni. Si tratta di perdite irreparabili, per sempre: un pezzo di storia della nostra civiltà viene cancellata dalla barbarie. Il dolore che si sperimenta è irredimibile.

LA MEMORIA CANCELLATA DALLA TRASANDATEZZA

Tuttavia il degrado e l’abbandono dei nostri beni culturali, di cui hanno dato notizia i nostri giornali in questi giorni, non si deve né alle guerre né al fanatismo. Solo all’oblio, alla trasandatezza, all’inciviltà diffusa di popolo e di amministrazioni del nostro Paese. Parliamo qui del luogo storico dell’incontro di Teano – ma secondo alcuni sarebbe avvenuto al bivio di Taverna della Catena, nel Comune di Vairano Patenora – quello del 28 ottobre 1860 tra Vittorio Emanuele II e Garibaldi, quando il Re fermò l’avanzata di Garibaldi verso Roma, temendo un intervento di Napoleone III a difesa dello Stato pontificio. Parliamo della villa di campagna di Cavour, a Leri, nelle risaie del vercellese. Qui l’ISIS non c’entra. I barbari hanno nomi diversi: i Comuni, i TAR, l’ENEL, lo Stato, i cittadini, ciascuno con responsabilità dirette o indirette, con peccati gravi di omissione. Se si indaga sulle cause prossime, è facilissimo districare la catena dei soggetti responsabili, ciascuno colpevole per un anello e perciò non imputabile per l’esito finale.

PER MOLTI ITALIANI L’ITALIA NON È UN BENE COMUNE

Il peccato più grave è culturale e collettivo. Esso consiste nel mancato riconoscimento del Bene comune della Patria come orizzonte della nostra vita pubblica. Di qui la perdita senza rimorso dei manufatti storici del Paese. Per troppi italiani l’Italia non è un Bene comune, è solo un arcipelago di comunità locali, di interessi privati e familiari, di case e campanili. È un’espressione geografica, come sosteneva Metternich nel 1815 al Congresso di Vienna. Pertanto, mentre restauriamo con amore tutto ciò che è privato, tutto ciò che è pubblico e storico resta fuori dal campo di attenzione. Così si vedono delle macellerie rivestite di marmi come un tempio greco, delle scuole che sembrano capannoni industriali dismessi, dei villaggi abbandonati, delle chiese in rovina…

LA NOSTRA MEMORIA È DIVISA

Perché la nostra memoria è così trasandata e distratta? Il fatto è che si tratta di una memoria divisa, che ricorda solo una parte della storia del Paese, come se fosse attraversata da una guerra civile ininterrotta. La costruzione degli Stati negli ultimi cinquecento anni è stata funestata, in tempi diversi, da sanguinarie guerre civili: Francia, Germania, Inghilterra, Spagna, Usa… La nostra guerra civile non è lontana: è un aspetto del movimento di Resistenza 1943-45. La lotta di liberazione dal nazifascismo si è scontrata necessariamente anche con una parte del Paese. Per decenni questa verità è stata sepolta dall’ideologia resistenziale, è venuta a galla solo negli anni ‘80. Negli altri Paesi una forte spina dorsale di etica pubblica ha consentito di ricomprendere e unificare la coscienza collettiva dei cittadini. Per noi è stato e continua a restare difficile.

LE ANTICHE DIVISIONI E LA FRAGILE COSCIENZA NAZIONALE

Quali sono le fratture originarie, quando il 18 febbraio 1861 si riunisce il primo Parlamento italiano? Quella tra élite e popolo, analfabeta all’85%; quella tra aristocrazia-borghesia e contadini; quella tra Nord e Sud del Paese; quella tra cattolici e laici; quella tra Parlamento e Paese o, come si disse allora, tra Paese reale e Paese legale. Alle elezioni del 27 gennaio 1861, con secondo turno al 3 febbraio, su 22.182.377 di abitanti, gli aventi diritto al voto (maschi sopra i 25 anni, che pagassero le tasse da 40 lire in su) furono 419.938; i votanti: 239.583; i voti validi 170.567, di cui circa 70 mila impiegati pubblici. Uno Stato amministrativo compatto e spesso feroce ha tenuto insieme il Paese, supplendo al grave deficit di egemonia delle classi dirigenti. L’unificazione reale del Paese avverrà nelle trincee della Prima guerra mondiale e sarà completata dalla TV, a partire dagli anni ’50 del ‘900. Spesso ci mostriamo orgogliosi di essere più europeisti e meno nazionalisti dei francesi, dei tedeschi, degli inglesi… Ci viene facile! Perché disponiamo di una coscienza nazionale fragile. L’opera di costruzione di un orizzonte pubblico nazionale è ben lungi dall’essere compiuta. La sua assenza genera ribellismi, populismi, antagonismi, egoismi. Ci rende meno europei.