Bruno Forte parla del Sinodo: «Il primo stile della Chiesa che emerge è di essere accanto alle donne e agli uomini del nostro tempo»

«Il messaggio finale del Sinodo sulla Famiglia 2015 esprime la Chiesa che vuole Papa Francesco, cioè una Chiesa in uscita, a braccia aperte, capace di annunciare la misericordia di Dio. Senza Papa Francesco non ci sarebbe stato questo Sinodo, non sarebbe stato vissuto con l’apertura, la libertà e l’intensità in cui l’abbiamo vissuto e probabilmente le sue conclusioni non sarebbero state così aperte alla ricerca di nuove vie come invece è stato. Adesso attendiamo l’esortazione apostolica che il Papa scriverà per raccogliere nel concreto tutti i frutti di ciò che lo Spirito ha detto alla Chiesa». Monsignor Bruno Forte, segretario speciale dell’assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi e arcivescovo di Chieti-Vasto, illustra al termine dei lavori sinodali i risultati dell’assise durata tre settimane, dal 4 al 25 ottobre. «I risultati del Sinodo sono per il Santo Padre un appoggio, un punto di partenza rispetto al suo impegno di riforma nella Chiesa perché sia più evangelica, più misericordiosa, più vicina a tutti, specialmente alle “persone ferite”», chiarisce monsignor Forte, nato a Napoli il 1° agosto 1949, teologo vicino a Jorge Bergoglio.

Monsignor Forte, lei ha già avuto occasione di dire che il Sinodo 2015 sulla famiglia non è un Sinodo dottrinale ma pastorale, che le sfide pastorali ci sono e che occorre affrontarle con parresia perché “cercare nuove strade per nuovi approcci rende la Chiesa più vicina agli uomini e alle donne del nostro tempo”. La vera posta in gioco, quindi, è che la Chiesa non può restare insensibile alle sfide?
«Prima di tutto vorrei dire che fu il Concilio Vaticano II a definirsi come un Concilio pastorale e sappiamo bene quanto è stato rilevante per la vita della Chiesa e dell’umanità intera. Dunque, un Sinodo pastorale non toglie nulla alla profondità e alla ricchezza di ciò che vi viene discusso e di ciò che potrà essere il suo esito. Credo che in questo caso sia quanto mai vero. Il Sinodo in due tappe voluto da Papa Francesco sul tema della famiglia è stato il luogo di uno straordinario confronto fra vescovi di tutto il mondo, che hanno potuto parlare in totale libertà, accogliendo l’invito in tal senso del Pontefice. Soprattutto il Sinodo è anche stato la maturazione di un cammino che è giunto a proporre al Santo Padre un testo che sarà il punto di partenza per future svolte pastorali della Chiesa. Scelte che naturalmente spettano alla decisione e all’impulso che il Papa stesso vorrà darci con l’esortazione apostolica che seguirà al Sinodo. Certamente, la Chiesa non può restare insensibile alle sfide, perché la novità del Concilio Vaticano fu questa: essere voce di una Chiesa che si poneva non come dirimpettaia del mondo, ma nel “lievito” della Storia, accanto alle donne e agli uomini del nostro tempo, alle loro gioie e alle loro speranze, come alle loro angosce e alle loro domande. Questo è stato anche lo spirito del Sinodo appena concluso, un Sinodo di prossimità, di accompagnamento alle persone. Un Sinodo di discernimento sulla complessità delle situazioni, che da una parte vuole annunciare la bellezza e la verità della famiglia al mondo intero e dall’altra vuole anche trovare vie di accoglienza e di integrazione per tutti, compreso le persone che vivono la condizione di “famiglie ferite” o di fallimenti dell’amore».

In questi ultimi giorni è stato più volte ripetuto che la parola chiave della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo è “discernimento”. Per quale motivo? «Perché la parola “discernimento”, sta fra altre due parole fondamentali, la prima è “accompagnamento”, l’altra “integrazione”. La Chiesa si fa vicina, si fa prossima, ascolta, è attenta, e naturalmente aiuta a discernere alla luce della Parola di Dio la verità sulla vita e la situazione di ciascuno. Una volta che questo cammino è stato fatto, l’impegno successivo all’accompagnamento e al discernimento è quello dell’integrazione, cioè far sì che ogni persona, quale che sia la situazione in cui si trova, possa sentirsi parte viva e responsabile della vita della Chiesa e trovare il suo posto secondo il disegno di Dio. In alcuni casi anche di “famiglie ferite” possa giungere, poste certe condizioni, anche alla pienezza della comunione sacramentale. Se non si è vicini, non si può neanche discernere: ecco perché la parola “accompagnamento” precede il discernimento. Il primo stile della Chiesa che emerge dal Sinodo e che esprime la Chiesa di Papa Francesco, è di essere accanto alle donne e agli uomini del nostro tempo, ascoltandone le prove e le gioie, le sofferenze e le attese, in modo da poter annunciare ad essi credibilmente il Vangelo di Gesù».

Volendo sintetizzare, quali sono stati gli argomenti principali presi in esame dai padri sinodali?

«Innanzitutto, in positivo l’annuncio della verità e della bellezza della famiglia di fronte a un mondo in cui spesso la famiglia come istituzione sembra essere messa in crisi pur essendoci fra i giovani, come si constata dappertutto, un grande desiderio di famiglia. Dunque, occorre riproporre la verità e la bellezza della famiglia come scuola di umanità secondo quanto dice al numero 52 la costituzione pastorale “Gaudium et spes” sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, uno dei documenti fondamentali del Concilio Vaticano II. La famiglia è poi scuola di socialità dove s’impara a relazionarsi con gli altri e scuola di ecclesialità e di fede. Insieme a questo messaggio positivo di riscoperta della famiglia, in questa complessità di aspetti, c’è anche l’atteggiamento importante dal punto di vista pastorale di accompagnamento attento, rispettoso e misericordioso, che tende all’integrazione di ognuno, nei confronti delle “famiglie ferite” e delle persone che si trovano in situazioni di fallimento del loro impegno d’amore. La Chiesa non esclude nessuno, abbraccia tutti e vuole essere per ciascuno madre e maestra accompagnando ognuno a trovare il posto che Dio prepara per lei e per lui».

Si è anche parlato del maggior coinvolgimento delle donne nei processi interni alla Chiesa?

«Questo è stato un punto su cui è stato espresso esplicitamente il desiderio di approfondire il cammino. D’altra parte, sappiamo che è nelle intenzioni di Papa Francesco far sì che si trovino forme per integrare maggiormente le donne nei processi decisionali che riguardano l’intera comunità ecclesiale. È un tema che il Sinodo ha trattato soltanto di sfuggita ma certamente con le affermazioni che ha fatto ha incoraggiato a proseguire in questa ricerca, che anche il Papa auspica».

Nella Messa conclusiva a San Pietro il Santo Padre ha ringraziato i “fratelli sinodali”, aggiungendo che «il Sinodo è stato faticoso, ma porterà sicuramente molto frutto». Il Sinodo ha preso coscienza “della globalizzazione della cattolicità”, come ha affermato Franco Garelli, sociologo della religione?

«Direi che oltre a prenderne coscienza l’ha vissuta in diretta. Eravamo duecentosettanta padri in rappresentanza di tutti i continenti, di tutti i contesti più diversificati, voce delle Chiese locali presenti dal Nord al Sud, dall’Est all’Ovest del mondo: come poteva il Sinodo non essere un luogo di confronto globale dove la globalizzazione più che teorizzata era di fatto vissuta? Questa è la bellezza della comunione cattolica. Accanto a questa straordinaria varietà di apporti, c’è stata anche una percezione profonda di unità, perché tutti i padri sinodali erano uomini toccati dalla fede e dall’incontro con Dio, desiderosi di servire le donne e gli uomini del nostro tempo e di fare questo cammino nella comunione della Chiesa sotto la guida e insieme a Papa Francesco».