Contro i faraoni. Per il Vangelo: povertà e testimonianza

Foto: Napoli, catacombe: qui alcuni rappresentanti ecclesiali firmeranno un “patto”, a ricordo di quello firmato da alcuni Padri conciliari alla fine del Vaticano II

“I briganti ci sono dappertutto: non provo scandalo”.  A dirlo è un amico, don Giovanni Nicolini, già direttore dalla Caritas diocesana, parroco a S. Antonio della Dozza a Bologna. Una vita dedicata alla carità, la sua, che però non “scaglia“ contro gli sprechi vaticani raccontati dalla nuova puntata di Vatileaks: “Più che ai fatti di questi giorni farei maggiore attenzione a quello che davvero ancora ci manca: il senso di fraternità universale, mi impressiona e preoccupa di più vivere in un mondo che ancora non sa accogliere chi parla un’altra lingua e ha la pelle di un colore diverso”.

I RISPARMI DEL CARDINALE

Sono in tanti in questi giorni a chiedermi un’opinione sulle carte fatte uscire illecitamente dalle stanze vaticane. È un dibattito che mi appassiona poco. Anche se, più che le metrature degli appartamenti e le disinvolte operazioni finanziarie, trovo imbarazzante leggere di un cardinale che afferma tranquillamente di aver usato 300mila euro di suoi risparmi per ristrutturare il palazzo dove ora vive. Risparmi di cosa? Conoscendo moltissimi preti e qualche vescovo che vivono, in nome della povertà evangelica, all’insegna della sobrietà e dell’essenziale (alcuni di questi, alla fine di ogni anno azzerano i propri conti correnti girando i pochi soldi a progetti caritativi) l’affermazione risulta quanto meno singolare. E preoccupante.

Certo, le presunte rivelazioni di questi giorni, che non costituiscono grandi novità, certamente addolorano quanti credono alla giustizia e amano la chiesa. Come ha scritto Enzo Bianchi “sono indicatrici del “mistero di iniquità” in atto, come già denunciava Benedetto XVI, anche nello spazio preposto proprio alla giustizia e al servizio dei fratelli e delle sorelle”.

IL “PATTO DELLE CATACOMBE” ALLA FINE DEL CONCILIO

Per questo, credo sia utile ricordare, a cinquant’anni esatti da quando avvenne, il “Patto delle Catacombe”. Pochi giorni prima della chiusura del Concilio Vaticano II, il 16 novembre 1965, 42 vescovi conciliari (poi diventati 500), tra cui il brasiliano dom Helder Camara e e il nostro Luigi Bettazzi, nelle catacombe di Santa Domitilla a Roma che ospita le tombe di centomila cristiani dei primi secoli di vita della Chiesa, misero –  nero su bianco – il loro impegno a condurre una vita di povertà rinunciando a lussi, simboli di potere e privilegi e ad essere “una Chiesa serva e povera” come desiderava Giovanni XXIII. La firma del “Patto” si ispirò all’impegno del gruppo “Chiesa dei poveri” fondato dal prete operaio Paul Gauthier e della religiosa carmelitana Marie Thérèse Lescase. Nel testo, i vescovi si impegnavano a “vivere come vive ordinariamente la nostra popolazione per quanto riguarda l’abitazione,  l’alimentazione, i mezzi di locomozione e tutto il resto che da qui discende”. Una rinuncia, nello specifico, “agli abiti (stoffe ricche, colori sgargianti)”, ai simboli in oro e argento, alla proprietà “di beni immobili, né mobili, né conto in banca”.

Allo stesso tempo, i vescovi rifiutavano di essere chiamati “oralmente o per scritto, con nomi e titoli che significano grandezza e potere: Eminenza, Eccellenza, Monsignore…). Preferiamo essere chiamati con il nome evangelico di Padre”.

Nel nostro comportamento – scrivevano -, nelle nostre relazioni sociali, eviteremo quello che può sembrare un conferimento di privilegi, priorità, o anche di una qualsiasi preferenza, ai ricchi e ai potenti (ad esempio, banchetti offerti o accettati, nei servizi religiosi)”. “Eviteremo ugualmente– proseguivano – di incentivare o adulare la vanità di chicchessia, con l’occhio a ricompense o a sollecitare doni o per qualsiasi altra ragione”. Tutte le volte che sarà possibile, aggiungevano, “affideremo la gestione finanziaria e materiale nella nostra diocesi a una commissione di laici competenti e consapevoli del loro ruolo apostolico, al fine di essere, noi, meno amministratori e più pastori e apostoli”.

UN NUOVO PATTO, NEI PROSSIMI GIORNI

A cinquant’anni da quella giornata nei prossimi giorni ci sarà un grande convegno a Roma con Jon Sobrino, teologo e già collaboratore di Oscar Romero (un altro che firmò, da vescovo, il Patto), lo storico Alberto Melloni, il vescovo Bettazzi, il cardinale Roger Etchegaray. Il giorno stesso del cinquantesimo, il 16 novembre, a Napoli, nelle catacombe di San Gennaro, alcune personalità ecclesiali (padre Alex Zanotelli, mons. Raffaele Nogaro, don Luigi Ciotti, don Virginio Colmegna e altri) si incontreranno per firmare un nuovo Patto che mette insieme la sensibilità conciliare con le nuove sfide di oggi, in particolare sul piano ambientale. Che ricorda la necessità di una vita che sia coerente, nonostante tutta la complessità e le contraddizioni, con le parole che si pronunciano.

“La Chiesa deve parlare con la verità e anche con la testimonianza: la testimonianza della povertà. Se un credente parla della povertà o dei senzatetto e conduce una vita da faraone: questo non si può fare”. Papa Francesco al giornale di strada olandese “Straatniews”.

 

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