Dopo gli attentati la paura corre sulle rotaie. Anche in Italia

La paura corre sulle rotaie. Anche in Italia. Dal giorno degli attentati a Parigi l’argomento più discusso dai viaggiatori, in treno o metropolitana, di grandi o piccole città, è uno solo: chi ci proteggerà? Certo, non rincuora sentire i rappresentanti delle istituzioni, che, nelle molteplici trasmissioni televisive su Parigi, candidamente ammettono che c’è poco da fare per evitare che si metta in atto un attacco terroristico in alcuni luoghi, come le metropolitane per l’appunto, dove l’afflusso è tale che è impossibile controllare persona per persona. L’attività di intelligence in Italia funziona meglio che altrove, ma se un cane sciolto decide di fare una strage è difficile anche intercettarlo… Così ogni programma in tv ci offre qualche bella immagine della metropolitana di Roma, specialmente – visto che l’Isis, rivendicando gli attentati a Parigi, ha fatto sapere che adesso tocca a Washington, Londra e alla nostra capitale – per mettere in luce quanto sia insicura!
E, allora, davvero la paura cresce. E lo capisci dai volti delle persone che sbiancano appena sale sul treno qualcuno che ha l’aria un po’ sospetta. O, più semplicemente, ha un colore di pelle diverso dal tuo.
In un lungo viaggio da una piccola città della provincia di Napoli a Roma, in prima persona ho potuto percepire l’angoscia della gente. Il primo mezzo che ho preso è la Circumvesuviana. Appena sale il primo extracomunitario, la gente inizia a lanciare occhiate sospettose. Poi sale il secondo. I due si scambiano uno sguardo di solidarietà, ma le persone forse pensano che sia uno sguardo d’intesa e che stia, forse, per iniziare l’inferno. C’è un’anziana signora che sta ricamando un quadretto di Sant’Antonio di Padova per ingannare il tempo sul treno. Quando uno dei due immigrati le chiede in un italiano sgrammaticato: “È un’immagine di Sant’Antonio?”, la poveretta arrossisce. Avrà pensato: ecco, adesso mi uccide per la mia fede. Un’altra signora, a questo punto, si fa coraggio e interviene: “Di dove sei?”. Il povero giovanotto risponde che è dello Sri Lanka. Allora, l’altra incalza: “A voi non piace la guerra, vero? Non volete farci del male? Siete bravi, voi”. L’extracomunitario cerca di rassicurarla, sta qua da anni, lavora come portiere di notte. La signora si rincuora: “Se lavori da tempo qui, significa che ti hanno conosciuto bene i tuoi datori di lavoro, sei un tipo tranquillo, si vede”. Tutti tirano un sospiro di sollievo. Chissà cosa avrà pensato il giovane srilankese quando ha ascoltato le domande ingenue della signora. Pensa se davvero si fosse trovata davanti a un estremista…
Seconda tappa: un treno alta velocità da Napoli a Roma. C’è caos perché il treno che partirà non è composto come quello previsto inizialmente. Manca una carrozza. La gente si lamenta della confusione. Presto il discorso cade sugli attentati a Parigi. C’è un gruppetto di uomini di affari che discute: ma questi treni dell’alta velocità saranno sicuri? C’è uno che ricorda come ormai per accedere a un treno si debba mostrare il biglietto per un viaggio che si farà in quel giorno, ma un altro amaramente gli fa notare: i terroristi, che hanno i soldi per comprare armi, si possono ben permettere il costo di un biglietto. C’è un altro ancora che rievoca gli attentati sui treni a Madrid nel 2004 che fecero quasi duecento morti. “Ma erano per lo più treni locali”, commenta il primo uomo d’affari, quasi a volersi consolare. Durante il viaggio, sono seduta accanto a una coppia con il figlioletto. Vanno a Milano. Inevitabilmente, ascolto i loro discorsi: “Sarà sicura la città?”, chiede la moglie. Il marito la rassicura: “Non è successo niente durante Expo, poi adesso è nel mirino Roma”. Che bello… Tra l’altro, all’arrivo la stazione è strapiena. Quali controlli possono farsi in una situazione così?
Infine, spostamento in metropolitana. Qui i colori delle persone indicano le più svariate provenienze. Sono quasi più gli stranieri che gli italiani. Vicino a me un gruppetto di adolescenti, con il tipico accento romano. Una di loro dice di avere paura, ma l’amica per consolarla le dice:“Io sono fatalista. Se devo morire, può anche cadermi un vaso in testa per la strada. Quello che è successo a Parigi non può impedirci di vivere, altrimenti loro – i terroristi – hanno già vinto e noi siamo già morti”.