Papa Francesco messaggero di Pace in Africa. Padre Giulio Albanese: «Un viaggio in un continente ferito. Resterà nella storia»

L’apertura della porta santa nella Cattedrale di Notre Dame di Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana segnata dalla guerra e dalle divisioni, annunciato dallo stesso Pontefice all’Angelus nel giorno di Ognissanti è «un gesto profetico, simbolico che non ha precedenti. Per la prima volta nella storia la porta santa viene aperta in Africa, in periferia, in un contesto dove c’è sofferenza. Questo non è altro che un gesto ricapitolativo del magistero di Papa Francesco che vuole dire che la missione parte dalla periferia. D’altronde se leggiamo i Vangeli notiamo che Gesù ha iniziato la sua evangelizzazione, l’annuncio del Regno, dalla periferia, dalla terra di Galilea. Questo significa che l’attenzione deve essere rivolta ai poveri, a coloro che vivono in periferia. Quindi passare la porta significa decisa assunzione di responsabilità da parte dei credenti ma vuol dire anche consentire ai poveri di passare quella porta e dunque di segnare la svolta». Padre Giulio Albanese missionario comboniano, uno dei maggiori esperti di problematiche africane, religiose e non solo, fondatore nel 1997 dell’agenzia missionaria Misna, chiarisce l’importanza fondamentale dell’undicesimo viaggio apostolico in Africa, quarto continente raggiunto da Papa Francesco. I Paesi toccati dal Pontefice saranno il Kenya dal 25 al 27 novembre 2015, l’Uganda dal 27 al 29 novembre e la Repubblica Centrafricana dal 29 al 30 novembre. Un altro angolo del mondo problematico quello dell’Africa più profonda, un Paese martoriato, dove prevalgono lo sfruttamento e la manipolazione. Sarà in terra africana che avverrà la prova generale della Misericordia tanto invocata da Papa Francesco, perché «il magistero di Bergoglio è sempre e comunque nel segno della Misericordia ed è chiaro che questo viaggio in Africa rappresenterà il pulpito, la cassa di risonanza di quello che è un messaggio di cambiamento radicale. Papa Francesco ha capito che l’unico modo per porsi in un atteggiamento positivo, costruttivo contro quelli che sono gli oscuri presagi del nostro tempo è di predicare il Vangelo della Misericordia. Questo vale non solo per l’Africa ma per l’intera umanità», puntualizza Padre Albanese, giornalista, autore di alcuni libri di tema missionario, nato a Roma nel 1959, insignito nel 2003 dall’allora Presidente Ciampi del titolo di Grande Ufficiale, Ordine al Merito della Repubblica Italiana, per meriti giornalistici nel Sud del mondo.

Padre Albanese, considerato che la Repubblica centrafricana vive dalla fine del 2013 una situazione di violenze interne in alcuni casi di matrice religiosa, uno dei temi principali della missione africana di Bergoglio sarà il dialogo con le altre religioni per la pace?
«Il messaggio di Papa Francesco è un messaggio di riconciliazione. Credo che l’enfasi sia soprattutto posta sul “locus” dell’evangelizzazione che è la periferia. Le Afriche, parliamo al plurale perché è un continente grande tre volte l’Europa, lo sono sicuramente, ma la Repubblica Centrafricana da questo punto di vista direi che rappresenta i bassifondi della storia perché da quelle parti si combatte una guerra che non ha a che fare solo con la religione, anzi. Purtroppo assistiamo tristemente a una strumentalizzazione della religione, la verità è che ci sono interessi dietro le quinte di ordine economico. Si è generata una spirale di violenza senza precedenti nella storia di questa colonia francese e il prezzo più alto lo paga come al solito la povera gente. Certamente quello di Bergoglio sarà un messaggio distensivo e l’apertura della porta santa a Bangui dovrebbe segnare la svolta».

Tredici discorsi e quattro omelie, due incontri ecumenici e visite in Moschea e ai campi profughi, tre tappe importanti. Ce ne vuole parlare?
«Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana, sono tre contesti diversi tra loro. Per quanto riguarda il Kenya, è chiaro che la questione del dialogo, del confronto con il mondo islamico è importante soprattutto dopo la strage nello scorso aprile degli studenti cristiani nel collegio di Garissa che ha provocato centinaia di morti. Per quanto concerne l’Uganda il problema è legato al consolidamento di una Chiesa, quella ugandese, che è nata grazie al sacrificio dei martiri come San Carlo Lwanga (capo dei paggi della corte del re di Buganda, Mwanga II), ucciso durante le persecuzioni anticristiane nel suo paese (1885 – 1887), e i suoi compagni. L’Uganda è un Paese dalle grandi potenzialità, recentemente sono stati scoperti giacimenti di petrolio, però, come si riscontra negli altri Paesi africani, è affetto da esclusione sociale. La Repubblica Centrafricana continua a essere un campo di battaglia, eppure come altri Paesi africani potrebbe essere un Paradiso terrestre, perché ha delle ricchezze indicibili: giacimenti di petrolio, di uranio, depositi di diamanti e quant’altro. Purtroppo gli appetiti internazionali, i potentati stranieri hanno rappresentato in questi anni un fattore altamente destabilizzante. È chiaro che si tratta di realizzare, sia in Kenya sia in Uganda ma soprattutto nella Repubblica Centrafricana, il cosiddetto “state building”, cioè il consolidamento delle Istituzioni, il consolidamento di quella che è la democrazia, la piattaforma di partecipazione. Ma il cammino in questo caso è tutto in salita».

Nei tre Paesi che saranno raggiunti dal Pontefice i cristiani, non solo cattolici, sono una porzione consistente: circa il 50 per cento nella Repubblica Centrafricana e circa l’85 in Uganda, meno numerosi (35%) in Kenya. Registriamo anche i continui abusi contro la minoranza cristiana puntualmente massacrata dalle milizie islamiche. Una situazione esplosiva?
«Il fenomeno delle persecuzioni è molto complesso, la verità è che stiamo assistendo, come ho accennato prima, a una strumentalizzazione della religione per fini eversivi da parte di cellule eversive jihadiste, ma è anche vero che i percorsi che hanno determinato questa escalation di violenza sono diversi tra loro, ognuno ha la sua tipologia. Il terrorismo in Kenia è legato all’intervento militare del Kenia in territorio somalo, quindi quello che avviene viene percepito come un’attività di ritorsione nei confronti del governo di Nairobi. In Uganda non si verificano fenomeni di questo tipo. Nella Repubblica Centrafricana c’è anche questa matrice jihadista a seguito della guerra che è stata scatenata dalla ex coalizione Seleka. Ma anche lì dietro le quinte ci sono interessi economici».

Il Papa spera di rispettare il programma del viaggio per via “dei dolorosi episodi che in questi giorni hanno inasprito la delicata situazione” e che suscitano nell’animo del Santo Padre “viva preoccupazione”. Che cosa sta accadendo a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana?
«Due quartieri di Bangui sono stati terreno di scontri e di un vero e proprio campo di battaglia. Ricordiamo che le fazioni in lotta sono tante: ci sono formazioni jihadiste, gli anti-Balaka, l’esercito governativo, contingenti stranieri, Nazioni Unite, soldati francesi… C’è di tutto, per riuscire a descrivere quello che c’è a Bangui dovremmo starci ore, lo scenario, di una complessità indicibile è certamente condizionato dalle ricchezze del Paese. Ma quello che accade qui, accade anche in altre parti del Paese ed è per questo che bisognerà aspettare fino all’ultimo momento per sapere se effettivamente questo viaggio sarà possibile. L’intenzione del Papa è di andarci e se dovesse farcela, e questo è l’augurio, sarà qualcosa che rimarrà nella storia della Chiesa, perché questo è un viaggio davvero insolito. Solitamente quando il Pontefice decide di viaggiare per ragioni di sicurezza legate alla Sua incolumità e quello del seguito è chiaro che ci debbano essere delle garanzie. Per quanto riguarda la Repubblica Centrafricana la situazione al momento è tale che non credo che si possa dire con certezza se il viaggio sarà possibile. Se dovessero esserci scontri nella capitale, purtroppo questa tappa finale dovrà saltare. Spero di no, perché la presenza di Papa Francesco per la gente è un motivo di speranza. In fondo è l’ultima speranza che hanno».

Nel silenzio e nell’indifferenza generale solo Bergoglio nell’Enciclica “Laudato sì” ha denunciato il saccheggio africano, il furto riguardante le terre più fertili dell’Africa acquistate a costi irrisori da investitori europei e nordafricani. L’Enciclica ha toccato gli interessi di determinati ambienti come sostiene il Cardinale Francesco Coccopalmerio, Presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, intervistato da “Repubblica” in merito alla nuova inchiesta sulla fuga di documenti dalla Santa Sede?
«Quello che ha detto Papa Francesco nella “Laudato sì” è vero, soprattutto quando il Papa si è riferito all’Africa, perché l’Africa è Inferno e Paradiso. È un Continente che possiede potenzialità enormi, che ha ricchezze che vanno al di là di ogni fantasia immaginabile, che purtroppo per la debolezza del sistema politico locale e delle autorità statuali è una vera e propria terra di conquista. Questo poi ha un impatto devastante sulle popolazioni autoctone, perché cresce in dismisura l’esclusione sociale, la forbice tra ricchi e poveri e soprattutto vi sono alcuni fenomeni come il “land grabbing”, cioè l’accaparramento delle terre da parte delle compagnie straniere, che sta determinando una vera e propria implosione sociale. Qualcuno ha scritto che se l’Africa dovesse andare avanti così, tra qualche anno gli africani non saranno più padroni dell’aria che respirano, dell’acqua che bevono e del pane che mangiano. È per questo che l’agenda di Papa Francesco, dal punto di vista pastorale, ha a che fare in gran parte con quelli che sono i temi della dottrina sociale, ed è bene che sia così, perché altrimenti scadiamo in una sorta di spiritualismo: da una parte la fede, la religione, dall’altra la vita, l’economia, la politica. Occorre far sì che la sfera valoriale, la pace, la giustizia, il rispetto per il Creato, tutto questo bagaglio di saperi, in una maniera e nell’altra grazie all’azione dello Spirito Santo possa innescare meccanismi di trasformazione nelle periferie del mondo, dove c’è tanta umanità dolente che viene immolata sull’altare dell’egoismo umano».