Un amico mi parla dello sconcertante caso dell’abate di Montecassino… Il parere di Chiara, monaca

Foto: l’ex-abate di Montecassino, Pietro Vittorelli, con Papa Ratzinger

Cara Suor Chiara, il fattaccio è passato da molto tempo, ma un mio amico me ne ha parlato pochi giorni fa. Che cosa pensi del grave scandalo legato all’abate del monastero di Montecassino? come è possibile cadere così in basso da una vocazione così alta? Grazie. Gianni.

GRANDE SOFFERENZA

L’episodio di cui parli, caro Gianni, ha suscitato sofferenza e profondo rincrescimento. La domanda che poni rimane aperta anche per me, poiché è difficile credere che un uomo dalla posizione e statura morale e spirituale, come quella dell’Abate di Montecassino, sia giunto a tanto. In questo tempo, nel quale uomini di Chiesa sono stati oggetto di scandalo, sfigurando e ferendo la sua bellezza con le loro scelte discutibili e divenendo oggetto di strumentalizzazioni e generalizzazioni, mi piace pensare ai molti testimoni della fede e della carità che abitano le nostre parrocchie, associazioni e movimenti , a quei religiosi e missionari che donano la loro vita senza riserve in una dedizione incondizionata al Signore e ai fratelli e che mostrano, invece, il volto autentico dell’esperienza cristiana ed ecclesiale. Certamente il dono della fede è incommisurabile, come lo è quello di una speciale consacrazione monastica o apostolica, ma spesso lo si dà per scontato, dimenticando la sua origine totalmente gratuita e divina. È necessario tornare a fare memoria della propria chiamata, “ del primo amore”, per recuperare la freschezza di un incontro che ha cambiato e trasformato l’esistenza, arricchendola con le motivazioni che lo scorrere del tempo ha approfondito e l’esperienza ha trasformato in sapienza.

SI PARLA DI DIO, NON SI PARLA PIÙ CON LUI

Purtroppo anche nella vita consacrata si può cedere all’abitudine, alla frenesia delle cose da fare, alla preoccupazione per le strutture da mantenere, al potere del denaro, … perdendo il contatto con la propria interiorità, con le motivazioni sorgive della propria scelta esistenziale e vocazionale. La scrittura ci dice che abbiamo questo tesoro, (la vita, la fede, la vocazione …) in vasi di creta perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi; ma è pur vero che il tesoro ha bisogno di questa fragile creta per poter risplendere al mondo. La nostra fragilità non può servire da alibi per giustificare tiepidezze, inadempienze, omissioni …, ma deve adoperarsi affinché la vita contenga il tesoro: la misericordia di Dio non scavalca la nostra libertà e la nostra scelta morale orientata al bene, il nostro riconoscerci peccatori amati, consegnati all’Amore. Per tale responsabilità urge la necessità di un ritorno alle sorgenti della chiamata cristiana dentro una relazione profonda con il Signore, da costruirsi giorno dopo giorno, in una dimensione contemplativa radicata nella Parola, perché tutta la dimensione dell’umano si rivesta dei sentimenti e del pensiero di Cristo. E se questo è vero per il cristiano, lo è ancor di più per il consacrato.

LA CUSTODIA DEL CUORE

Occorre recuperare quella che gli antichi Padri chiamavano “ la custodia del cuore” in una vigilanza di tutto l’essere, per essere presenti a noi stessi e non essere frammentati, divisi: dentro la Chiesa irreprensibili e fuori, soggetti a ogni moda del momento. È necessario smascherare ciò che di mondano e non evangelico abita la nostra vita e scende a piccoli o grandi compromessi, facendo dei beni, degli affetti, del potere o del ruolo, il tesoro a cui attaccare il cuore. Caro Gianni, ti chiedi come si può cadere così in basso. Non lo si fa una volta per tutte, ma è il frutto di tante piccole scelte, compromessi consumati nell’intimo, pensieri che occupano mente e cuore, ma che assommati, travolgono la vita; è la poca consapevolezza di ciò che siamo e viviamo, delle scelte superficiali prive di riflessione e discernimento, di una fede annunciata, ma che non tocca e non salva prima di tutto la nostra vita, avvolgendola di misericordia. La tentazione delle donne e degli uomini di Chiesa è quella di illudersi di essere credenti perché si abita lo spazio del sacro, si parla di Dio, ma non più con Lui, e non ci si lascia trafiggere dalla sua passione, dal suo amore. Il dono ricevuto fa fiorire tutto l’amore per uscire da ogni individualismo e autoreferenzialità per aprire a una dimensione ecclesiale. La comunità accompagna la vita dei credenti, la Chiesa è custode della vocazione di ciascuno: beati siamo noi se dei fratelli o delle sorelle camminano con noi e vigilano sui nostri passi, soprattutto quando essi rallentano o cercano di deviare il cammino. La loro presenza amica e prossima ci aiuterà a sollevare lo sguardo e a riporlo nel cuore trafitto di Cristo dal quale scaturisce la nostra guarigione e salvezza e nel quale ritrova il vigore e la speranza nel cammino.