Con Dio e con la storia. Don Giuseppe Dossetti e la sua eredità

Foto: don Giuseppe Dossetti (1913-1996)

Capita a volte, più di quanto uno non immagini, che si senta dire da uomini di chiesa, più o meno di valore, giudizi pesanti e superficiali su una delle figure più significative del Novecento: don Giuseppe Dossetti, di cui, nei prossimi giorni, faremo memoria del diciannovesimo anno della sua morte avvenuta il 15 dicembre del 1996. Segno, direbbe don Giovanni Nicolini che di don Giuseppe fu discepolo fedele, di quanto sia ancora vivo e dunque, per qualcuno, ancora molto ingombrante.

L’INTELLETTUALE, IL POLITICO, IL MONACO

Giuseppe Dossetti nasce a Genova nel 1913. Nello stesso anno i genitori si trasferiscono a Cavriago, dove il padre gestisce una farmacia; qui compie i primi studi, per trasferirsi qualche anno dopo a Reggio Emilia a frequentare il liceo cittadino. Si iscrive all’Università di Bologna e dopo la laurea (1934) si sposta all’Università Cattolica di Milano per perfezionarsi. Dal 1942 è docente universitario di diritto ecclesiastico a Modena. A Reggio torna ogni fine settimana e sulle orme di un santo prete impara ad amare la liturgia e gli emarginati, a Milano ha modo di conoscere il gruppo che sarà detto dei “professorini”: Lazzati, Fanfani, La Pira ecc., con i quali si interrogherà sulle risposte della società civile al dramma e alle urgenze della povertà. Allo scoppio della seconda guerra mondiale si intensificano le ricerche e gli studi per un nuovo modello di società e di Stato. Durante la Resistenza Dossetti partecipa senza mai portare armi alla lotta clandestina, prima in pianura, poi in montagna. Sarà una esperienza decisiva. Dopo il 25 aprile è chiamato a Roma, cooptato dalla Democrazia Cristiana. Si ritrova vicesegretario della DC di De Gasperi. E’ deputato alla Costituente e alla Camera. Sono anni di intensa lotta politica. Dossetti cerca una via politica originale: la costruzione di una democrazia “sostanziale”. Lo scontro all’interno della DC è inevitabile. Nel 1947 fonda il quindicinale Cronache Sociali che sarà un riferimento delle migliori energie del partito democristiano e fucina di tantissimi quadri politici. Sul finire del 1951, dinanzi all’impraticabilità della sua proposta politica, si ritira dal Parlamento e dal partito. Si trattava per lui di lavorare profondamente per un rinnovamento della Chiesa che solo avrebbe consentito una diversa qualità della politica in Italia. Decisivo è l’incontro con il cardinale Giacomo Lercaro. Si dedica alla ricerca storico teologica fondando il Centro di Documentazione e poi dà vita alla comunità monastica Piccola famiglia dell’Annunziata (1955; dal 1960 casa madre a Monteveglio, dal 1985 a Monte Sole). Dopo una breve esperienza – per obbedienza al cardinale – nel Consiglio comunale di Bologna, riprende la vita di semplice monaco e nel 1959 viene ordinato sacerdote.

Durante il Concilio Vaticano II è collaboratore di Lercaro e poi fatto pro-vicario a fine Concilio. L’allontanamento di Lercaro dal soglio episcopale di Bologna coincide con il ritiro di Dossetti nella sua comunità. Da lì, Dossetti è uscito negli ultimi anni della sua vita come una sentinella ad alzare l’invito alla vigilanza. Ha visto nelle nostre città, nella situazione politica e morale dell’Italia, nelle manovre per sovvertire la Costituzione, l’avanzare di una pericolosa disattenzione ai valori civili ed etici che fondano il patto sociale e politico e di un preciso progetto di accentramento del potere. Ha visto in pericolo la “sacra” Costituzione che custodisce i valori più preziosi della città, le norme fondamentali da cui tutto discende. L’aggettivo riecheggia un po’ una polemica sostenuta da don Gianni Baget Bozzo nel 1994 che accusava Dossetti di aver considerato la Costituzione più intoccabile della Eucaristia. È invece evidente da tutti i discorsi di Dossetti che la costituzione non è intangibile e monolitica. La sua difesa della Costituzione punta a difendere questo patto fondamentale da meccanismi di riforma illeciti, posti in atto con colpi di mano e forza mediatica. I suoi interventi insistono a ricordare che la Costituzione fissa al suo interno le regole per la propria correzione. Le modifiche, alcune delle quali anche per Dossetti necessarie o auspicabili, devono passare sempre attraverso l’articolo 138.

Nel 1994, a 81 anni, pronuncia per la commemorazione di Lazzati un discorso di vigilanza politica che percorre in pochi giorni tutta l’Italia. E proprio a Monteveglio, ancora nel 1994, costituisce i Comitati in difesa della Costituzione. Già segnato dalla malattia in molte circostanze, con l’estate del 1995 vi si immerge pienamente per percorrere quello che sarà l’ultimo tratto della sua strada, senza mai perdere la voglia di vivere ma sprofondandosi sempre più nel suo Dio. Muore a Monteveglio, il 15 dicembre 1996.

Ora che è morto, il suo corpo riposa nel piccolo cimitero di Casaglia di Marzabotto, uno dei luoghi dell’eccidio del 29 settembre 1944, noto ai più come la “strage di Marzabotto”. È lui stesso ad averlo chiesto: “Anzitutto per segnalare a tutti quanti mi hanno conosciuto il significato, ora più che mai valido, della morte gloriosa e feconda delle vittime di Monte Sole; e in secondo luogo per confermare ai miei figli, in modo visibile, la consegna di una vita di grande continuità e stabilità nel silenzio e nella preghiera per i vivi e per i morti”. Nessuno vi era stato più sepolto, dopo le vittime della strage.

I CRISTIANI SI RICOMPATTANO SOLO SUL VANGELO

Cerco di salire un paio di volte l’anno a Montesole a trovare gli amici della Piccola Famiglia e sostare sulla tomba di don Giuseppe. Ogni volta mi chiedo cosa rimane di tutta la sua incredibile vicenda umana e di fede, cosa abbia germinato nella Chiesa italiana e dove stia oggi la sua attualità. E ogni volta mi imbatto in giovani che non l’hanno conosciuto e che sostano in silenzio davanti al piccolo e fiorito fazzoletto di terra. Guardando loro e leggendo i testi, bellissimi, di don Giuseppe mi viene in mente il titolo di una raccolta curata, molti anni fa, dai coniugi Alberigo: “Con Dio e con la storia”. Il titolo racconta bene la parabola di un uomo dalle molte vite, di un credente che ha sempre ricordato la necessità di intrecciare il nocciolo duro della fede, fondato sulla forza della Parola (“Porta il Vangelo e solo il Vangelo” è lo scarno biglietto che don Giuseppe fece avere a Martini il giorno del suo ingresso a Milano) e sull’Eucarestia, con la fedeltà al mondo. Perché i cristiani si ricompattano solo sulla Parola di Dio e sull’Evangelo! Un uomo che molto prima di altri, durante la stagione trionfante delle chiese piene e dei partiti di riferimento, ha intravisto con lucidità la parabola di una Chiesa a confronto con la modernità. Che ha cercato di vivere con rigore e passione il proprio tempo. Senza scorciatoie o atteggiamenti risentiti: “Vivremo sempre di più la nostra fede senza puntelli, senza presidi di sorta, umanamente parlando. Destinati a vivere in un mondo che richiede la fede pura. Sarà fede nuda, pura, fondata solo sulla parola di Dio considerata interiormente. Non potremo attingere a niente, a nessuna sintesi, a nessuna summa. E non avremo il conforto in nessuno dei piccoli nidi sociali che siano omogenei e sostengano la nostra vita evangelica.”
Un monaco che nella precedente vita era stato decisivo per la redazione della nostra carta costituzionale e che anche alla fine della sua esistenza invitava i credenti a leggere ogni giorno una pagina del Vangelo e una pagina della Storia (non della cronaca!) perché Dio agisce nella storia e questa va continuamente decifrata. “Bisogna immergersi nella storia, conoscerla profondamente. Bisogna averne il senso, non semplicemen­te leggere la cronaca. Leggete libri di solida formazione storica, una pagina al giorno, ma con continuità. E indispensabile per ave­re il senso storico, non tanto per sapere i fatti, che delle volte sono trop­po complessi o troppo parziali rispetto all’universalità del grande flusso storico. Se si ha un po’ di senso storico si relativizzano giustamente e con deliberazione anche tante cose che devono essere evidentemente supera­te, che possono essere state convinzioni solide ma non sufficientemente rapportate al nucleo essenziale del kerygma, dell’Evangelo. E riscoprirete, attraverso questa occasione che vi è offerta dalla storia, la necessità di ar­rivare sempre di più al sodo nell’evangelo, in modo sempre più liberante, sempre più di fede”.

Don Giuseppe Dossetti è stato una grazia per la Chiesa italiana. Che feconda, in silenzio, anche oggi.