Il commercio equo e la globalizzazione: non riguarda più soltanto il Sud del mondo

Personalmente sono piuttosto attratta dal mondo che gravita attorno alla definizione di equo e solidale, oltre ad essere un’assidua frequentatrice delle botteghe che lo promuovono, ma non ho mai avuto l’opportunità di comprenderlo nella sua totalità. Ho scelto di fare qualche domanda a Marco Noris, presidente di Amandla, cooperativa sociale fondata nel 1994.

Qual è la definizione corretta di economia o commercio solidale?
«Anzitutto bisogna distinguere la definizione di economia solidale da quella di commercio equo e solidale. Economia solidale è un termine generale e generico usato per descrivere una realtà che in ogni Paese assume nomi differenti, quale civile in Italia o sociale in Francia, e che, concretamente consiste in un’economia no profit, che significa cercare di reinvestire la ricchezza prodotta all’interno della stessa realtà produttiva, prestando attenzione alla dimensione etica e sociale. Il commercio equo e solidale, invece, consiste nel commercio con quelli che un tempo erano definiti Paesi del Sud del mondo e nasce negli anni ’60, anni europei della post-colonizzazione, con l’obiettivo di superare le iniquità presenti negli scambi commerciali e contrastare o sfruttamento, pagando al produttore il giusto prezzo e tenendo conto del rispetto per l’ambiente e interponendo pochi intermediari».
C’è un prodotto nella rete del commercio equo e solidale che lo rappresenti al meglio?
«Il caffè. In primo luogo perché, dopo il petrolio, è la materia prima più quotata al mondo; inoltre perché le principali multinazionali hanno ridotto dell’80% il prezzo del prodotto, il che ha significato, per i contadini produttori un guadagno nettamente inferiore, pari al 20% del prezzo originario, venendo privati di incassi che permettano di vivere una vita dignitosa. Infine, perché il caffè non è un prodotto europeo».
A partire da quando è nato il commercio equo e solidale, c’è stata un’evoluzione o una trasformazione del settore?
«L’evoluzione del commercio equo e solidale si è modificata contemporaneamente alle trasformazioni del contesto nel quale è inserito. Oggi esiste un nuovo registro geografico, per cui non è più possibile parlare di Nord e Sud del mondo. La globalizzazione e la polarizzazione della ricchezza fa che il gap tra molto ricchi e molto poveri esista anche in un Paese come la Germania. Questo significa che il commercio equo e solidale deve procedere nel raggiungimento di sempre maggiore equità, sociale e civile, unito all’attenzione per il biologico, alle realtà, come le carceri o alle terre confiscate alle mafie, che producono per il settore».
Daresti un consiglio ai consumatori?
«Ricordando il motto con cui abbiamo iniziato cioè “Se vuoi cambiare il mondo, comincia dal caffè”, non a caso ho scelto proprio questo come prodotto, vorrei che i consumatori ricordassero quanto potere hanno tale da influenzare l’economia in termini produttivo-quantitativi, prestando attenzione tanto a quanto sano possa essere un alimento, ma anche a quanto positivamente viene prodotto, perché è bene consumare ciò che viene prodotto bene».