Il nuovo beato don Alessandro Dordi visto da vicino. La testimonianza della sua collaboratrice Camilla Paganoni

È morta, lo scorso 24 dicembre, Camilla Paganoni,
stretta collaboratrice di don Alessandro Dordi.
Don Giacomo Panfilo ci invia questa interessante intervista
che Camilla Paganoni gli aveva rilasciato qualche tempo fa
e che offre punti di vista non molto noti e molto interessanti sul nuovo beato.

Come ha ricevuto e vissuto la notizia dell’uccisione di don Sandro?

È successo la domenica, giorno in cui non riuscivo a combinare molto. Poco dopo una signora è entrata in casa, mi ha abbracciato piangendo in modo disperato. Io continuavo a chiederle perché piangesse. Finalmente mi ha detto di andare in piazza e una volta arrivata in piazza tutti sapevano che avevano ucciso don Sandro. Era una domenica pomeriggio, perché lui la mattina aveva la messa mentre nel pomeriggio andava a celebrare altre messe. Era l’unico sacerdote nella zona per cui aveva tutto stabilito le varie visite nelle comunità. La donna che mi ha avvisata era una donna della comunità, che viveva vicino a casa nostra. Il luogo in cui è stato ucciso si trovava nella vallata.

In piazza mi hanno accolte le suore Pastorcitas, una di loro è andata sul luogo dell’uccisione. Con l’auto poi hanno portato il corpo di don Sandro in una sorta di ospedale per ricomporre la salma. In piazza sin da subito si è saputo che ad uccidere don Sandro erano stati quelli di Sendero Luminoso, che in odio alla Chiesa lo hanno assassinato.

Come erano stati per lei e per don Sandro gli ultimi tempi e soprattutto gli ultimi giorni?

L’ultimo anno in Perù si viveva proprio con la paura, perché Sendero Luminoso aveva ucciso anche un sindaco. Ogni tanto si sentiva di varie uccisioni. In molti gli avevano detto di stare attento ma lui non voleva lasciare la sua gente. Undici giorni prima avevano ucciso i due Padri Francescani polacchi, i quali anche loro erano nella nostra zona; noi eravamo vicini all’oceano, mentre loro era in montagna. Anche loro erano stati uccisi da Sendero Luminoso. Al mercato del paese era poi comparsa una scritta “Yankie, Perù sera tù tumba!” (Straniero, il Perù sarà la tua tomba). E don Sandro ha detto subito: “Questa l’hanno scritta per me”.

Non avevate mai pensato di abbandonare l’impresa? Lei? Lui?

Per la verità non ho mai pensato di rientrare. Non è mai capitato di dirsi di voler tornare a casa e lui, come ho detto prima, non osava abbandonare la sua gente. Padre Sandro era anche stato poco bene di salute e tutti gli consigliavano di tornare in Italia per riposarsi. Ma lui non ha mai voluto. Prima di essere riportato in Italia sono state necessarie molte pratiche. Quando la salma era in chiesa la gente è sempre  stata presente. La fortuna era che c’erano anche le suore Pastorcitas che mi hanno sempre aiutato.  Se non ci fossero state non ce l’avrei fatta, ho un bel ricordo delle suore che mi hanno tanto aiutato.

E la gente della Missione come l’ha vissuta?

Quando don Sandro è stato ucciso eravamo vicini alla Festa del Signore de Los Milagros. È successo il 25 di agosto. La gente è confluita tutta in piazza. Poi hanno portato la salma in chiesa, c’è stata la messa e siamo stati in chiesa per molto tempo. Non c’era più nessuna paura dei terroristi.

Noi dei missionari conosciamo due poli di attività: quello più strettamente religioso e quello più sociale. A cosa si dedicava principalmente don Sandro?

Durante la settimana lui andava a visitare le comunità prendendo nota dei partecipanti e dei bisogni per i sacramenti. In un suo quaderno teneva registrato il numero di componenti di ogni famiglia, cosa facessero per lavoro, se la coppia era sposata o meno. In Perù molte coppie convivevano e lui cercava di convincerle ad unirsi in matrimonio.  Era una zona grande, grande come la Diocesi di Bergamo per una sola Parrocchia e siccome le famiglie, lavoravano nel campo, dovevano essere visitate in diverse ore del giorno. In genere andava da solo, altre volte le persone che venivano a trovarci lo accompagnavano. I catechisti erano le persone del posto e vivevano nelle varie comunità. Due dei ragazzi sono entrati in seminario. La gente gli voleva molto bene, avevano capito che lui faceva il loro bene. Quando lui era fuori nelle comunità, ci riunivamo ugualmente in chiesa ogni giorno per leggere la parola di Dio e recitare il Rosario. In queste occasioni la gente mi diceva che la mia messa era più corta della messa di don Sandro. Io allora spiegavo che non stavo celebrando la messa ma stavano facendo la liturgia della parola.

Aveva buoni rapporti anche con le scuole, il comune, proprio perché proponeva molte attività. La gente rispondeva che non avevano mai fatto così e lui cercava di convincerli a provare. In Perù la mattina a casa leggevamo le lodi e la sera la compieta. In Svizzera questo non lo potevamo fare perché non eravamo nella stessa casa. Per la catechesi aveva tutto organizzato suddiviso per i vari giorni. Si era interessato nel tempo anche ai computer, dopo che aveva fatto un corso di programmatore elettronico, questo quando ancora era in Svizzera. E questo in Perù era una novità assoluta, perché erano molto più poveri. Era una persona molto curiosa.

Dal punto di vista sociale, quali erano i bisogni più grandi e quali le risponde di don Sandro?

In Perù le problematiche più grosse erano legate alla condizione della donna. Don Sandro, ad esempio, non si capacitava che non sapessero né leggere né scrivere. Appena arrivati, ci siano accorti che la donna nella loro cultura non aveva nessun valore. Anche coi bambini piccoli ad esempio se era un maschio ad ammalarsi lo curavano, ma se era una bambina non la curavano. Subito si è messo a riunire le donne. Andava a visitare ogni famiglia, parlava con loro, e, dopo il primo incontro, le inviata alle riunioni nelle diverse comunità. Le donne rispondevano. Don Sandro sapeva attirare il loro interesse. Ha ben presto realizzato luoghi per la promozione della donna. E in questo ha coinvolto anche me. Mentre lui faceva il catechismo, io lavoravo con le donne nei vari gruppi, i Club de Madres, con corsi di taglio e cucito ed economia domestica. In queste occasioni distribuivamo anche un po’ di viveri perché erano tutte famiglie molto povere. Se partecipavano con continuità gli si dava una sorta di riconoscimento. Anche gli uomini, nel complesso capivano ed erano ben d’accordo con il lavoro di don Sandro.

Com’era la vita spirituale di don Sandro? Condividevate riflessioni e momenti di preghiera?

Coi padri polacchi aveva vissuto momenti di ritiro spirituale presso la loro parrocchia. La messa si svolgeva nel pomeriggio perché la mattina era in giro. Io nel frattempo facevo anche da sacrista. Durante la preghiera raccontava qualche volta cosa aveva visto anche se non amava parlare molto.

Lei è stata vicina a don Sandro sia in Svizzera che in Perù. Descriva un po’ com’era don Sandro a Le Locle da tutti i punti di vista.

In Svizzera era tutta un’altra vita. Si lavorava prevalentemente con gli italiani emigrati. La messa per esempio la celebrava alla sera alle 19 perché la gente di giorno lavorava nelle fabbriche. A quel tempo nevicava moltissimo, a maggio a volte avevamo ancora la neve. La polizia facevano molti controlli, perché bisognava tenere pulito la parte esterna della casa e tutto era molto organizzato. Il senso dell’organizzazione di Don Sandro fu rafforzato dall’esperienza della Svizzera e questo in Perù gli servì molto. In Perù, ad esempio, non c’era il registro parrocchiale e si è dato da fare per mettere in ordine le cose. Per lui era importante essere organizzato. Sia in Svizzera che in Perù la gente ha conservato un ricordo bello di Don Sandro, perché ha saputo farsi ben volere dalla gente.

Che cosa ha rappresentato per lei una così lunga vicinanza con Don Sandro?

Il lavoro lo facevo con gusto perché la gente aveva piacere di questo nostro servizio. Ho un bel ricordo della vita che abbiamo fatto, nonostante la conclusione sia stata drammatica e l’ultimo anno molto difficile. Però non abbiamo mai pensato di andarcene, anzi, lui diceva: “Non posso abbandonare questa gente.”

Come lo ha conosciuto? Perché l’ha seguito in Svizzera? E soprattutto perché l’ha seguito in Perù?

Io ho conosciuto don Sandro in Svizzera. Dopo la morte dei miei genitori ero rimasta da sola e don Antonio Locatelli mi ha chiesto se volevo andare in Svizzera, dato che lui era nella comunità dei preti del Paradiso. È stato lui a consigliarmi di andare in Svizzera. Quando ho conosciuto don Sandro ho avuto la sensazione che fosse una persona molto socievole e molto precisa. Non abbiamo mai avuto difficoltà perché mi dava indicazioni molto chiare. Abbiamo fatto dieci anni in Svizzera. Facevo la direttrice di una scuola materna e dell’asilo nido (ci portavano i bambini alle sette e io dovevo dargli in latte nel biberon, perché le madri andavano a lavorare e venivano a riprenderlo il pomeriggio). Mi sono trovata bene. Ci siamo sempre dati del lei.  Quando lui, per rispondere alla sua vocazione, ha lasciato la Svizzera per andare in Perù, mi ha detto: “Abbiamo lavorato bene insieme in Svizzera, perché non viene anche in Perù?”. Sono rientrata a Bergamo, mi sono preparata al CUM a Verona per andare in America Latina dove si parla lo spagnolo. Dopo gli anni trascorsi insieme in Svizzera, dove la parte più difficile è stata adeguarsi al clima, in Perù, oltre  al problema di dover imparare una nuova lingua, c’era anche la grande differenza tra il clima svizzero e quello peruviano. La casa in cui vivevamo era semplice, c’era una cucinetta, una saletta dove lui riceveva la gente, poi la mia stanza, la sua stanza. La gente veniva in casa quando doveva parlare con lui. La casa era abbastanza vicina alla chiesa. A fianco della chiesa c’erano inoltre sale in cui le persone potevano riunirsi.

In paese trovavamo tutto ciò di cui avevamo bisogno. Si mangiava tanto pesce perché era freschissimo, appena pescato, mentre di carne non ce n’era molta. Lui però ciò che trovava pronto lo mangiava, non era molto esigente. Io mi occupavo anche della cucina e delle pulizie. In chiesa c’erano alcune persone per la pulizia, lui aveva organizzato i turni. Anche i bambini hanno partecipato molto perché sempre sapeva coinvolgerli.

Era facile vivere insieme con don Sandro? Non si è mai scoraggiata? Quali difficoltà maggiori? Non  ha mai pensato di tornare a casa sua, nella tranquillità del suo privato? Perché non l’ha fatto?

Né in Svizzera né in Perù ho mai pensato di tornare a casa. Ho pensato di tornare a casa è stato solo quando è stato ucciso, per la grande paura. Ma per il resto non ci avevo mai pensato. Lui in Italia tornava pochissimo.

Aveva per caso la sensazione di vivere con un futuro beato?

Pensando ora alla sua beatificazione mi ha fatto, mi sembra che veramente se lo meriti, conoscendo un po’ il suo modo di portare avanti il suo compito di missionario. Mi immagino che lui sarebbe contento, anche se magari non l’avrebbe manifestato. In Perù capivo che era una persona valida, ma non avrei mai immaginato né che lo facessero monsignore o chissà cosa. Apprezzavo il suo lavoro ma non l’avrei mai immaginato. Lasciare il Perù mi è rincresciuto, però ho preso in fretta le cose che potevo portar via e siamo partiti. Son stati giorni molto tristi. Al primo anniversario dell’uccisione poi son tornata in Perù, e mi aveva impressionato e fatto piacere perché davvero lo ricordavano tanto.

Ai preti di Bergamo che cosa direbbe prestando la voce a don Sandro?

Ho notato che i preti che lo hanno conosciuto credo lo stimassero. Anche nei preti del Paradiso ha lasciato un bell’ esempio sia come sacerdote che come uomo, nel suo dedicarsi molto agli altri. Da quando l’ho conosciuto mi ricordo che non si è mai fermato. Il suo stile era molto preciso ma non aveva delle cose straordinarie. Era ordinato pur indossando i sandali tipici dei peruviani. Prima di scegliere di andare in Perù so che aveva visitato altre zone. Quando poi è arrivato in Perù ed ha visto che era così grande e non avevano sacerdoti, ha scelto il Perù come luogo della sua missione. L’ha scelto proprio perché si era reso conto che c’era bisogno.

Quando siamo arrivati c’erano solo tre suore Americane, ma avevano uno stile diverso da quello di Don Sandro, ma con le suore Pastorcitas sin da subito abbiamo lavorato molto bene. A me ha lasciato un bel ricordo, perché sapeva relazionarsi con la gente. Anche nelle omelie della Santa Messa, molto semplici, sapeva spiegarsi molto bene. Attirava molto l’attenzione, le S. Messe erano molto partecipate, sapeva coinvolgere la gente. Lo stesso nella catechesi e nella visita alle comunità. Negli anni i sacerdoti più legati a don Sandro erano don Lino Belotti e il Vescovo Sergio Gualberti, entrambi conosciuti in Svizzera. E dal Perù a volte ci spostavamo per visitare la Bolivia, dove viveva don Sergio.

In Perù abbiamo fatto conoscenza anche coi Padri Monfortani che lo sostituivano per la celebrazione della messa e che ci ospitavano quando andavamo a Lima. Don Sandro scriveva molto, ho trovato fra i miei scritti molti suoi biglietti augurali per il compleanno e l’onomastico; sempre si ricordava del mio compleanno e del mio onomastico.