Il futuro della Chiesa/Marco Marzano: possibilità e rischi della Chiesa di Papa Francesco

Foto: quale futuro per la Chiesa di Papa Francesco?

Il volume ha per titolo Inchiesta sui cattolici al tempo di Francesco, è in vendita nelle edicole a 2,50 euro, in allegato a “Il Fatto Quotidiano”, e raccoglie una serie di articoli pubblicati sullo stesso giornale negli scorsi mesi. Autore dell’indagine è Marco Marzano, docente di Sociologia all’Università di Bergamo, evidentemente interessato – da osservatore esterno, non credente – alla dimensione religiosa ed ecclesiale (ricordiamo, sul medesimo argomento, i saggi Cattolicesimo magico. Un’indagine etnografica e Quel che resta dei cattolici. Inchiesta sulla crisi della Chiesa in Italia, pubblicati rispettivamente da Bompiani e Feltrinelli). Dialogando con lo stesso Marzano, ci è parso di capire che questi suoi libri siano volti ad aprire una discussione, più a che a esporre certezze granitiche sul presente e il futuro della Chiesa: lo testimonia anche il fatto che Inchiesta sui cattolici al tempo di Francesco comprende molti commenti di lettori de Il Fatto Quotidiano, in cui si esprimono valutazioni spesso divergenti.

Professore, un aspetto notevole delle sue ricerche sulla Chiesa è il metodo «dal basso»: ci si concentra sulle esperienze concrete di vita dei fedeli, più che sulle dichiarazioni e i documenti della gerarchia. 

“È vero. Anche nel caso dell’inchiesta condotta per Il Fatto Quotidiano ho scelto di iniziare ogni puntata con il racconto di una storia vera, che ho raccolto per l’occasione: di volta in volta ne sono protagonisti una coppia di divorziati, un’omosessuale cattolica, una giovane parrocchiana e così via. Nella seconda parte di ogni articolo, invece, conduco un’analisi supportata dalla conoscenza di molte altre storie, da un lavoro sistematico di indagine che conduco da diversi anni. Ho pensato che l’elemento biografico avrebbe aiutato i lettori a identificarsi maggiormente, a rispecchiarsi nelle vicende che mi erano state raccontate. Mi sembra che l’idea abbia funzionato, dal momento che alla redazione del Fatto Quotidiano sono giunte centinaia di lettere”.

L’impressione è che il pontificato di Francesco abbia inaugurato una stagione di parresìa, in cui è possibile prendere la parola sulle questioni della vita ecclesiale senza doversi attenere per forza a un “registro istituzionale”. Lei è d’accordo?

“Sì, c’è un’atmosfera nuova nella Chiesa; emerge un maggior pluralismo di opinioni, una maggiore libertà nel confronto. Mi sembra finito il clima di conformismo dei decenni precedenti”.

A quali pericoli possono andare incontro le riforme avviate da Francesco? Qualcuno ha avanzato un paragone con il tentativo intrapreso a suo tempo da Michail Gorbačëv (confronto azzardato, diremmo, perché la situazione della Chiesa non ci sembra assimilabile a quella dell’Urss negli anni Ottanta del secolo scorso). Vi è comunque il rischio di un’«implosione sistemica», di uno stravolgimento degli esiti rispetto alle intenzioni del Papa? In tal caso, dovremmo (a malincuore) dare ragione a chi si oppone a qualsiasi cambiamento nell’assetto della Chiesa?

Chi sposa in linea di principio una posizione conservatrice, accontentandosi di mantenere alto il morale delle scarse truppe che gli sono rimaste, dimostra di avere uno sguardo decisamente rassegnato sulla storia umana, sul futuro. È come se dicesse: “Prima o poi verremmo probabilmente spazzati via del tutto. Perché dare una mano ai nostri carnefici, perché aiutarli andando nella loro stessa direzione?”. Secondo questo modo di vedere le cose, la modernità sarebbe nemica irriducibile della Chiesa e quest’ultima non potrebbe che resistervi disperatamente, alzando un muro contro ogni innovazione; si pensa, in fondo, che il destino sia segnato, che l’esito di questa lotta sia già scritto, ma che non ci sia un’alternativa – né morale né pratica – a un’ostinata resistenza. Altro la Chiesa non sarebbe in grado di fare. Vi è invece chi alla modernità vorrebbe aprirsi, scommettendo sull’idea che il cristianesimo abbia qualcosa da dire anche a noi contemporanei, che il messaggio di Gesù non sia un relitto di un’epoca passata. Si tratta di una scommessa difficilissima, forse impossibile da vincere; però si accompagna alla speranza, al desiderio di non giocare un ruolo solo passivo nella storia umana, magari confidando in una catastrofe sociale che riporti la religione al centro della scena pubblica”.

Vogliamo provare a immaginare delle eventualità alternative per la Chiesa, nel prossimo futuro? Per esempio: i fedeli praticanti sono destinati a calare ancora di numero, divenendo però una minoranza “significativa”, capace di contribuire attivamente alla vita della società civile? Oppure si diffonderà un devozionalismo basato sull’emotività e sulla volontà di fare lobby, come succede in certe correnti evangelical americane?

“Una deriva settaria è precisamente quella che secondo me ci attende, se non si rimette in moto un dialogo fecondo tra il cristianesimo e il mondo moderno. La fede rischia di diventare un affare per fanatici, una cosa riservata a gruppetti di persone che hanno deciso di separarsi dalla società circostante, negandosi cose che per tutti noi sono invece diventate scontate, come l’autonomia di giudizio, la libertà di opinione e di preferenze (anche sessuali), la democrazia eccetera. Se non resiste alle sirene del settarismo, il cristianesimo potrebbe finire per raccogliere solo gli sconfitti, quelli che un mondo nato dall’illuminismo proprio non riescono a digerirlo; e che perciò guardano all’indietro, al passato, a un “mondo incantato” premoderno”.
L’ultima questione, forse, andrebbe rivolta propriamente a un teologo. Ipotizziamo comunque che una serie di questioni trattate nel suo libro trovino soluzione nel senso da lei auspicato; avremmo così una Chiesa “delle pari opportunità” tra uomini e donne, accogliente nei confronti dei “lontani”, libera dalle vischiosità del potere politico. Tutto questo basterebbe però a salvaguardare lo specifico cristiano? A giustificare l’esistenza della Chiesa come tale, accanto a tante altre «agenzie valoriali»?

“Ribalterei la domanda: la Chiesa avrebbe una ragion d’essere solo se è autoritaria, gerarchica e antimoderna? Non potrebbe cambiare natura e diventare uno strumento di promozione dell’eguaglianza, della giustizia e della libertà su questa terra? Questo sarebbe davvero un tradimento del messaggio evangelico? O piuttosto un suo inveramento? Il dibattito è aperto”.