Una settimana tra i rifugiati in Libano e poi il Santo Natale con i cristiani siriani di Homs, città fantasma, semidistrutta dalla guerra. Fr. Alois, priore della comunità ecumenica di Taizé, racconta la sua esperienza vissuta nelle terre martoriate del Medio Oriente. È appena rientrato domenica sera a Valencia, in Spagna, dove dal 28 dicembre e fino al 1° gennaio guiderà le meditazioni con i 30mila giovani che partecipano all’incontro europeo animato da Taizé. Due frére della Comunità sono da settembre in Libano, in stretto contatto con i rifugiati provenienti da Siria e Iraq. Fr. Alois è stato con loro per 6 giorni e poi ha trascorso il Natale in Siria.

Quale situazione ha trovato in Libano?
«Nella piana di Bekaa, molti rifugiati si sono stabiliti in campi disseminati in tutta la regione. Noi abbiamo visitato tre di questi campi. In loco, lavorano Ong che stanno facendo tutto quel che possono, ma hanno bisogno di tutto, dall’acqua, all’elettricità, al riscaldamento. Come in Siria, sono rimasto impressionato dalla cura che tutti hanno per i bambini. In uno dei campi, i rifugiati hanno improvvisato loro stessi delle scuole, anche per i più piccoli. Molte volte ho sentito dire che l’educazione dei bambini è una priorità per loro. Un’altra priorità è di poter vivere insieme con le loro diversità. Il Libano ci lancia questo messaggio: è possibile vivere insieme tra religioni differenti. Questo Paese è fondato sul rispetto reciproco. Anche di fronte alle prove che hanno vissuto fino alla guerra civile, i libanesi sono da sempre abitati da questo ideale. Preghiamo con loro perché possano continuare a realizzarlo ancora».

Cosa l’ha colpita di più in questo lungo viaggio?
«Con l’ondata di profughi che abbiamo vissuto negli ultimi mesi, sappiamo che il Medio Oriente non è lontano da noi e che ciò che accade lì, ha un impatto su di noi in Europa. Tutti quelli che ho incontrato in Siria, mi hanno detto: ‘Pregate per noi’. Allora io vorrei dire: ascoltiamo l’appello del popolo siriano e affidiamo a Dio tutti coloro che soffrono la violenza in Medio Oriente. Facciamo nostre le domande toccanti che gli abitanti di questa terra si pongono: perché tutta questa violenza? E Dio, dov’è ?».

Che cosa ha trovato in Siria? In che stato è il Paese?
«Ho trascorso Natale nella città siriana di Homs. La distesa di distruzione è inimmaginabile. Una gran parte della città è in rovina. È una città fantasma. Qualche famiglia è tornata e cerca di ristabilirsi tra le rovine, senza acqua ed elettricità».

Taizé è un luogo di preghiera. Ma pregare in un Paese distrutto dalla guerra, com’è ? Come avete celebrato il Natale?
«Al centro di Homs, davanti alla cattedrale greco-cattolica, i parrocchiani hanno celebrato la festa di Natale per i bambini. I giovani avevano preparato dei regali. I bambini cantavano. Ho raramente vissuto una festa del Natale dove il messaggio di pace del Vangelo era sentito con quella stessa intensità».

Quale messaggio portate ora dalla Siria e dal Libano in Europa? E che cosa direte ai giovani europei riuniti a Valencia in un momento in cui anche loro in Europa hanno conosciuto l’orrore del terrorismo?
«Vorrei riportare le parole forti che ho sentito in Siria. Sono le parole di un giovane. Mi ha detto: “Dite in Europa, dite all’incontro di Valencia che la maggioranza della popolazione in Siria ha vissuto da sempre e vuole continuare a vivere insieme, tra religioni differenti”. E questo giovane siriano ha poi concluso con tristezza: “Ma la nostra voce non è ascoltata. Il rumore delle armi è più forte”. È la fraternità ristabilita tra gli esseri umani, il solo cammino di futuro possibile sul quale preparare la pace, anche se questo cammino è fragile. Cristo era vulnerabile. Noi non siamo meno vulnerabili di Lui. Ma in Lui noi poniamo la nostra fiducia per attraversare gli avvenimenti che ci oltrepassano. La fraternità è il cammino aperto da Gesù. La barbarie è sempre esistita. Nei Paesi occidentali abbiamo sempre pensato che fa parte del nostro passato, che è dietro di noi ma constatiamo oggi che non è così. Allora non dobbiamo permettere che il rifiuto dell’altro si introduca nei nostri cuori perché il rifiuto dell’altro è il germe della barbarie. Noi cristiani, formiamo insieme la Chiesa visibile; ma crediamo anche che il Vangelo crea una comunione più ampia: nel cuore di Dio tutti gli esseri umani costituiscono una sola famiglia. Abbiamo pienamente accettato il pluralismo di questa famiglia umana ? Se non lo abbiamo fatto, non possiamo pretendere una fraternità universale».