Il “Verbo” che è presso Dio è diventato Bambino a Betlemme

Immagine: il testo dei primi versetti del vangelo di oggi in lingua greca

In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste (vedi Vangelo di Giovanni 1, 1-18. Per leggere i testi di domenica 3 gennaio, seconda domenica dopo Natale, clicca qui)

L’inno che ci viene proposto oggi è la prima, solennissima pagina del vangelo di Giovanni che viene proclamata dopo i racconti del Natale. Il Bambino di Betlemme era presso Dio, era la “Parola” di Dio. Era Dio (prima strofe, versetti 1-2); Dio ha creato tutto attraverso di lui, con lui (seconda strofe, vv. 3-5). A questo punto di apre una specie di parentesi (il Battista gli ha reso testimonianza, vv. 6-9). Non solo la Parola ha creato il mondo ma è venuta nel mondo e il mondo non l’ha accolto (terza strofe, vv. 10-12b). Ma qualcuno ha accolto quella Parola (quarta strofe, vv. 1, 14 e 16).

A questo punto ha inizio la solenne proclamazione dell’incarnazione:

E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre, 
pieno di grazia e di verità.

Venne ad abitare” si potrebbe anche tradurre: “Pose le sue tende, si accampò tra di noi”. È evidente l’allusione all’Esodo, dove si racconta della tenda nella quale Dio abitava mentre Israele stava andando verso la terra promessa. Ora, con l’incarnazione, è l’umanità di Gesù il nuovo tempio, il luogo in cui Dio abita.

La gloria è la presenza di Dio che si manifesta tra gli uomini, lo splendore della sua presenza. Ora questa presenza non è più legata a un luogo, perché è legata a un Uomo, Gesù. E non bisogna più uscire dal mondo perché Dio si è avvicinato al mondo. In un certo senso bisogna avvicinarci al mondo per avvicinarci a Dio. La presenza di Dio è in un gruppo umano (noi), il popolo dei figli che hanno accolto la Parola che lo adora e lo ama.

PAROLA CHE CHIEDE DI ESSERE ACCOLTA

Il testo profondo, ricchissimo di Giovanni è un invito non tanto a raccontare un’altra avolta il mistero, ma a capire ciò che abbiamo raccontato. Giovanni ci dice anzitutto che il Bambino che è nato è la Parola di Dio. Dio ci parla. Parola viva: è uomo. Parola esuberante: non fa altro che parlare e si spende nel parlarci e nel dirci quando Dio ci ha amato. La sua vita non è altro che quello: farci gustare la meraviglia di un Dio che è Parola, relazione, apertura, comunicazione. Giovanni riassumerà tutto in una sua lettera dicendo Dio è amore.

Ma la relazione non si realizza se non nella condiscendenza reciproca. Dio non può comunicarsi a coloro che non accettano la sua comunicazione, non può parlare a coloro che non ascoltano la sua parola. Nell’iniziativa di Dio sta scritto il dramma, il “no”, il rifiuto. Il discepolo del Signore mette in conto la possibilità del suo “no” e, quando, invece, lui dice “sì”, la solitudine della sua fede. Più ama il Signore più soffre che altri non lo amino. È quello che sperimentiamo anche oggi, ogni giorno.

GRANDEZZA E SOLITUDINE DEI FIGLI DI DIO

Ma la solitudine della nostra fede non ci impedisce di gioire per la grandezza della nostra vocazione. A quanti però lo hanno accolto 
ha dato potere di diventare figli di Dio: 
A quelli che credono nel suo nome,
 i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
 ma da Dio sono stati generati. È l’aspetto in qualche modo più sconvolgente del Natale. Quel Bambino non soltanto è La Parola che era presso Dio ma è diventato bambino. E lo è diventato “per noi”.