«Io sono il Sarto»: Giovan Battista Moroni a Bergamo si fa in tre. I grandi ritratti del ‘500

«Lucidi, veritieri e onesti»: così l’Argan definisce i ritratti del Moroni, e così appaiono nel percorso straordinario della mostra «Io sono il sarto» in corso a Bergamo fino al 28 febbraio. Un’esposizione inaugurata all’inizio di dicembre che ha già riscosso un grande successo, ha alimentato un vivace dibattito artistico-culturale e ha stimolato l’avvio di numerose iniziative collaterali, di cui diamo conto in questo dossier.

«Io sono il sarto» la mostra che Bergamo dedica a Giovan Battista Moroni, il più grande ritrattista lombardo del Cinquecento, si concentra in tre sedi espositive: l’Accademia Carrara, dove si trova appunto «Il Sarto» arrivato in prestito dalla National Gallery di Londra, il Museo diocesano Bernareggi, dove si possono ammirare fra l’altro otto pregevoli restauri realizzati grazie al sostegno della Fondazione Credito Bergamasco e Palazzo Moroni, che custodisce altri tre capolavori, tra i quali il celebre «Cavaliere in rosa». Basta un solo biglietto per seguire un percorso culturale che conduce attraverso la città alla scoperta non solo di capolavori d’arte ma anche della storia del territorio bergamasco, nel quale l’opera del Moroni è profondamente radicata. L’Accademia Carrara è una sede «naturale» per una mostra sul Moroni: custodisce infatti nella sua esposizione permanente 35 opere di notevolissima qualità pittorica, che il nuovo allestimento della pinacoteca cittadina ha riunito su una sala mozzafiato. A questo patrimonio poi si aggiunge ora un pezzo di valore assoluto, che «mancava da Bergamo da oltre 150 anni» come ha sottolineato Cristina Rodeschini, a cui si deve questa mostra, già direttrice della Carrara, ruolo in cui ha raccolto solo di recente il suo testimone Emanuela Daffra. Nel 1862, infatti, fu venduto e portato a Londra, dove ha acquistato negli anni una popolarità straordinaria «per la qualità della pittura – continua Rodeschini – e la comunicatività del ritratto».
Questa iniziativa, la più importante nella pinacoteca dalla riapertura nell’aprile scorso dopo il restauro durato sette anni, «smentisce il detto secondo il quale le istituzioni non sono capaci di fare squadra», come ha sottolineato il sindaco Giorgio Gori all’inaugurazione. Ci si sono impegnati infatti il Comune, la diocesi, la Fondazione Credito Bergamasco, la Fondazione Museo di Palazzo Moroni, oltre a una serie di sponsor privati.
Il prestito eccezionale della National Gallery, come ha ribadito Cristina Rodeschini, non nasce per caso, ma è il frutto del rapporto avviato con la grande mostra di Moroni realizzata a Londra due anni fa, alla quale Bergamo (l’Accademia, ma anche le parrocchie) ha contribuito in modo molto significativo. «È stata l’occasione per costruire un’alleanza e un’esposizione diffusa sul territorio». Per raggiungere le tre sedi basta una bella passeggiata: la distanza è di poco più di un chilometro. La mostra, infatti, come sottolinea l’assessore alla cultura del Comune di Bergamo Nadia Ghisalberti «non è solo “Il Sarto” ma il Moroni a Bergamo, nel nome di un progetto artistico di valore».
Per il museo diocesano, come ha chiarito don Fabrizio Rigamonti, direttore dell’ufficio dei Beni culturali della diocesi, «È il compimento di un lavoro di recupero e di tutela del patrimonio artistico che prosegue negli anni grazie alla Fondazione Credito Bergamasco».

«Il lavoro di tutela delle opere d’arte del territorio – aggiunge don Giuliano Zanchi, segretario generale della Fondazione Bernareggi – resta spesso in ombra. Questa è un’occasione imperdibile per mostrarne i frutti».

«Per noi è stato un anno eccezionale – sottolinea Angelo Piazzoli, segretario generale della Fondazione Credito Bergamasco – in cui sono maturati molti progetti: la grande mostra di Palma il Vecchio, il riallestimento dell’Accademia Carrara, la mostra di Malevic alla Gamec. Dal 2008 abbiamo realizzato 50 lavori di restauro su opere del territorio, otto si trovano al Museo Bernareggi per questa esposizione».

È già nato un dibattito acceso sull’identità dell’uomo del ritratto che dà nome alla mostra: secondo alcuni studiosi, come Mauro Zanchi, al quale si sono unite più di recente altre voci, compresa quella di Vittorio Sgarbi, sarebbe troppo elegante per essere un semplice artigiano, e si presenta invece come un mercante di tessuti che torna nel suo territorio dopo aver fatto fortuna, forse a Venezia. Questa però non è la tesi dei curatori della mostra, né degli storici locali, di cui parliamo in un altro articolo del dossier. In effetti gli anni in cui Moroni dipinge il sarto (nel 1965) non sono particolarmente felici per lui: ha perso i suoi appoggi politici perché la famiglia Albani è caduta in disgrazia, anche la curia gli è ostile perché sono cambiate le tendenze in materia di arte sacra e gli vengono preferiti, anche dai nobili, pittori molto più modesti. Moroni quindi, in esilio ad Albino, dipinge i suoi vicini di casa, personaggi di spicco della cittadina seriana, e fra questi anche il famoso sarto, colto nel momento in cui, con le forbici in mano, sta per tagliare un panno. «È un sarto e non un venditore di tessuti – ha chiarito all’inaugurazione Cristina Rodeschini – un tema che viene approfondito nel catalogo. A questa ricerca storica si è dedicato Paolo Plebani che è arrivato ad annunciare alcune belle novità. Nella seconda metà del 500 la rappresentazione di un artigiano è di sicuro un’anomalia. In quel periodo però Moroni risiedeva ad Albino e ritraeva persone che incontrava là dove viveva».

All’esposizione alla Carrara è stato affiancato un interessante lavoro sulla moda dell’epoca del Moroni: accanto ai quadri si possono ammirare il costume del Sarto, accuratamente riprodotto a grandezza naturale in base alle indicazioni del quadro, e altri indossati dai personaggi dei ritratti esposti. Elementi che danno ancora maggiore risalto alla naturalezza e al realismo alle opere del Moroni.

Nell’esposizione del Museo Bernareggi, che rappresenta un’occasione speciale per conoscere la produzione sacra del Moroni, meno conosciuta, spiccano L’ultima cena proveniente dalla Chiesa di Santa Maria Assunta e San Giacomo Maggiore di Romano di Lombardia. E il ritratto di Gian Girolamo Albani, in prestito da una collezione privata. «Moroni  – spiega il curatore del museo Simone Facchinetti – vive per la maggior parte della sua vita sul territorio bergamasco e le opere rappresentano la sua attività lungo un arco temporale molto ampio, dal 1543 quando entra nella bottega del Moretto a Brescia al 1579-80, il momento della morte. Oltre alle opere restaurate negli ultimi anni, tra le quali alcuni polittici, si vedono due capolavori. Il primo è “L’ultima cena” realizzata tra il 1565 e 1569, il suo quadro di soggetto sacro più celebre. C’è poi il ritratto del conte Albani: un dipinto straordinario che incanta per primo un erudito settecentesco Francesco Maria Tassi che gli cuce addosso un aneddoto, probabilmente inventato ma significativo. Nel 1548 racconta di un uomo che chiede un ritratto a Tiziano e il celebre pittore pare gli dica invece di rivolgersi al Moroni, capace di straordinaria naturalezza del ritratto».

Vale sicuramente la pena di fermarsi anche a Palazzo Moroni, affascinante residenza seicentesca nel cuore di Città Alta, in via Porta dipinta. Accanto al famoso Cavaliere in rosa, ritratto a figura intera del nobile Gian Girolamo Grumelli, ci sono il Ritratto di Isotta Brembati, dama che indossa un abito sontuoso, e, all’opposto, la severa Dama in nero che Moroni dipinse nei suoi ultimi anni.

La mostra del Moroni ha anche un risvolto “social”: dal sito www.iosonoilsarto.it si può giocare con le immagini del pittore e rendergli omaggio con un selfie nei panni di uno dei suoi personaggi. Poi naturalmente bisogna postarli con l’hashtag #iosonoilsarto. Tra i soggetti che si possono scegliere ci sono, oltre ovviamente a Il Sarto, il Gentiluomo, il Vecchio, la Bambina e Gerolamo.