La “mutazione genetica” di CL. Carron e la vecchia guardia

Foto: don Julian Carron, leader di Comunione e Liberazione

TEMPO DI MUTAZIONI GENETICHE

È tempo di mutazioni genetiche. L’accezione che questa espressione ha assunto di recente nel dibattito politico-culturale è per lo più negativa: è sinonimo di tradimento, di snaturamento, di incoerenza, di abbandono dei fondamenti. In realtà, la mutazione genetica è necessaria. È la sola condizione alla quale un organismo può continuare a esistere e a svilupparsi in un ambiente storico che cambia.

JUAN CARRON E GIUSSANI

L’elaborazione condensata nel libro “La bellezza disarmata” di Julian Carron, il presidente della Fraternità di Comunione e liberazione, sembra costituire la piattaforma della mutazione genetica di Comunione e liberazione. Se tale operazione sia un ritorno ai fondamenti di don Giussani o piuttosto il loro tradimento è già oggetto di una discussione interna a CL tanto lacerante quanto sotterranea. È certo che Carron presenta il proprio pensiero come una fedele interpretazione di Don Giussani. Ma a chi assuma quale criterio di giudizio la capacità di un movimento ecclesiale di fare i conti con il mondo presente, il dibattito su continuità/discontinuità, fedeltà/infedeltà appare assai poco interessante.

LA STORIA RECENTE E NON DI CL

Intanto, la storia è nota. Qui si può solo sinteticamente ricordare che Cl nasce nel 1969 come esito post-traumatico del terremoto che nel ’68 investì Gioventù studentesca, un movimento di studenti deciso a far valere nella vita quotidiana delle scuole, dell’educazione, della cultura la presenza cristiana. CL si presentò sulla scena della società italiana come un movimento ecclesiale – riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa nel 1983 come Fraternità – che si articolerà anche come movimento politico (Movimento popolare) e movimento socio-economico (Compagnia delle Opere).

CL, GIUSSANI, LA “PRESENZA”

La categoria teorica fondativa è quella della “presenza”. Categoria per niente innocua, perché in opposizione a quella della “scelta religiosa”, che veniva teorizzata e praticata dalle tradizionali organizzazioni quali l’Azione cattolica o la Fuci. “Presenza” in nome di che cosa? Non nel nome di un’utopia, di un progetto di trasformazione del mondo. Don Giussani lo ribadì non solo in contrapposizione con i movimenti di sinistra degli anni ’70, ma anche nei confronti di un gruppo di propri intellettuali – da Buttiglione a Scola – che avevano fondato l’ISTRA (Istituto di studi per la transizione) e che pensavano di entrare in competizione con i gruppi intellettuali marxisti dell’epoca, anche loro impegnati a pensare la transizione verso una nuova società, non più capitalistica. “Presenza” significava, nel pensiero di don Giussani, testimoniare l’Avvenimento, cioè la presenza viva e sempre contemporanea del Cristo nella storia. Tuttavia, la sua declinazione storica concreta in termini ecclesiali, politici e socio-economici ha finito per generare una sorta di preminenza del movimento politico sugli altri due. “Gli inconvenienti”, reali o gonfiati da forze ostili, che ne sono derivati sono finiti sulle pagine dei giornali.

LA “CORREZIONE” DI CARRON  E LE INFEDELTÀ DEL MOVIMENTO

J. Carron propone, ora, una revisione, se non della categoria astratta, almeno della pratica che ne è seguita. Si propone di “sfrondare” la presenza, denunciando la tentazione di sostituire la fede con un progetto e di contare troppo sulla politica. È un’imputazione di pelagianesimo, secondo il quale solo le opere salvano. Sottolinea il rischio che la presenza sia solo “reattiva” o solo “imitativa” e che, pertanto, “i politici cattolici siano più definiti dagli schieramenti partitici che dall’autocoscienza della loro esperienza ecclesiale”, così che, invece di segnalare “una presenza originale” i cattolici diventino “una fazione”. La presenza nasce e consiste nella persona quale si autocostruisce nella comunità cristiana. Questo discorso di Carron è coerente con il pensiero di don Giussani? Parrebbe di sì. Ma se questo è vero, ciò significherebbe che l’intero movimento concreto di CL è stato poco fedele a quella “irrevocabile distanza critica” che Giussani stesso dichiarava essere una necessità del movimento ecclesiale.

IL CENTRALISMO BUROCRATICO DI CL

Alle spalle di questa “correzione” di Carron sta un approccio alla storia del mondo e alla modernità, che è forse l’aspetto più originale del suo pensiero rispetto a Giussani. Fondendo il grande lascito intellettuale di Ratzinger sulla libertà umana – riconosciuta come un’acquisizione irreversibile della modernità – e sulla speranza (Enciclica Spe Salvi) con quello più recente di Papa Francesco sulla “bellezza che educherà il mondo”, Carron invita a guardare il mondo presente con simpatia e ottimismo: “quando il mondo crolla, c’è qualcosa che permane: la realtà!”. La realtà è positiva “per il Mistero che la abita”. La ripresa del tema della libertà è anche un messaggio rivolto verso l’interno, dove il centralismo carismatico ha finito per trasformare la sequela in obbedienza alla singola persona e all’organizzazione, il necessario esercizio dell’autorità in accentramento, il carisma in centralismo burocratico, generatore di conformismi e di irresponsabilità. “L’essenza della sequela non è eseguire ordini!”. L’appartenenza non può sostituirsi alle persone; la comunità è l’humus, ma il seme è la responsabilità individuale. Lo sguardo positivo sulla modernità inverte quella gerarchia delle epoche, diventata quasi una vulgata in CL, secondo la quale il Medioevo era il secolo dei Lumi e questo l’Evo oscuro. Di qui un rapporto diverso con il Concilio Vaticano II, che al mondo moderno ha cercato di aprirsi.

DALLA PRESENZA ALLA  TESTIMONIANZA

L’itinerario che Carron delinea pare essere quello “dalla presenza alla testimonianza”. L’accesso alla verità si realizza attraverso la libertà. Con ciò non soltanto si esclude l’imposizione violenta della verità, ma anche la protezione delle leggi e della politica. La testimonianza: “vivere gesti di umanità nuova nel presente”. Si comprende bene che questa reinterpretazione del pensiero di Giussani possa aver generato una reazione di panico nella vecchia generazione ciellina, cresciuta a pane, fede e politica, come se le franasse il terreno sotto i piedi.  Ma è forse quella mutazione che potrebbe consentire al movimento ecclesiale di CL di giocare un nuovo ruolo culturale e educativo nella società italiana e nella Chiesa.