Gentilissime signore. Dieci lettere alle donne della Bibbia/Anna, madre di Samuele

Immagine: Jan VictorsAnna che presenta il figlioSamuele ad Eli (1645).

Gent.ma Sig.a Anna,
​grazie alle messaggerie celesti, che, bisogna riconoscerlo, sotto la direzione dell’arcangelo Gabriele funzionano come Dio comanda, le posso finalmente dire i sentimenti contrastanti che lei e la sua vicenda hanno sempre suscitato in me.

NON CAPISCO QUEL SUO SFRENATO DESIDERIO DI AVERE UN  FIGLIO

​Mi ha sempre commosso, per cominciare, il suo struggente desiderio di un figlio, non consolato nemmeno dalle tenere attenzioni di suo marito. Il suo correre a pregare e piangere al santuario di Betel mi fa venire in mente con un po’ di pena tutte le signore che con il suo stesso dramma corrono da una Madonna all’altra per strappare la grazia a suon di rosari.
​Le devo però dire, e spero che mi perdoni la franchezza, che mi disturba decisamente il fatto che il suo anelito di maternità più che dal desiderio di avere un figlio fosse motivato dalla vergogna di non averne. Così almeno ci lascia intendere la Bibbia. È triste che i bambini non siano voluti per loro stessi. Anche oggi qualcuno li vuole solo per esibirli al parentado, qualcun altro per avere il Ciccio bello vivo, che sotto certi aspetti è meglio anche del micio; qualche altro anche per fargli fare quello che non è riuscito ai genitori. Io sono convinto che, se i figli fossero voluti per loro stessi, al giorno d’oggi nei casi di sterilità, non ci sarebbe quella ricerca ossessiva che con la complicità dell’ingegneria genetica arriva a pazzie dell’altro mondo. Ma tant’è, così va il mondo.

SCUSI, MA LEI MI SEMBRA UNA MAMMA UN PO’ TROPPO VOLITIVA

​Ma la carrellata dei miei sentimenti nei suoi confronti non è ancora finita. Quando le sue preghiere e le sue lacrime vengono esaudite e il tanto desiderato Samuelino viene finalmente ad allietare la sua vita, lei coi vari golfini e le calzine e le camicie, ha già bell’e pronta per lui una vocazione su misura. “Sarà seminarista al tempio!”. Suo marito, quella pasta d’uomo del Sig. Manahen, innamorato cotto di lei al punto di essere pronto a girare il mondo per cercarle anche il latte di gallina se lei ne avesse avuto la voglia, come avrebbe potuto opporsi ad una decisione così perentoria?
​E così Samuele fu seminarista alla scuola del vecchio Eli, che come rettore di seminario non era proprio il massimo. A me, glielo voglio dire chiaro, Signora, queste vocazioni materne, istillate nei figli forzatamente con la poppata, fanno venire i brividi. Buon per il piccolo che Dio sa far miracoli. Egli infatti da quel primo seminarista per vocazione materna e malgrado il rettore inetto, ha tirato fuori un Giudice coi fiocchi, uno dei padri della patria e della fede del popolo d’Israele.

​Mille e un motivo aveva perciò lei di cantare le lodi di Jahwè con quel bellissimo cantico, da cui non esitò a copiare la stessa vergine Maria molti secoli dopo. Diciamocelo chiaro però: non si può pretendere che Dio metta sempre una pezza alle nostre stoltezze.

PURTROPPO MOLTE MAMME HANNO PRESO ESEMPIO DA LEI

​Purtroppo lungo i millenni le mamme che hanno imitato il suo improvvido esempio sono state legione. In un contesto sacrale a stuoli desideravano con tutte le viscere che il loro rampollo venisse fuori prete e, perché no, anche vescovo e per questo si scompisciavano in novene interminabili o in voti strampalati e mandavano in fumo tonnellate di candele di tutte le dimensioni. In una società secolarizzata come l’attuale, naturalmente sono rari come le mosche bianche i genitori disposti a sprecare un cero piccolo così perché il figlio diventi prete, ma il meccanismo è sempre in azione. E come! Ci sono genitori che si dannano l’anima, che dilapidano patrimoni in lezioni e raccomandazioni, che fanno impazzire l’universo, perché vogliono a tutti i costi che il loro tesoro, se è maschio, diventi un pianista, o meglio ancora (perché guadagnerebbe infinitamente di più) un calciatore o comunque uno che conta; e, se è femmina, perché diventi Miss-Vattelapesca, o velina, o ballerina, o comunque una presenza visibile.

POVERI FIGLI COSTRETTI A VIVERE NEI PANNI SOGNATI DAI GENITORI

​Poveri ragazzi, costretti a vestire panni non sognati! Ma, alla fin fine, anche poveri genitori, perché, nella stragrande maggioranza dei casi, dopo aver sognato l’aquila, si trovano avviliti a doversi tenere un capponcino a sua volta triste e mortificato.

​Signora, sia buona! Mi dia il permesso di dire chiaro e tondo ai genitori che ci ascoltano ancora: “Per favore, non fate come la madre di Samuele! Lasciate che i figli facciano la loro strada e non siano costretti ad adempiere voti fatti da voi. Nel mondo ci sarà di sicuro qualche infelice in meno”.
​Solo a questa condizione, la saluto distintamente.