Processo Bossetti. Tifo da partita di calcio. Aula nuova cercasi

Foto: L’avvocato Claudio Salvagni, difensore di Massimo Bossetti

In attesa di capire se siano veri o falsi gli schiamazzi della prima udienza dell’anno, con tanto di sospensione della testimonianza in corso e conseguente rinvio, la gestione del processo per l’uccisione di Yara si fa sempre più complicata. Come volevasi dimostrare. Il peccato originale di questo dibattimento, quanto alla sua celebrazione, resta la scelta dell’aula del dibattimento. Questo errore ha involontariamente autorizzato le parti – accusa pubblica e privata, difesa, pubblico – a spogliarsi del ruolo loro imposto non solo dalla procedura ma ancor più dalla delicatezza dell’argomento.

GLI SCONTRI CI SONO SEMPRE STATI

La cronaca giudiziaria, locale e non, è piena di scontri fra accusa e difesa. Questo è vero. Ciò non significa che certi confronti all’arma bianca visti su questi schermi sarebbero stati da vietare ai minori di 18 anni. Troppo insulsi. Però basta avere un minimo di memoria storica e riandare alle toghe gettate sul pavimento in piena Corte d’Assise dai vari penalisti nell’esercizio delle proprie funzioni. Non altrettanto, tuttavia, le intemperanze del pubblico, che non fanno assolutamente parte del copione e possono costituire seria turbativa allo svolgimento dei lavori.

Nel nostro caso, alcuni spettatori abituali fanno il tifo come se fra il p.m. Ruggeri e l’avv. Salvagni fosse in corso una partita a calcio balilla. Venerdì scorso siamo arrivati allo scrosciar d’applausi, nel corso di un aspro confronto fra le parti, con inevitabile aggiornamento dell’esame testimoniale in corso. Ma alla ripresa che succederà? L’esperienza insegna: uno dei due contendenti si scuserà, e buonanotte. A meno che – e non è affatto da escludersi, anzi osiamo sperarlo – questi giorni non stiano servendo per rivisitare l’intera situazione. Il processo andrà avanti ancora per alcuni mesi (tre, quattro?). Si può proseguire così?

L’AULA DEL PROCESSO È INADEGUATA

Che c’entra l’aula? L’angusta sala non rispetta le gerarchie, sdoganando comportamenti da bar. In tutti i processi d’Italia il collegio giudicante guarda in faccia, oltre all’imputato, l’accusa e la difesa. Nei banchi successivi, ci sono prima le parti civili e poi i giornalisti. Il pubblico sta sul fondo, in genere a distanza regolamentare o di sicurezza, normalmente oltre una transenna. Stavolta si è voluto scambiar di posto i giornalisti col pubblico.

Dunque al di là della transenna sono finiti i cronisti, con gli spettatori, che fino a prova contraria non sono addetti ai lavori, a diretto contatto. Si è perduto l’istinto di rispetto e anche di timore reverenziale che deve pur incutere un’istituzione solenne come la Corte d’Assise. Gli spettatori vanno naturalmente accolti, ci mancherebbe. Tuttavia il grosso dell’opinione pubblica non può che essere rappresentato dalla stampa, che a priori va supposta per corretta.

Primo obiettivo, ora, sarebbe recuperare quel minimo di soggezione nei confronti della Giustizia. Quell’aula a via Borfuro per un processo così non va bene. Ci si potrebbe tranquillamente trasferire in quella vecchia di Corte d’Assise a piazza Dante. Che è supercollaudata (dalle rapine ad opera dei minorenni della banda del Monterosso, Anni Settanta per non retrocedere troppo nel tempo, al delitto a Clusone di Laura Bigoni), molto più grande e attrezzata. Pure prestigiosa, con tanto di tribuna balconata.

Atmosfera più soft, meno carica d’elettricità, cercasi. Perfino gli schiamazzi – veri o falsi che siano, ma non è questa la sede per farne commento – sarebbero forse più facilmente smascherabili.