I missionari di oggi: umili, popolari, vicini alla gente. Preti di strada come don Camillo

Qual è il compito, qual è la strada da seguire per i preti di oggi, in un mondo sempre più complesso e globalizzato? «Siate pastori» ha detto monsignor Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, al Convegno della Comunità missionaria del Paradiso «Tra memoria, martirio e profezia», in corso ancora fino a stasera. E ha sottolineato che – come ha detto più volte anche Papa Francesco – si tratta di un compito tutt’altro che facile: «Non reggere tutto – ha sottolineato monsignor Zuppi – fatti reggere. Qualche volta il pastore non va avanti per primo ma resta dietro al popolo». Cosa chiede in sostanza ai preti Papa Francesco? Ha indicato i modelli di San Francesco, San Filippo Neri, e accanto a loro una figura non proprio scontata, quella di don Camillo, il celebre personaggio di Guareschi noto per le sue schermaglie con il sindaco Peppone, sì, per la sua passione civile, ma anche per la vicinanza alla gente. «In fondo – ha sottolineato monsignor Zuppi – è questo il primo modo di essere missionari: la preghiera e la vicinanza alle persone. È necessario tornare per strada». E lui lo sa bene, per esperienza, visto che è stato fino a poco tempo fa, proprio prete di strada in mezzo ai poveri, nel centro di Roma, prima di essere destinato a Bologna. Anche adesso il suo stile non è cambiato. «Bisogna essere come un prete di campagna che conosce i suoi parrocchiani uno per uno, ride, soffre, e sorride con loro. Popolare, umile, generoso e lieto. Se si perde questo, se si perde il contatto con il popolo di Dio va smarrita la nostra umanità e non andiamo da nessuna parte». La vicinanza e la prossimità fanno scoprire cose, sottolinea monsignor Zuppi, che altrimenti restano nascoste: «Attenzione a non rendere le categorie più importanti delle persone. È essenziale per questo ritrovare il contatto diretto e avere il coraggio di essere quell’incontro decisivo che cambia la vita». In un clima molto più difficile rispetto al passato, in cui non sembrano più esserci «valori non negoziabili», l’unica strada per la Chiesa è «Vivere i problemi come sfide, e non come ostacoli. Il Signore è all’opera ed è attivo nel mondo, bisogna andare per le strade e rivelare la sua presenza alle persone. Non siamo chiamati a costruire muri, ma, come dice il Papa, ospedali da campo e piazze. Queste cose si comprendono se guardiamo il mondo con gli occhi della misericordia, altrimenti rischiamo di trovare anche qui un discorso programmatico, e potrebbe capitarci di sbagliare, come il medico convinto che il problema sia la glicemia quando magari in realtà deve aiutare qualcuno che sta morendo». La Misericordia, continua monsignor Zuppi, è uno sguardo «che ci fa capire il mondo in modo diverso, a partire dal Concilio, dallo slancio ad avvicinarsi alla gente». In un momento di crisi come questo, la tentazione può essere quella di ripiegarsi su se stessi: «La nostra vita oggi non deve esaurirsi chiudendosi in se stessa. Siamo di meno, è vero: ma la preoccupazione dev’essere quella di rimettersi in gioco per non sciupare i doni dissipandoli o tenendoli al chiuso. A volte ci piace di più difendere le idee che le anime. Nella Evangelii Gaudium il Papa insiste sull’idea che Dio sia già presente negli altri, nella città, negli uomini. Certo, svelare questa presenza è più difficile. Insiste poi nel dire che tutti possono e devono essere raggiunti dal Vangelo, nessuno è escluso. Quello che stiamo vivendo è in fondo proprio la realizzazione del Concilio: la Chiesa che si rimette a parlare a tutti. E la Misericordia è la chiave». Dopo l’intervento di monsignor Matteo Zuppi la giornata è proseguita con un confronto con i partecipanti e con il ricordo del beato Alessandro Dordi. Domani mattina a partire dalle 7,30 il convegno continua con le lodi presiedute da don Giacomo Cumini e con l’intervento di monsignor Battista Pansa «Tra missione, martirio e profezia».