Gentilissime signore. Dieci lettere alle donne della Bibbia/Zippora, moglie di Mosè

Immagine: Mosé e Zippora, da Il principe d’Egitto (The Prince of Egypt), film d’animazione della DreamWorks Animation del 1998. Regia di Brenda Chapman.

Illustrissima Signora Zippora,

​il mio parere, ne sono cosciente, conta meno di zero, ma, dato che in più di tremila anni nessuno l’ha mai fatto, lo voglio fare io nel mio piccolo, sperando che non le dispiaccia. Voglio finalmente renderle merito di alcuni suoi atteggiamenti che a me sembrano particolarmente degni di plauso sempre, ma specialmente ai giorni nostri.

LEI È LA FIRST LADY PIÙ FAMOSA DELLA BIBBIA

​Lei, la moglie di Mosè, del personaggio di gran lunga più importante di tutto l’Antico Testamento, è stata quella che oggi si direbbe la “first lady” biblica di più alto rango. Eppure, le Divine Scritture a mala pena parlano di lei. Nessun presenzialismo da parte sua, né il benché minimo ruolo ufficiale all’ombra del potentissimo marito. Soprattutto, non il minimo sfruttamento della sua prestigiosa posizione. Possono aver influito, che so, le usanze del tempo e del luogo, o la sua origine bucolica: tutti elementi non particolarmente propizi al protagonismo femminile. Ma, secondo me, a questo silenzio quasi totale della Bibbia sul suo conto hanno contribuito non poco anche la sua modestia e la sua discrezione, virtù non frequenti tra le “first ladies”, e anche quel sano realismo che non le ha fatto mai perdere il senso delle sue proporzioni e che alla fine è la vera faccia dell’umiltà.

LEI NON HA NULLA IN COMUNE CON LE ALTRE FIRST LADIES

Ma quello per cui voglio renderle onore è la linea educativa con cui ha tirato su i suoi figli.
​Le mogli degli uomini in vista hanno comportamenti diversi: o si contentano gradatamente di vivere di luce riflessa, oppure si frustrano in un’insignificanza mal sopportata, oppure ancora si logorano in un’impari competizione con il coniuge manco a dirlo sempre inarrivabile. Se no, puntano tutto sui figli, che considerano creature esclusivamente proprie. E così, a volte, li mandano sulla strada del padre, con la speranza che arrivino ad oscurarne il prestigio. Altre volte invece li angariano su strade diverse, per evitare il confronto diretto che ha i suoi rischi. In ogni caso, lo scopo di tutto il loro affaccendarsi è un successo tale del proprio rampollo che gratifichi il loro orgoglio di madri e nello stesso tempo ridimensioni quello del marito. In non pochi casi poi, esse li sottraggono al marito e li sequestrano in un privato asfissiante, con il pretesto di salvarli dal clamore della pubblicità.
Il risultato di queste operazioni è quasi sempre terrificante. I cosiddetti figli d’arte” si trovano in ogni caso sottoposti allo stress logorante del confronto. E quasi sempre non si ricava altro che uno stuolo di scialbe e nevrotiche imitazioni del prototipo. Pensi in politica ad un Bobo Craxi o ad un Giorgio La Malfa… Poi c’è il mondo dello sport, quello dello spettacolo, della scienza, dell’imprenditoria: tutti mondi in cui pullula questo pietoso sottobosco di forzati dell’imitazione. Le madri dei figli d’arte dal canto loro sono tra gli esemplari più odiati del genere umano. Sono odiate dal marito disturbato dalle continue punture di zanzara e odiate dai figli che si sentono usati per scopi non loro.
​Ma c’è un’eventualità anche peggiore di quelle descritte. Tante mamme di figli di papà, intravista al volo l’inutilità della lotta, associano i figli nello sfruttamento puro e semplice della fama e del potere del congiunto importante. Nasce così quella specie di lavativi, di impuniti e di mantenuti che stazionano nelle nostre scuole, bighellonano nelle piazze e finiscono con lo stordirsi nelle discoteche, veri parassiti sociali foraggiati e protetti da madri di questo tipo. Sa una cosa, Signora? Io comincio a pensare che certe mamme siano tra i maggiori pericoli sociali in circolazione.

SOPRATTUTTO LEI NON HA SPINTO I FIGLI A IMITARE IL CELEBRE PADRE 

​Ecco, lei, Signora, non è caduta in nessuno di questi errori. Gherzon ed Eliezer, i rampolli del grande Mosè, non son diventati figli d’arte; non sono stati spinti ad un’impossibile competizione con il padre; non hanno nemmeno cercato una rivalsa in altre direzioni; men che meno hanno sfruttato il nome e la posizione del grande genitore, in nessun senso. Nessuna carriera scontata, nessun college compiacente, nessuna laurea prefabbricata… Niente di niente. C’è da augurarsi soltanto che per salvarli da tutto questo non li abbia tenuti attaccati alle sue gonne facendone dei mammoni timidi e inetti; ma, con le premesse di cui sopra, non credo.
​Ah, Signora, come vorrei che la Bibbia avesse sottolineato di più questi suoi meriti! E come sarebbe stato più bello, più libero e più sano il mondo con delle “first ladies” come lei! I tempi purtroppo, non sono più quelli e gli stampi nemmeno. Ragione per cui più convinto è l’omaggio che le ho voluto rendere e più sentiti i saluti che le porgo.