Gesù profeta e i suoi compaesani di Nazaret. Si sogna Dio lontano e non ci si accorge che si è fatto vicino

Immagine: dal film Nativity (The Nativity Story),  del 2006 diretto da Catherine Hardwicke

In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: “Non è costui il figlio di Giuseppe?”. Ma egli rispose loro: “Certamente voi mi citerete questo proverbio: ‘Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!'” (vedi Vangelo di Luca 4, 21-30. Per leggere i testi liturgici di domenica 31 gennaio, clicca qui).

IL “FIGLIO DI GIUSEPPE” SCANDALIZZA

È sabato, il giorno nel quale gli ebrei si recano alla sinagoga per ascoltare la lettura e la spiegazione della bibbia. Tutti possono essere invitati a parlare. Così avviene un sabato con Gesù. Egli legge un passaggio del profeta Isaia che parla dell’intervento definitivo e risolutore di Dio, negli ultimi tempi e dice che tutto questo si realizza oggi, con lui.

Gesù impressiona, le sue parole toccano, sono “parole di grazia”, cioè parole non solo belle, ma profetiche, ispirate. Nell’animo dei Nazaretani si uniscono la meraviglia per le parole di grazia e lo stupore, lo scandalo che quelle parole siano pronunciate da quello che, per loro, è semplicemente il figlio di Giuseppe.

Lo stato d’animo di quelli di Nazaret, dunque, è complicato dalla “vicinanza” di Gesù che tutti conoscono. Invece di aprirsi alla rivelazione dell’amore di Dio che avviene nella vita di Gesù, quelli di Nazaret vogliono “usare” quello che sanno di Gesù per ottenere qualche cosa: Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fàllo anche qui, nella tua patria!. È quella visione utilitaristica, tipicamente farisaica, alla quale Gesù ha sempre detto di no.

“NESSUN PROFETA È BENE ACCETTO NELLA SUA PATRIA”

Proprio reagendo a questa sensazione, Gesù delinea allora il suo destino: sarà un profeta condannato. È ciò che dice anche la prima lettura: spesso il profeta è solo e rifiutato, deve combattere contro tutti. Luca vede spesso in questa prospettiva il “destino” di Gesù. Il profeta andrà verso Gerusalemme. Ma là sarà ucciso. Allora il suo messaggio si diffonderà nel mondo intero. Sarà rifiutato dai vicini e accettato dai lontani. Dio, d’altronde, ha sempre agito così. Gesù cita due esempi. Elia ha dato da mangiare a una vedova straniera, di Sidone, ed Eliseo ha guarito Naaman che veniva dalla Siria.

La scena conclusiva è l’affermazione definitiva della distanza e della differenza.  Difficile dire che cosa sia avvenuto di fatto. Certo Luca vuole dirci che Gesù se ne va perché non è ancora giunta la sua ora: se ne va via, sovranamente libero, in mezzo alla folla in tumulto. Anzi il verbo greco, che sta per “se ne andò”, sembra essere un verbo tecnico che indica la “salita” di Gesù a Gerusalemme. Dunque il progetto di Dio si realizzerà, contro i Nazaretani e nonostante le loro attese lontane dai progetti di Dio.

LA CHIESA TROPPO “VICINA” PER ESSERE AMATA

Anche noi corriamo lo stesso rischio dei compaesani di Gesù: immaginiamo Dio chissà dove e chissà quando e non ci accorgiamo che egli è qui, adesso; immaginiamo Dio grandioso e sconvolgente e non ci accorgiamo che è fraterno e familiare accanto a noi.

Si potrebbe dire la stessa cosa dicendo che manchiamo del senso dell’inizio, di quel dato sconvolgente che è l’inizio. Prima non c’era nessuno, adesso c’è un bambino, o il figlio del falegname. La vita confina con la morte, quando non “comincia” più nulla. Bisogna saper attendere l’alba. “La primavera incomincia con il primo fiore, il giorno con il primo barlume, la notte con la prima stella, il torrente con la prima goccia, l’amore con il primo sogno”, ha detto don Primo Mazzolari. La nostra paura della nascita, l’”orrore della nascita” come è stato definito, non rientra in questa incapacità di accettare l’inizio?

Si sente spesso criticare la Chiesa. Anche questa critica può essere vista nella stessa linea della critica di quelli di Nazaret. È impossibile che Dio parli proprio oggi e proprio qui a Nazaret. È impossibile che Dio parli proprio qui, in questa Chiesa così peccatrice e in questo presente così deludente. E si rimanda tutto a un indefinito “al di là” nel tempo, o un “al di là” fuori del tempo. La Chiesa non esiste, allora, esiste solo il paradiso. E si rischia, ancora una volta, di perdere l’appuntamento.