Scuola dell’infanzia: i bambini scoprono che cosa sono religione e valori con il gioco

L’insegnamento della religione cattolica ha un ruolo fondamentale anche nella scuola dell’infanzia. Ma come si fa, nel concreto, a trasmettere concetti non semplici – come quelli della religione – a dei bambini di 3-5 anni? E qual è la concezione che hanno oggi i genitori di questo insegnamento? Ce ne parla la maestra Rossana Rinaldi, da dieci anni insegnante di religione presso le scuole dell’infanzia. «Ad oggi insegno in 4 istituti diversi con lezioni di un’ora e mezza a settimana: ad Alzano, alla Battisti di Seriate, a San Paolo d’Argon e a Sovere. Sono realtà diverse tra di loro e lo si può facilmente capire: Seriate è più vicino alla città rispetto a Sovere che è una realtà più cittadina. Dunque anche il mio insegnamento – soprattutto per quanto riguarda il numero – ne risente».

Quanti sono i bambini che si avvalgono del suo insegnamento? E quali sono i motivi che spingono i genitori a scegliere se iscrivere il proprio figlio all’insegnamento della religione cattolica?
«In media sono classi di 25-30 alunni; di questi se ne avvalgono circa 18-20 bambini. Alcuni genitori decidono di non iscrivere il proprio figlio perché sono di altre religioni; altri invece perché sono atei; altri ancora utilizzano la formula del “quando sarà più grande deciderà lui il suo credo”. Tutto questo nasce da un problema di fondo: molti non sanno bene cos’è l’insegnamento della religione cattolica. Non è né catechismo né indottrinamento, ma, piuttosto, è insegnamento di valori umani utilizzando gli stessi aspetti ludici delle mie colleghe. Tanti genitori, spesso, per partito preso non iscrivono i figli ma si ricredono quando presento il mio insegnamento».

Concretamente quali sono le esperienze e le attività che i bambini fanno nella sua ora e mezza di insegnamento?
«Sono tutte esperienze dove al centro c’è il gioco: imparano toccando con mano, interagendo, divertendosi. La lettura del Vangelo e della Bibbia viene trasformata in gioco in modo che i bambini possano capire, attraverso il gioco, l’insegnamento biblico. Recentemente abbiamo letto la parabola della pecorella smarrita e su quella abbiamo fatto un gioco. Un altro esempio: il tema di quest’anno è la Misericordia, un tema difficile che noi stiamo provando a sviscerare attraverso esperienze come l’abbraccio. Sono esperienze concrete chiaramente calate su bambini di 3-5 anni. C’è sempre confronto con altre materie: nel periodo di Natale, ad esempio, alcuni temi vengono ripresi da più materie per lavorare in parallelo».

Generalizzando, qual è l’atteggiamento che riscontra nei genitori quando presenta il suo insegnamento o quando si trova a parlare con loro?
«È un atteggiamento perlopiù positivo: durante le assemblee e gli scambi con i genitori, noto che le proposte piacciono e spesso mi raccontano che c’è un rimando delle esperienze anche fra le mura domestiche. Noto che ai genitori questo metodo d’insegnamento piace. Un esempio: in un’assemblea, dopo che io ho presentato il mio insegnamento, una mamma musulmana mi ha detto “Se avessi saputo che l’insegnamento di religione era così l’avrei iscritta”. E difatti l’anno dopo l’ha fatto».

Come è cambiato negli anni il panorama? Quali sono le differenze rispetto a quando ha cominciato?
«Non c’è stato un grande cambiamento devo dire. Molto dipende da territorio a territorio: Alzano, per esempio, ha avuto un grosso flusso migratorio e questo certamente può influire sul numero di bambini iscritti.
Forse c’è un leggero calo a livello generale ma non vedo grandi differenze. Una cosa che vorrei invece sottolineare, perché la sto avvertendo molto, è questo voler far scegliere al bambino quando sarà adulto, oppure il dire: “A 3 anni è troppo piccolo per capire certe cose”. Posso assicurare che in realtà i bambini capiscono eccome».