Arriva il Festival di Sanremo. Non solo canzonette, ma uno dei volti del Belpaese

No, non sono solo canzonette. Il Festival di Sanremo, che in questa settimana (9-13 febbraio) inchioda milioni di italiani davanti alla televisione, rappresenta, da oltre sessant’anni, uno dei “volti” del Belpaese. Un evento musicale e popolare coinvolgente, in grado di regalare motivetti canticchiabili ma anche qualche sguardo non banale sulla nostra epoca. Ne è convinto Luca Diliberto, insegnante, a lungo collaboratore del Servizio diocesano di pastorale liturgica a Milano, autore di testi per canti tante volte risuonati nelle chiese italiane – basti citare “Alleluia e poi” o “Il canto della tenerezza” – e di raccolte (la prima, pubblicata ancora giovanissimo, nel 1989, si intitolava “Ho sentito parlare di te”). Dal 1990 è responsabile della raccolta di canti religiosi “Insieme”, di cui sta preparando una nuova proposta, con quindici canti inediti. Ebbene, Diliberto la sera, dopo cena, si siede sul divano, accende la tv, e segue Sanremo.

Sanremo è l’evento musicale dell’anno in Italia. Non è solo l’appuntamento dell’industria discografica, con i suoi interessi, ma un vero e proprio rendez-vous nazionale. A suo avviso il Festival, nato nel 1951, ha ancora qualcosa da dire alla cultura del nostro Paese?
Credo vi siano non poche pubblicazioni che analizzano il Festival come fenomeno sociale, il cui peso ovviamente muta a seconda dei diversi periodi storici del secondo dopoguerra. Non vi è dubbio che la sua importanza sia cresciuta dai primi anni, quando ancora si ascoltava alla radio; con le trasmissioni televisive, negli anni Sessanta, cioè in un’epoca in cui la singola canzone (anche attraverso i 45 giri) ebbe diffusione straordinaria, paragonabile se non superiore ai contatti in rete di oggi, Sanremo si collocò al centro dell’industria musicale; e dunque fu un incredibile strumento moltiplicatore di elementi di cultura popolare. Con la fine degli anni Settanta queste dinamiche si ridussero, a fronte di una cultura giovanile che impose nuovi modelli, tendenze e gusti musicali. Negli anni più vicini a noi, il Festival fu in qualche modo fagocitato dalle forme del linguaggio televisivo, sino a divenire un grande show, dove le canzoni ebbero ruolo più marginale.Oggi, forse, anche a causa della crisi che ha toccato il settore, a Sanremo si guarda con più attenzione; non a caso, dall’incrocio con i percorsi promozionali dei talent televisivi è emerso un oggetto ibrido, ma non banale.

In passato non sono mancati, nei testi delle canzoni, riferimenti a temi importanti: la famiglia, il lavoro, la fede, ovviamente l’amore, la vita… Sanremo può essere, in tal senso, uno “specchio” dell’Italia di oggi?
Va colto anzitutto il particolare sistema su cui sono strutturate tutte le serate sanremesi: quello della gara, a volte anche crudele, tra cantanti, con tanto di eliminazioni. Ciò porta chi confeziona i prodotti musicali che si susseguono a ricercare molto spesso qualche elemento che faccia immediatamente breccia nel gusto medio di quanti guardano, ascoltano, giudicano (soprattutto delle famigerate “giurie popolari”). Questa premessa è molto importante, a mio parere, per valutare di volta in volta che cosa viene presentato: che deve “fare colpo”, subito, con mezzi retorici ed elementi melodici di sicuro effetto. In queste condizioni creative e produttive, non è facile porsi l’obiettivo di veicolare contenuti alti, sia sotto il profilo dei testi che delle scelte musicali. Fortunatamente, qualche volta è successo, e non è detto che poi si venga puniti per essere usciti dalla solite griglie sanremesi, che a livello testuale si riassumono solitamente nella rima “cuore/amore”… Anche prodotti commerciali possono riprodurre un sentire comune. In questo senso, Sanremo rappresenta una fetta della nostra contemporaneità; non va sopravvalutato, ma nemmeno demonizzato.

La musica liturgica potrebbe trovare qualche spunto nel Festival?
Se ragioniamo sulle strutture melodiche che al Festival risultano più utilizzate, non possiamo nasconderci che la forma prevalente rimane, cristallizzata da decenni, quella che prevede una strofa che introduce la linea melodica, seguita da un ampio e spesso roboante ritornello. A me piacerebbe che, almeno chi scrive musica e testi per le celebrazioni e la preghiera, non rincorresse una tradizione stereotipata, né si accomodasse su schemi ripetuti e strasentiti. Nessuno scandalo – almeno io la vedo così – se sonorità, melodie ed anche parole della nostra contemporaneità trovassero talvolta ascolto e accoglienza anche nella produzione religiosa. Purché si abbia chiaro il motivo per cui essa esiste: sostenere, arricchire, servire la lode e la comunione di una comunità che si raduna per pregare.