Quaresima, tempo di gioia. Nonostante

Cara Suor Chiara, “avere una faccia da quaresima” o “fare quaresima” sono espressioni che non rimandano a eventi gioiosi. Il tempo che è appena cominciato può essere visto come tempo di gioia? Ma quali sarebbero, nel caso, i motivi per cui si dovrebbe stare allegri mentre si prega e si digiuna? Grazie della tua  risposta. Lucia

ALL’INIZIO DI TUTTO, UNA BUONA NOTIZIA

Credere nel Vangelo, cara Lucia, è per il cristiano accogliere una buona notizia,  il dono della salvezza ricevuto dalla misericordia del Signore. Tutto il Vangelo è racchiuso tra l’annuncio di gioia della nascita di Gesù e quello del mattino di Pasqua di resurrezione. La fede in Gesù è accogliere Colui che solo può donare vita in abbondanza. La quaresima non è un tempo principalmente di austerità e tristezza, né un periodo per coltivare il senso di colpa per le mancanze o i peccati commessi, ma è un momento privilegiato per cantare e celebrare la gioia della salvezza scaturita dalla Pasqua del Signore. Purtroppo la testimonianza dei credenti non rende  sempre visibile la  gioia per questo dono e lo vela di una sottile mestizia. Come salvati e redenti viviamo, liturgicamente, questo tempo per riaffermare la necessità di un esodo spirituale che ci renda donne e uomini chiamati a  conversione, per raggiungere il fine: l’incontro con Cristo. Dentro questa relazione ci scopriamo figli amati e salvati, oggetto dell’amore fedele e incondizionato di Dio che a noi ha dato la vita: questo è il fondamento della gioia! È un’esperienza spirituale profonda alla quale riferirci per dare significato al nostro quotidiano e a quelle scelte quaresimali che muovono il nostro cammino di conversione. Quaresima allora diviene un tempo privilegiato di ascolto dell’opera della salvezza intessuta nella storia e nella nostra vita, che chiede di allargare lo spazio del cuore e della mente a una sua nuova comprensione e assimilazione.

LA PAROLA. E POI LA PREGHIERA, IL DIGIUNO, L’ELEMOSINA

La frequentazione della parola di Dio che, con abbondanza, personalmente o nelle nostre comunità potremo ascoltare in questo tempo, è la via privilegiata per entrare in questa prospettiva e plasmare in noi la forma del Cristo. Guardare al Signore che ha vinto il peccato e la morte e ci dona la sua misericordia, permette di convertire le nostre false immagini di Dio e vivere una nuova comunione con Lui e i fratelli. Contemplare il crocifisso è riconoscere il “dramma” dell’amore e del dolore da cui è scaturita la misericordia che ci ha salvato e che vuole raggiungere gli uomini in ogni loro lontananza o peccato. Se questo è vero, come possiamo essere tristi o vivere superficialmente un tempo così prezioso? È urgente riconsiderare il significato di quanto vivremo purificandolo da tutto ciò che ha appesantito o deviato il suo valore originale per accoglierlo nella sua verità. Mi potrai poi chiedere se hanno ancora significato quelle pratiche penitenziali che hanno sostenuto generazioni di credenti. Certamente! La preghiera, il digiuno e l’elemosina sono risposte al dono ricevuto, all’amore di Dio che, chiede di uscire dalle nostre piccole o grandi schiavitù del nostro “io” per vivere un’esperienza autentica di relazione con Lui e i fratelli.

IL VALORE COSTRUTTIVO DELLA RINUNCIA

Rinunciare al superfluo o all’eccesso di cibo, di beni, di parole, di utilizzo dei mezzi di comunicazione, di errate abitudini, non ha valore in sé, ma  aiuta a liberarci dall’illusione di trovare solo nelle cose la nostra felicità e libertà. La rinuncia ci struttura umanamente, fa emergere le attese profonde del cuore, la nostra sete di essenziale, di verità della vita, che non è negoziabile né delegabile a nessun bene esteriore, ma si gioca nel segreto della nostra interiorità, nel luogo profondo dove Dio abita. La preghiera diventa il luogo nel quale attingere la forza di un cammino con il Signore che riempie il cuore perché purifica dagli idoli che lo abitano. Essa è anche lo spazio della lotta spirituale che la conversione include, nel quotidiano discernimento tra la carne e lo Spirito, il bene e il male, l’io  e i fratelli, la conservazione o il dono della vita. È una lotta paziente e perseverante che non ha fine se vogliamo veramente seguire il Signore, perché maturi in noi l’uomo nuovo secondo Dio. Da questo combattimento nella fede scaturiscono la gioia intima e profonda, e tutti quei passaggi da morte a vita che intessono il nostro quotidiano e ci fanno uscire dalla nostra alienazione esistenziale. Questa gioia spirituale è il dono più bello che possiamo rendere ai fratelli, assetati come noi di felicità, di donne e uomini riconciliati e pacificati. Essa diviene annuncio di una vita “altra”, di un orizzonte che trascende il grigiore quotidiano. Si traduce in opere di misericordia nella forma della cura, dell’ascolto, della consolazione,  opere di umanizzazione che leniscono le ferite aperte e sanguinanti del nostro tempo e immettono in esso germi di speranza. Allora, non lasciamo cadere invano questa grazia che il Signore ci concede! La gioia della nostra conversione risplenda sui nostri volti e sia promessa di bene per tutti.