Ingegneria e filosofia hanno poco in comune, apparentemente, e la materia è molto complessa. Si può però provare a sintetizzarla in questo modo. Il motore di ricerca di Google funziona da anni grazie a migliaia di algoritmi scritti dai ricercatori interni. Questi algoritmi vengono continuamente aggiornati sulla base dell’analisi dei giganteschi flussi di dati che si riversano ogni secondo nei server di Google. Si tratta, nonostante le dimensioni, di un sistema che è interamente controllato dalla mente umana. Google ha avuto anche la necessità di spiegarlo all’Antitrust europeo. Era stato accusato di manipolare artificiosamente i dati e le risposte alle query per sfavorire i concorrenti. I tecnici di Google, dopo l’indagine dell’Antitrust europea, stanno lavorando alacremente per rimettere le cose a posto. “Rankbrain”, invece, funziona in un modo diverso.

I suoi risultati si basano sui calcoli eseguiti in pochi millisecondi dalle reti neurali profonde, reti di hardware e software che riproducono in un qualche modo la rete dei neuroni del cervello umano.

Analizzando in ogni momento enormi quantità di dati digitali, queste reti neurali possono imparare a identificare le foto, a riconoscere i comandi vocali in uno smartphone e, soprattutto, a essere più efficienti nelle risposte. Dicono gli esperti che possono imparare un compito così bene da superare gli esseri umani.

Possono fare tutto più velocemente e possono farlo in una scala molto più grande. Il problema però, dicono gli esperti, è che non si sa per quale motivo il cervello artificiale prenda una decisione invece di un’altra. Non è un problema banale. Su Google, ormai, si muovono i tre grandi driver della vita politica, economica e sociale del mondo intero. Tre miliardi di persone, ogni giorno, utilizzano Google per decidere gli acquisti, per controllare le attività della politica e per il tempo libero. Se tutto questo ricadesse sotto le dinamiche “incomprensibili” dell’apprendimento automatico e dell’intelligenza artificiale, diventerebbe improvvisamente più realistica la visione da incubo di Hal 2000, il computer impazzito raccontato da Stanley Kubrick in “2001 Odissea nello spazio”.