Ciudad Juárez è la città che più di ogni altra Papa Francesco ha voluto inserire nel programma del suo viaggio in Messico. Già lo scorso autunno – lo aveva confidato lui stesso – aveva meditato di fare una visita lampo durante la visita agli Stati Uniti. E oggi 17 febbraio il Papa visita la città di frontiera, entra nel carcere, incontra il mondo del lavoro e celebra la messa, prima di partire per tornare in Vaticano. Ciudad Juárez è una città simbolo: un milione e trecentomila abitanti lungo il Rio Bravo, alla frontiera con il Texas (la città di El Paso si trova appena al di là del confine), è passaggio obbligato per tantissimi rifugiati; habitat naturale per trafficanti di droga e di esseri umani. Ciudad Juárez è, ancora e soprattutto, conosciuta per il livello altissimo di criminalità, omicidi, rapine, sparizioni.

Nel 2011, secondo la classifica stilata ogni anno dall’Ong Seguridad, Justitia y Paz, era la città meno sicura al mondo. Nel 2010 si commettevano circa 8 omicidi al giorno. Poi qualcosa è cambiato, piano piano. Un anno fa Ciudad Juárez era “solo” ventisettesima in questa triste classifica, con circa 500 omicidi all’anno. Nel 2015, è uscita dalle prime 50 città meno sicure del pianeta.
Merito, anche, della società civile e della presenza di operatori e strutture suscitate dalla Chiesa. Come ad esempio la Casa del Migrante, avviata trent’anni fa dagli scalabriniani ed ora gestita dalla diocesi. Un lungo di accoglienza e accompagnamento per i tanti migranti, non solo nel loro viaggio di andata, ma, sempre più spesso anche in quello “di ritorno”, dopo l’espulsione. Il direttore della Casa, padre Javier Calvillo Salazar, racconta: «Ci siamo incontrati tra diocesi confinanti di Messico e Usa per preparare al meglio questa visita del Papa. La sfida che ci sta davanti è: come è possiamo costruire ponti di fronte a tanti muri?».

Il nemico è la violenza strutturale che parte dallo sfruttamento. Preziosa la presenza degli oratori salesiani, ben tre in città, che costituiscono uno dei pochi luoghi di educazione e prevenzione per tanti giovani. A dirigere gli oratori un giovane e dinamico salesiano, padre Juan Carlos Quirarte: capelli e barba nera, e un entusiasmo che sa dare speranza. «È vero – spiega – le cose vanno un po’ meglio di qualche anno fa. Ma il vero nemico è sempre presente. È quello che io chiamo la violenza strutturale, che sta sotto ai singoli episodi, che impregna l’intera vita sociale, che nasce nei luoghi di lavoro».

Una violenza che s’intreccia con i due grandi fenomeni presenti a Ciudad Juárez. «Da una parte – continua padre Juan Carlos – il grande flusso di migranti. Assistiamo ad una vera e propria tratta. E poi la corruzione, che è considerata quasi normale, è incrostata e consolidata nella società. Per questo l’arrivo del Papa è veramente importante. Ci aspettiamo parole che diano un segnale a quelle poche persone nelle cui mani qui si concentra il potere, soprattutto economico».
Una riflessione che apre ad una chiave di lettura inedita: molto si è parlato, anche in questi giorni, di migranti, di violenza. Poco di come vengono calpestati i diritti dei lavoratori costretti a prestare, con orari impossibili e paghe da fame, la loro manodopera nelle cosiddette maquilas, fabbriche dove vengono assemblati prodotti da vendere nel mercato statunitense. Papa Francesco a Ciudad Juárez incontrerà i lavoratori e ascolterà, tra l’altro, la testimonianza diDaisy Flores, la quale ha raccontato al periodico diocesano “Presencia”: «Il Governo insiste molto nel cercare soluzioni al problema della violenza però non si cura che tutto questo parte dal fatto che i salari sono bassi e che le madri sono costrette a lavorare stando sempre fuori casa, lasciando da soli i propri figli».

Gli oratori salesiani “oasi” di educazione e prevenzione. Ma torniamo all’attività dei salesiani. Padre Quirarte dirige i tre oratori salesiani della città: «In questa città abbiamo privilegiato l’opera sociale e lo facciamo attraverso il nostro tradizionale strumento, quello indicato da don Bosco, l’oratorio. Qui non abbiamo parrocchie, non abbiamo scuole, ma tre oratori. Non ci dedichiamo ai giovani che hanno delle possibilità, ma a quelli che non avrebbero opportunità. Cerchiamo di fare prima di tutto prevenzione, non vogliamo soltanto contenere la violenza, ma prevenirla. Abbiamo numerosi progetti che riguardano ad esempio lo sport, la preparazione minimale ad un lavoro, la pastorale sociale. Dei giovani volontari escono in strada, si avvicinano ai bambini. Qui ci sono molti orfani, ragazzi che hanno perso uno o entrambi i genitori». Molti di questi giovani saranno in strada mercoledì 17 febbraio, per salutare papa Francesco, alcuni come volontari. Di grande importanza sarà anche la visita che il Papa farà al carcere: «Toglierà la stigmatizzazione che il mondo ha per i giovani detenuti. Francesco li tratta come persone».

In frontiera due diocesi «gemellate». L’aspettativa è grande per tutta la Chiesa locale. Il vescovo di Ciudad Juárez, mons. José Guadalupe Torres Campos, ha scritto in un messaggio alla diocesi: «Il Papa si occuperà nella sua visita di aspetti molto significativi, come la situazione dei detenuti, dei migranti, di coloro che hanno subito violenza. Viene a darci parole d’incoraggiamento davanti a tante sofferenze». Anche la diocesi texana di El Paso, che si trova appena al di là della frontiera, si trova coinvolta nella visita. Il vescovo, mons. Mark. J. Seitz, ha detto: «Ci sentiamo una sola comunità con Ciudad Juárez. Condividiamo tra le frontiere parenti e familiari, attività economiche e soprattutto la fede».